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Ultima Fermata
dall’attacco contro l’Alta velocità in Val Susa alla difesa degli spazi occupati a Torino
Dall’attacco contro l’alta velocità in Val Susa…
1 — Pieghevole distribuito in Val di Susa
3 — Non tutti sono disposti a salire su quel treno
5 — Editoriale de l’evasione n. 12
…alla difesa degli spazi occupati a Torino
C’è a chi serve più da morto che da vivo
2 – Guai a chi tocca i centri sociali
4 – Corteo ad alta velocità, per un mondo a bassa velocità
6 – Comunicato in merito all’episodio di Dario Fo
8 – Abbiamo un fama da lupi “grigi”
9 – Siamo santi, ma non vogliamo martiri
10 – Dove vola l’avvoltoio? — note urgenti al movimento
11 – Edoardo Massari si è suicidato in carcere
15 – Puzza di bruciato — Chi ha interesse a coprire i misteri della Val di Susa
16 – TERRORISTI SONO I GIORNALISTI
17 – Giornalisti, veniamo a restituirvi un po’ della vostra merda
18 – La violenza strutturale dell’informazione
19 – Da che cosa nasce il disagio sociale dei giovani di Torino? Perché non vogliono parlare?
Nota introduttiva
Sono passati pochi mesi dagli avvenimenti che hanno turbato una delle più grandi città italiane, Torino. L’arresto di tre anarchici accusati di essere coinvolti in una lunga serie di sabotaggi contro i cantieri dell’Alta velocità in Val Susa e la successiva morte di uno degli arrestati, trovato impiccato nella sua cella in carcere, avevano provocato la rabbiosa reazione dei loro amici e compagni, le cui azioni hanno alimentato per giorni le prime pagine dei grandi mezzi di informazione, guardate con una certa preoccupazione dalle forze istituzionali e sociali.
Passata la tempesta, ora tutto sembra essere rientrato nella normalità. Le pagine che seguono, pur riportando gli episodi avvenuti e mettendo a disposizione di tutti una parte consistente dei documenti circolati in quel periodo, non pretendono — né intendono — di rappresentare quanto è accaduto a Torino nei mesi di marzo e aprile appena trascorsi. Lungi dall’accontentarsi di riprodurre una mera documentazione, gli autori di queste pagine hanno voluto esprimere un preciso punto di vista, presentando la propria interpretazione dei fatti.
Questo che pubblichiamo è quindi un dossier a tesi, fazioso come tutti i dossier ma in questo caso, se è possibile, in maniera ancora più marcata.
A grandi linee, la tesi che qui viene sostenuta è che l’obiettivo principale della magistratura da un paio di anni a questa parte è stato di circoscrivere la rivolta diffusa — che incuteva timore per le sue notevoli potenzialità di sviluppo — in atto contro il progetto dell’Alta velocità in Val Susa rinchiudendola poi all’interno della fantomatica organizzazione “Lupi grigi”. Inaspettatamente, gli arresti scattati a Torino hanno segnato per i padroni dell’Alta velocità un altro successo, giacché sono riusciti nell’impresa di spostare ulteriormente l’attenzione generale, non solo geograficamente ma anche sostanzialmente: dalla Val Susa a Torino, dalla questione dell’Alta velocità a quella degli spazi occupati. E la magistratura non avrebbe potuto condurre a termine con tanta disinvoltura questa doppia mistificazione, se non si fosse avvalsa dell’aiuto dei mass media e di quello — naturalmente involontario — di alcuni suoi nemici.
Dalla lettura di questo dossier trapela anche l’occasione perduta, quella di ripercorrere al contrario il tragitto imposto dai guardiani dell’Ordine, aprendo però nuove strade percorribili da tutti gli sfruttati.
Va da sé che molti non condivideranno simili conclusioni, e ci sarà anche chi vedrà in questo testo una offesa alla propria identità. Fin troppo facile poi è prevedere, fra le accuse che pioveranno sulla testa degli autori, quella di «voler salire in cattedra per dare lezione agli altri». Accusa per altro infondata se si considera che gli autori di questo dossier hanno preso parte direttamente agli avvenimenti torinesi, e sono quindi anch’essi responsabili degli esiti finali. In effetti le analisi qui sviluppate non ci sembrano minimamente dettate da malanimo personale o da presunzione, quanto dalla convinzione che in prospettiva la rivolta non ha bisogno dell’ammirazione cieca e scevra da ogni critica, ma semmai di una continua ricerca degli errori commessi e dei limiti che emergono nel proprio agire.
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Dall’attacco contro l’alta velocità in Val Susa…
Cronologia (prima parte)
1984
In un documento della CEE in materia di infrastrutture di trasporto viene indicata, tra gli obiettivi prioritari, la “graduale sistemazione di collegamenti terrestri a grande velocità tra i principali centri urbani della Comunità”.
1985
Si costituisce un gruppo di lavoro informale, composto dai rappresentanti dei vari enti ferroviari nazionali, dell’Industria, della Commissione CEE dell’UIC che definisce una prima proposta di rete europea a grande velocità avente come anno di riferimento il 2000. La proposta comprende l’indicazione degli interventi da realizzare per superare le difficoltà costituite dagli ostacoli naturali.
1986
Nasce la Comunità Europea delle Ferrovie (CCFE), che incarica le ferrovie francesi e quelle tedesche di elaborare una proposta più definita di rete europea ad alta velocità.
1989
Viene consegnato alla CEE il rapporto conclusivo approntato dalla CCFE. Prevede la messa in atto di una rete europea di circa 30.000 km, comprendente linee costruite ex novo, linee con importanti ristrutturazioni e linee di collegamento finalizzate a favorire l’effetto rete.
Sulla base del rapporto conclusivo della CCFE il Consiglio dei ministri dei trasporti della Comunità adotta la risoluzione che prevede, tra l’altro, la definizione entro la fine del 1990 di uno schema di rete di treni a grande velocità e degli interventi prioritari da realizzarsi entro il 2005. A questo scopo viene costituito un Gruppo di Lavoro.
1990
Il Consiglio della Comunità Europea approva lo Schema direttore della rete europea dei treni a grande velocità approntato dal Gruppo di Lavoro, che individua come scadenza per la costruzione di tutta l’opera il 2010. Lo Schema prevede linee attrezzate per velocità superiori ai 250 km/h e altre in grado di sopportare treni fino ai 200 km/h.
1991
Viene siglato a Ginevra un accordo sulla realizzazione delle grandi direttrici del trasporto internazionale combinato (TCI), sulle quali dovrebbe realizzarsi l’essenziale dello sviluppo del traffico merci. Vengono individuati trenta assi principali.
Viene costituita la TAV Spa, che ha il compito di progettare, costruire e successivamente gestire il sistema dell’Alta velocità italiana. Questa società è inizialmente posseduta per circa il 40% dalle Ferrovie dello Stato Spa e per il restante 60% da FIAT, IRI ed ENI. In seguito le ferrovie acquisteranno tutte le azioni, caricandosi così di ogni rischio legato ad eventuali insuccessi dell’impresa ma lasciando ai suoi antichi partner il compito della realizzazione concreta dell’opera e i guadagni relativi.
Il progetto globale italiano prevede la costruzione di nuove linee per collegare Torino-Lione attraverso un nuovo tunnel di 54 chilometri sotto le Alpi; Torino-Venezia, passando per Milano; Milano con Napoli, passando per Bologna, Firenze e Roma.
1996
23 Agosto
Iniziano gli attacchi contro le aziende incaricate di predisporre i cantieri dell’Alta velocità. Nella notte vengono lanciate due molotov contro una trivella posta nei pressi di Bussoleno, usata per verificare la conformazione del sottosuolo, provocando danni per un centinaio di milioni. Sul posto vengono tracciate scritte contro l’Alta velocità.
27 Novembre
All’altezza di Bruzolo viene data alla fiamme una cabina elettrica disattivata della linea ferroviaria Torino-Modane. Lievi i danni. Anche qui vengono lasciate scritte murali contro il Tav.
24 Dicembre
La notte di Natale vengono presi di mira un ripetitore Rai disattivato e una centralina Omnitel, che si trovano uno accanto all’altra nei pressi di Mompantero. Dopo aver tagliato una rete di recinzione, i sabotatori danno fuoco al trasformatore dell’Enel che alimenta la centralina dei telefonini ed a un’altra che contiene apparecchiature elettroniche. Contro le due cabine vengono sparati anche colpi di fucile. Sul muro di una chiesa vicina viene lasciata una scritta: “Valsusa libera”, col simbolo della falce e del fucile. Gli inquirenti troveranno sul posto resti di molotov. Smentita l’esistenza di un volantino di rivendicazione.
1997
26 Gennaio
In borgata Crotte di Chianocco, accanto alla strada provinciale, viene gettato liquido infiammabile sulle parti elettriche e sul quadro dei comandi di una trivella causando danni per una ventina di milioni. Sul luogo vengono tracciate scritte contro il Tav e i Mondiali di sci, accompagnate da simboli con falce e fucile. Dopo questo attentato il pubblico ministero Maurizio Laudi, incaricato delle indagini, comincia a indicare apertamente gli anarchici come possibili autori dei sabotaggi.
6 Febbraio
Ancora nei pressi di Mompantero viene fatto saltare mediante liquido infiammabile e polvere da sparo un generatore di corrente di un cantiere dove sta operando una trivella. I danni ammonterebbero a una trentina di milioni. Sul posto vengono vergate scritte contro il Tav e i Mondiali di sci. Preso di mira anche un vicino ripetitore Omnitel, la cui cassetta dell’alimentazione elettrica viene presa a fucilate.
21 Febbraio
Una molotov viene lanciata contro la centrale da cui dipendono gli impianti della galleria di Prapontin. Danni non gravi ad un contatore. Anche questa volta vengono lasciate scritte murali, contro la Sitaf e contro alcuni personaggi locali (Tessari, Fuschi e Lazaro). Gli inquirenti annunciano il ritrovamento, avvenuto qualche giorno prima, di volantini firmati “Fronte armato valsusino” — ‘Il fronte armato valsusa ringrazia l’opposizione violenta e non, contro la talpa ad alta velocità. Continuate così ragazzi! Difendere la nostra terra è dovere sacro con ogni mezzo e ad ogni costo. Anche se non è la violenza che si vuole, quando non vi è altro sistema, così sia.’ — a cui peró non danno troppo credito.
10 Marzo
Incendiato il portone della chiesa di San Vincenzo, a Giaglione. Questa volta sul posto non vengono lasciate scritte ma, per la prima volta, due volantini firmati “Lupi Grigi, armata delle tenebre e vendetta dei poveri” e “Lupi Grigi, solidarietà contro TAV, tasse, Chiesa, mafia, capitalconsumismo, finta democrazia, galera, scuola, caserma”.
18 Marzo
Dopo essere entrati nottetempo nella centrale elettrica della galleria autostradale Giaglione, sulla A32, ignoti sabotatori fanno saltare della dinamite posta in un canale dove passano cavi elettrici. Danni per oltre cinquanta milioni. Nessuna rivendicazione.
8 Aprile
Viene fatto saltare con un ordigno rudimentale un pozzetto della Telecom, lungo una strada di campagna a Chianocco. Sono quarantamila le linee telefoniche fuori uso. Black out anche per i telefoni cellulari Telecom e Omnitel e per le linee di trasmissione dati. Vengono affissi a un albero volantini firmati “Lupi grigi” e “Valsusa libera” che, a detta della stampa, spaziano dalla lotta partigiana a Fra’ Dolcino fino ad invocare, citando Battiato, il “ritorno dell’era del cinghiale bianco”.
21 Maggio
Altre due azioni di attacco nella zona di Mompantero. Vengono fatti saltare con la dinamite i cavi di un ripetitore Mediaset in regione Bianco, e bruciata una trivella per le prospezioni in località Moetto. I danni complessivi ammontano a circa settanta milioni. Nessun volantino di rivendicazione né scritte murali.
15 Ottobre
A Chianocco viene lanciata una bomba carta contro la casa di Ugo Iallasse, dirigente della Sitaf, direttore di servizio dell’autostrada del Frejus.
2 Novembre
Volantini a firma “Lupi grigi” vengono trovati appesi sulla porta della chiesa di S. Pancrazio, a Vaie.
4 Novembre
Un’esplosione danneggia due ripetitori sopra Borgone di Susa. Le antenne irradiavano il segnale di alcune stazioni televisive e radiofoniche ed ospitavano un ponte radio dei carabinieri. Nessuna rivendicazione.
10 Novembre
Viene collocata una bombola di gas accanto una cabina elettrica del blocco automatico, lungo la linea ferroviaria Torino-Modane nei pressi di Rosta. La bombola non esplode non essendo raggiunta dal fuoco appiccato a stracci imbevuti di liquido infiammabile. Limitati quindi i danni. Sul posto viene trovata una scritta anti-Tav che non pare recente.
29 Novembre
A Bussoleno si tiene una manifestazione organizzata da partiti, sindacati e Chiesa per protestare contro gli attentati all’Alta velocità. A sfilare sono solo gli amministratori comunali e gli esponenti di partito, mentre la gran massa dei valsusini rimane a casa. Gli stessi giornali locali sono costretti ad ammettere che “sono pochi i cittadini che hanno risposto all’appello lanciato dalle istituzioni”.
1998
20 Gennaio
Dopo aver prelevato alcuni macchinari, ignoti incendiano nella notte il municipio di Caprie. Nei locali del garage avviene una esplosione che provoca gravi danni all’intero edificio. Questo sarà l’unico fatto specifico valsusino attribuito dagli inquirenti ai tre anarchici arrestati nel marzo successivo.
Giovedì 5 Marzo
Su mandato dei pubblici ministeri Maurizio Laudi e Marcello Tatangelo, vengono arrestati dai carabinieri del ROS gli anarchici Silvano Pellissero, Edoardo Massari e Soledad Rosas, con l’accusa di appartenere all’organizzazione “Lupi grigi”. Silvano Pellissero viene arrestato poco dopo aver casualmente scoperto la presenza sulla propria vettura di una microspia. Questa circostanza imprevista costringe i carabinieri a compiere una operazione del tutto inadeguata. Edoardo Massari, per tutti “Baleno”, e Soledad Rosas vengono arrestati, dopo un assedio durato qualche ora, all’interno della Casa occupata di Collegno, che viene perquisita e sgomberata. A detta dei carabinieri e della stampa viene scoperto in cantina un “arsenale”: un bengala usato spacciato per una “pipe-bomb” e alcune bottiglie di carburante fatte passare per molotov.
Contemporaneamente vengono perquisiti altri due spazi occupati di Torino, l’Asilo di via Alessandria e l’Alcova di corso San Maurizio. L’Asilo viene sgomberato dopo essere stato devastato dalle forze dell’ordine, mentre l’Alcova viene difesa in extremis dagli occupanti.
Un’Europa più ridotta
Della costruzione di una serie di linee ferroviarie per treni super veloci, che taglino per diritto e per rovescio lo stivale collegandosi ad analoghe linee che andranno a zigzag per tutto il continente, se ne sente parlare da oltre dieci anni. È nel lontanissimo 1984, difatti, che la proposta viene lanciata dalla CEE per poi entrare nella sua fase operativa in Italia nel 1991. Da allora si sono affastellate ogni genere di notizie e di chiacchiere sull’Alta Velocità ferroviaria, ma ciò che emerge al di là di tutto è che si tratta di un investimento economico di enormi proporzioni; un progetto che ha mobilitato le potenti lobbies finanziarie e industriali italiane ed europee e, nel contempo, un intervento pesantissimo sulla vita dei territori lungo i quali si snoderanno le linee ferroviarie. Questo contrasto si è fatto più evidente nei luoghi in cui il treno dovrà scavalcare le montagne. Le caratteristiche della nuova ferrovia da realizzare costituiranno un vero e proprio flagello per le strette vallate che uniscono il Piemonte alla Francia, la pianura Padana al centro Italia, trattandosi di veri e propri imbuti che subiscono già il transito impazzito di ogni genere di merce spedita su e giù per l’Europa.
Nel corso di questi anni è andato polarizzandosi in maniera sempre più chiara un conflitto tra gli interessi dei politici e degli imprenditori, da un lato, e la vita di buona parte degli abitanti delle zone interessate al progetto, dall’altro. Ciascuno affina le proprie armi. Ciascuno cerca i propri alleati tentando di individuare con precisione sempre maggiore l’avversario. La partita è ancora aperta. Proviamo qui ad illustrarne in sintesi alcuni aspetti, di modo che possa diventare una partita di tutti e non si rinchiuda negli stretti ambiti di quello che finora è stato il terreno di gioco privilegiato: la Val di Susa.
Per capire esattamente dove si situa lo scontro, cosa divide i sostenitori dell’Alta velocità dai suoi detrattori, bisogna individuare con sufficiente precisione a chi e a cosa serve quel treno.
Il primo abbozzo di questa rete di trasporto nasce in ambito europeo: la CEE individua nei trasporti uno degli elementi vitali per la crescita dell’Unione e si pone l’obiettivo di razionalizzare ed integrare i sistemi in vigore nei diversi paesi. La scelta cade sulla possibilità di costruire un sistema abbastanza complesso di reti ferroviarie ed altre infrastrutture, in grado di supportare sia il trasporto di merci che quello di passeggeri. A tale scopo è servita senz’altro l’osservazione della linea ad alta velocità costruita in Giappone negli anni sessanta e di quella che in tempi più recenti è stata realizzata per unire Parigi a Lione.
«Dal punto di vista di Torino il problema è come realizzare la linea, non se farla: su questo per noi non ci sono dubbi».
Valentino Castellani, sindaco di Torino
Dalla fine del 1984 alla fine del 1989, gli organi della CEE elaborano le direttive che via via dovranno essere applicate dai paesi membri, e non solo da quelli. Complessivamente, il sistema dell’Alta Velocità si svilupperà su 30.000 chilometri di linee in parte nuove ed in parte pesantemente ristrutturate. Due enormi ragnatele, in parte coincidenti, collegheranno i punti nodali produttivi e politici del continente, tutte le grosse aree urbane: una “rete europea dei treni ad alta velocità” per i passeggeri, e una “rete europea di trasporto internazionale combinato” per le merci. Particolare attenzione viene dedicata a quelli che all’interno della rete vengono individuati come anelli-chiave, cioè quelle tratte che, generalmente poste in località frontaliere, permettono la modifica dei flussi spontanei di passeggeri e di merci, funzionando a mo’ di imbuti; queste tratte, una delle quali è la Torino-Lione, presentano tra l’altro particolari difficoltà di realizzazione.Attenzione, però. Non stiamo parlando semplicemente di una nuova ferrovia; tutt’attorno alla ragnatela sorgeranno un insieme di infrastrutture, di sistemi di protezione e di controllo, mentre cominceranno a svilupparsi una serie di modificazioni a catena che segneranno in modo ancora più profondo l’habitat naturale e la vita di ciascuno. Gli spostamenti umani saranno via via indirizzati verso alcuni passaggi obbligati diretti, passaggi che saranno strettamente sorvegliati e nei quali verranno investite le più avanzate tecnologie.“SEMPRE PIÙ VELOCE”Accanto a queste ragioni speculative, politiche e poliziesche, però, bisogna ricercarne altre più sottili. Anche nel caso in cui il nuovo treno non dovesse avere alcuna utilità pratica una volta entrato in funzione — cioè anche se poi verrà utilizzato solo marginalmente, a causa dei costi di gestione effettivi e del conseguente appesantimento nella concorrenza con le linee aeree — rappresenterà pur sempre il Progresso. Una nuova tappa nella corsa vorticosa per creare nuovi falsi bisogni — in questo caso la Velocità — solo per poterli poi soddisfare nella maniera più spettacolare possibile e proporne di nuovi.E così via, sempre più veloci verso il niente.
Questo meccanismo fa talmente presa che persino chi sa che sul nuovo treno non ci potrà salire mai si sente intimamente soddisfatto nel pensare che qualcun altro potrà raggiungere Parigi da Torino in cinque ore anziché in dieci. La questione importante è come la fiaba del progresso sia gestibile solo dal capitale e dallo Stato che, fabbricando questa corsa incessante, giustificano la propria ingombrante presenza. Le caratteristiche che rendono possibile questo tipo di operazione sono tutte contenute nel progetto del Treno ad Alta Velocità (Tav). Si può definire il Tav una “opera-monumento”, un progetto infinito, un insieme di scatole cinesi di cui difficilmente si vede la fine. Unisce tutta la maestosità fittizia del progresso agli interessi spiccioli di speculatori ed affaristi.
«Intanto non è Torino che decide le sorti della Valle, anche se Torino è la più interessata perché, col Piemonte è su uno dei corridoi fondamentali per il traffico in Europa. In questo senso l’Alta Velocità è sicuramente una questione di interesse generale».
Valentino Castellani, sindaco di Torino
Terminata la fase di elaborazione di massima del progetto, ecco che comincia a mettersi in moto la grande macchina dell’Alta velocità. A cascata, i progetti vengono elaborati in maniera sempre più dettagliata, si studiano i tracciati delle linee, vengono coinvolte le grossi industrie e le centrali finanziarie. Dalle stanze di Strasburgo si arriva agli imprenditori ed ai politici locali, che vedono nell’Alta Velocità un’ottima occasione per accrescere il proprio giro d‘affari. Le ferrovie italiane incaricano una nuova società, la Tav Spa, della progettazione, della costruzione e della gestione economica della linea e delle infrastrutture. A sua volta la Tav (di proprietà delle FFSS) divide il lavoro tra altre grosse società, alcune delle quali create ad hoc: ITALFERR SIS TAV, TAVCO Spa, IRI, ENI, FIAT, CO.CIV. Il complesso di interessi che scende in campo è gigantesco. Si tratta, secondo alcuni, de “l’affare del secolo”, non solo per la quantità di soldi investiti, ma perché chi li investe ha ottenuto tutte le garanzie possibili di guadagno in denaro e in allargamento di “relazioni”.Immediatamente nasce l’esigenza di convincere la popolazione dell’utilità del nuovo treno e comincia l’operazione di propaganda di massa. Lo schema è quello già collaudato. Presentare quest’opera, costruita nell’interesse di pochi, come uno strumento utile a tutti: agli amanti del viaggio, che potranno muoversi velocemente per l’Europa senza inquinare e godendosi il panorama; agli studenti e ai pendolari, che potranno raggiungere i luoghi di lavoro o di studio con la massima sicurezza e rapidità; agli amanti dell’ambiente, che vedranno diminuire consistentemente il trasporto su gomma; a tutti quelli che usualmente si spostano in macchina ma che sul nuovo treno potranno viaggiare più comodi e veloci.DOCUMENTO N. 1Non si tratta, evidentemente, che dei giochi di prestigio della pubblicità, che nel giro di poco tempo hanno cominciato a mostrare la corda. Non sono riusciti a mascherare, difatti, la vastità della devastazione che porterà il passaggio del treno nelle zone toccate dalle linee definite anelli-chiave. Si tratta di territori molto ristretti, con una viabilità già difficoltosa, con equilibri economici ed ecologici delicati. La costruzione della linea, in queste zone, rallenterebbe la vita di tutti perché taglierebbe in due il territorio, e non servirà a nessuno a livello locale perché il Tav fermerà solo nei grandi centri urbani. In compenso creerà una serie infinita di danni e di disturbi, dall’inquinamento acustico provocato dal passaggio del treno agli inconvenienti legati ai cantieri, il tutto concentrato in pochi chilometri quadrati, fitti di centri abitati e di boschi. Alcuni di questi aspetti, presi separatamente, potranno anche essere alleviati dai progettisti del treno. Ma estremamente difficile da eliminare è l’orgoglio di popolazioni costrette ad assistere impotenti all’improvviso stupro del territorio in cui vivono, per interessi che sentono del tutto estranei. Probabilmente è questo orgoglio a far nascere una intensa ostilità al nuovo treno ed è alla luce di questo sentimento che vengono lette da molti le menzogne spiattellate dai propagandisti della velocità.
(…)
Per far accettare il tracciato del TGV e per dissimulare i loro banali interessi nell’affare, la propaganda dei decisori dispone di una vasta tavolozza di menzogne; appoggiandosi talvolta a menzogne antiche per forgiarne di nuove, mettono in luce l’arbitrarietà iniziale e così l’enormità a cui giungono: sicché, se si crede che senza Economia non si può vivere in società, e se si ammette poi che senza TGV l’Economia s’infiacchirebbe, bisogna logicamente concludere che senza TGV non si potrebbe più vivere in società. E’ questo il nodo nevralgico del conflitto sul tracciato, poiché gli oppositori sono persuasi, con ragione, del contrario, cioè che la società si decompone sotto i colpi di tali installazioni. La dipendenza economica delle popolazioni, il suo approfondimento o la sua critica, sono la vera posta in gioco in questi conflitti…
(da “Treni ad alta nocività. Perché il treno ad alta velocità è un danno individuale ed un flagello collettivo” a cura di “Alleanza per l’opposizione a tutte le nocività”, Nautilus, 1993)
Questi ci sembrano alcuni dei meccanismi sviluppatisi in Val Susa — un territorio già segnato pesantemente dal passaggio dell’autostrada, della statale, della ferrovia già esistente (che non serve solo la valle trattandosi di una linea internazionale), dei tralicci dell’alta tensione, una valle che ha conosciuto un rapidissimo sviluppo industriale trent’anni fa e che ora è in piena crisi occupazionale — in questi anni e che, con il tempo, hanno creato una profonda spaccatura tra i propugnatori della velocità e una parte consistente della popolazione.Man mano si scopre, inoltre, che il nuovo treno si rivolge più che altro a quella fetta di mercato che abitualmente utilizza voli aerei per brevi percorsi; niente a che vedere con i pendolari e gli operai in vacanza, come sostenevano a gran voce gli addetti stampa delle ferrovie. In più emerge che a coprire una parte consistente dell’investimento fatto dalle ferrovie per la costruzione del treno veloce sarà proprio chi si sposta abitualmente coi treni tradizionali, che vedrà aumentare notevolmente il prezzo del biglietto. Così diventa sempre più chiaro a tutti che questo tanto sbandierato progresso tecnologico è sfacciatamente al servizio di pochi, non certo di chiunque.
Ecco come quell’ostilità che ancora alcuni valsusini indirizzano contro Torino o contro Strasburgo — individuati astrattamente come i nodi dell’Alta velocità — potrebbe acuire il conflitto fra gli inclusi e gli esclusi della Val Susa, all’interno del quale il problema del treno è solo uno dei tanti momenti di lotta. Da una parte quelli che hanno in mano le leve economiche e politiche della valle e che si stanno costruendo un mondo separato e a propria misura, fatto di cultura, desideri e possibilità diverse da quelle di chi, dall’altra parte, non ha gli strumenti per entrarvi o la volontà di farlo. Se si acuisse questa frattura, in prospettiva, l’aria potrebbe farsi più pesante non solo per la ferrovia e i suoi alleati, giacché potrebbe cominciare ad esser messo in discussione un intero modo di vivere, un intero sistema sociale.
Comitato per l’Alta velocità in Val Susa
Regione Piemonte, Comune di Torino, Comunità montane Alta e Bassa Val Susa, Geie, Alpetunnel, Unione industriali di Torino, Camera di commercio, FederPiemonte.
Hanno investito nell’Alta velocità
FFSS, SNCF, Italfer Sis. Tav, Alpetunnel, Mediobanca, S. Paolo, IMI, Banco di Napoli, BNC, BNL, Cariplo, Credit Holding Italia, Banca di Roma, Cred. Imprese e opere pubbliche, Isveimer, Ist. It. Di Credito Fondiario Spa, Banca popolare di Novara, Daiwa Europe Ltd, Deutche Bank, Credit Lyonnais, FIAT, IRI, ENI.
«Noi rivendichiamo il fatto di decidere del nostro territorio e lo facciamo con grande serietà.Abbiamo ottenuto grandi risultati e ci siamo fatti ascoltare: non a caso è stata accolta la nostra richiesta di ragionare sull’ammodernamento della linea attuale. E tutto ciò, senza ricorrere alla violenza».
(Luciano Frigieri, presidente comunità montana)
Al Lupo! Al Lupo!
È questa pentola in ebollizione che gli ambientalisti e i gruppi politici tentano di tenere ben tappata, incanalando la protesta entro gli ambiti angusti del compromesso, per poterla poi capitalizzare a proprio favore. E parte la strategia del recupero. In primo luogo i protagonisti di questa strategia sono i Verdi e Rifondazione Comunista, che rappresentano l’ala parlamentare più estrema. Poi i Comuni, anch’essi in buona parte schierati contro il passaggio del treno. Una strategia organizzata su due livelli: uno che punta alla confusione teorica ed un altro alla dissuasione pratica. Vediamoli.
Quando parlano del problema dell’Alta velocità, questi “oppositori” separano il progetto del treno dal contesto in cui nasce e si sviluppa e lo criticano come se fosse un elemento isolato. Il ventaglio delle loro posizioni va dalla semplice richiesta di far passare le nuove linee in altre valli a quella che individua il nuovo treno come lo strumento di un progresso malato. In mezzo passano tutte le richieste volte ad alleggerire gli inconvenienti dati dal passaggio del treno, come la creazione di migliori barriere antirumore o di modifiche del tracciato, quelle che mirano a un ripensamento di alcune caratteristiche tecniche della linea e quelle che tendono a fare del treno una merce di scambio per ottenere vantaggi da parte delle ferrovie.
DOCUMENTO N. 2
«La lotta delle istituzioni valsusine rispetto alla questione dell’alta velocità non puó che essere condotta, come sempre è stato fatto, con l’uso di tutti gli strumenti democratici, e non con gesti inconsulti di qualsiasi tipo».
Luigi Massa, deputato Ulivo
Il quadro in cui intervengono questo genere di oppositori è sempre quello del capitale ed è all’interno di questo che ricercano una serie di aggiustamenti. La loro posizione più estrema è indicativa: criticando il progresso malato, tentano di propagandare un ipotetico progresso sano, nel quale gli interessi dell’industria e della finanza verranno a coincidere con quelli delle popolazioni; spostando l’attenzione della lotta su questi propositi improbabili, limitano la possibilità che questa si allarghi e si radicalizzi. In più, di fronte ad una situazione nella quale lo Stato e gli inclusi cominciano ad essere individuati come nemici, la propaganda dei Verdi e dei Rifondatori li ripropone, nel migliore dei casi, come la controparte con la quale trattare. E come potranno mai trattare le popolazioni con lo Stato? Ma naturalmente solo tramite loro — i partiti inseriti nella lotta ed i comitati invasi dai politici —, che raggranelleranno sempre maggiore influenza.
DOCUMENTO N. 3
«Gesti come quello di Mompantero sono assolutamente contrari ai nostri metodi e fra noi non esistono “frange estreme”, il nostro obiettivo è una civile presa di coscienza dei dati e dei problemi. E questo con le bombe è del tutto inconcepibile».
Mario Cavargna, Presidente Pro Natura Valsusa
Nel caso valsusino, però, l’intervento di controllo dei partiti e degli ambientalisti ha funzionato solo in parte. C’è chi, in Valle, rifiuta di essere rappresentato e non intende trattare, anzi. Qualcuno comincia a sabotare i lavori di sondaggio che precedono l’apertura dei cantieri. Senza grandi mezzi, senza nessuna preparazione “militare”, dimostra che è possibile ostacolare il passaggio del Tav direttamente — a dispetto degli scettici e degli efficienti realisti della sovversione, che si limitano a dissertare al più di una improbabile e rassicurante soluzione finale (il popolo che scende compatto in piazza?) da attendere armati di tanta pazienza. L’esempio si diffonde e gli attacchi si moltiplicano a macchia d’olio, diventando uno degli strumenti di una lotta che comincia ad allargare lo spettro dei propri nemici. Vengono colpiti, non solo il progetto del treno ad alta velocità, ma l’Enel, l’Omnitel, la Sitaf (società che gestisce la locale autostrada), la Telecom, la Rai, la Mediaset e perfino la Chiesa. Ciò che ne emerge è il percorso della lotta di una parte degli sfruttati valsusini che progressivamente prendono coscienza della propria situazione e cominciano a ribellarsi, ciascuno per proprio conto, senza delegare a nessuno e senza accettare mediatori.
«Io escludo che anche le componenti più estremistiche dei comitati possano aver fatto una cosa del genere. Non escludo invece che possa essere stato qualcuno che non sta nell’opposizione organizzata, ma che è esasperato davanti ad un atto come quello di Alpe-tunnel, che disprezza il confronto».
Claudio Giorno, esponente di Habitat
Chi, fino a quel momento, aveva tentato di imbrigliare la protesta, si vede scavalcato e si fa prendere dal panico: l’unica strada che gli rimane è negare che i sabotaggi siano opera di oppositori al Tav. E così comincia a sostenere che si tratta di un complotto mirante a criminalizzare la loro lotta e a dividere l’opposizione. Rifondazione Comunista indica come mandanti le “lobbies politico-affaristiche interessate alla realizzazione del Tav e alle connesse speculazioni mafiose”; i Verdi cominceranno a parlare sempre più apertamente del coinvolgimento dei Servizi segreti.Per quanti sforzi facciano, però, non riescono ad ottenere una grande attenzione da parte della popolazione, che diserterà la manifestazione indetta per protestare contro i sabotaggi. Per riprendere in mano la situazione, i controllori sociali dovranno affidarsi all’intervento delle forze dell’ordine.«Sospettiamo che gli attentati siano una montatura messa in piedi da chi aveva collaborato con Franco Fuschi, l’agente dei servizi segreti che ha operato in valle di Susa e che si è autoaccusato dell’attentato al traliccio del Super-phenix di cui furono incolpati gli ambientalisti».
Mario Cavargna e Piercarlo Cotterchio, segr. Legambiente
”No agli attentati, no alla violenza”, ma a gridarlo idealmente, c’erano solo gli addetti ai lavori della politica, amministratori comunali ed esponenti di partito. Pochi invece i cittadini che hanno risposto all’appello lanciato dalla comunità montana bassa valle, partecipando alla manifestazione di sabato mattina a Bussoleno contro gli attentati che da un anno e mezzo prendono di mira la Val di Susa.Anche Renato Montabone, consigliere regionale del Partito popolare europeo, non appare preoccupato dalla mancanza di adesione da parte della gente: “Oggi questo problema è sentito in particolare dagli amministratori”‘.
da Luna Nuova, 2/12/97
“Alcuni, esasperati dal rischio di un progetto che non rispetti l’impatto ambientale, si lasciano andare ad affermazioni che sembrano quasi “difendere” i “lupi grigi”. Come *** che distinto afferma: “Sicuramente il loro è un gesto estremo, eppure non mi sento di condannarli del tutto, perché almeno attirano l’attenzione sulla volontà di noi valsusini di non rovinare ulteriormente la zona con i treni veloci” (…)
“I Lupi Grigi? Meno male che ci sono. Alcuni politici continuano a raggirarci sulla convenienza della nuova linea ferroviaria che favorirebbe l’occupazione. Ebbene, anche le esplosioni danno da lavorare a qualcuno”‘.
La Stampa del 6/11/97
Documenti
1 — Pieghevole distribuito in Val di Susa
Nessuna menzogna può questa volta mascherare la realtà, nessun interesse collettivo esiste a giustificare questo progetto, solo gli interessi di un gruppo di affaristi (per esempio FIAT-PININFARINA-DIRIGENTI FERROVIA DELLO STATO) forti e arroganti del loro potere, proseguono nella folle corsa del profitto, calpestando tutto ciò che gli si frappone. Per questi motivi noi vogliamo esprimerci su questa vicenda. Noi vogliamo vivere la nostra vita in prima persona ed in prima persona decidiamo di lottare contro l’Alta velocità perché il nostro sentire vuole la difesa di tutto il mondo dalla devastazione irreversibile dagli interessi dei soliti pochi.
Il Tav, treno ad Alta Velocità, di cui tanto si parla negli ultimi tempi a proposito di vari aspetti quali lo scandalo delle tangenti, i sabotaggi e i loro autori nonché l’impatto ambientale è un progetto che non è limitato semplicemente alla Val Susa. Esso è un vero e proprio attentato all’ambiente, alla nostra salute e alla libertà di noi tutti di decidere autonomamente della nostra vita. È un pericolo grave che porterà in questa e in tante altre valli un desolante panorama di devastazione.
Ci sono già molteplici realtà e situazioni mobilitate contro il Tav che si oppongono con metodi istituzionali alla sua realizzazione; sono però, secondo noi, lotte sterili e parziali. Infatti non comprendono la sostanza della questione: la spoliazione in qualsiasi campo della facoltà di decidere autonomamente per la propria vita. La mediazione degli opportunisti di turno pare servire soltanto a smorzare l’evidente e diffusa insoddisfazione di fronte al Tav.
In varie parti d’Europa, dove il progetto è già in costruzione, sono state sperimentate altre forme di opposizione, in cui ogni individuo si oppone fisicamente e direttamente alla costruzione di questo orrore nocivo. L’opposizione concreta e diretta ha portato in molte occasioni a risultati maggiori, più efficaci che non la semplice raccolta di firme. Le risposte che la gente comune, che ognuno di noi può esprimere sono tante e tutte praticabili: dal volantino, allo sciopero generale, al sabotaggio e mille altre ancora.
Riteniamo necessario che chi ama la propria terra si opponga con decisione all’Alta Velocità, per salvaguardare la propria vita, per difendere il proprio ambiente, per non essere visti solamente come un fastidio da rimuovere sulla strada di faccendieri senza scrupoli.
Non è vero che “tanto non c’è nulla da fare”, che “tutto è già stato deciso”, senza il consenso e la collaborazione, senza l’abitudine a subire a testa bassa ogni sopruso, nulla può essere imposto dall’alto. Non lasciamoci ingannare, avvelenare, umiliare, ancora una volta. Opponiamo un perentorio NO ALL’ALTA VELOCITA’.
PERCHE’ SIAMO CONTRARI ALL’ALTA VELOCITA’
Cerchiamo ora di fare chiarezza sui motivi che ci portano a dichiarare l’Alta Velocità un progetto nocivo e dannoso sia per l’ambiente sia per le persone. Non ci limitiamo a circoscrivere la nostra discordia a questioni di ordine ambientale, poiché pensiamo che sia incompleto e pericoloso perché dà la possibilità alla controparte di aggirare i problemi con sistemi di controllo e riduzione dei danni.
Ma noi non vogliamo una nocività attenuata. Il Progetto dell’Alta Velocità è un progetto di distruzione ed inquinamento ed è il risultato della logica del guadagno che nel suo sviluppo schiaccia gli individui ed i loro rapporti.
1) La questione ambientale
Il rumore
L’inquinamento acustico prodotto da un treno ad Alta Velocità è notevole. Un treno di questo genere alla velocità di esercizio, produce lo stesso rumore di un aereo in fase di atterraggio. Un simile frastuono improvviso e ripetuto, può provocare sensazioni di fastidio, attacchi di panico, senso di aggressione, alterazioni del comportamento, stress, insonnia.
Per sopportare tale rumore senza immediate conseguenze per la salute sarebbe necessario abitare ad almeno 500 metri dai binari. Per una zona coma la Val Susa, già attraversata da ferrovia, autostrada e due statali, non si potrebbe ricavare la fascia di sicurezza senza distruggere interi paesi e campi coltivati.
Inoltre in una valle stretta con alte catene di monti sui lati, il rumore sarebbe amplificato da un effetto eco imprevedibile e difficilmente evitabile anche per le località poste sui pendii. L’unica prospettiva di molti valsusini sarà quella di essere costretti ad abbandonare le case, i posti in cui si è trascorsa un’esistenza.
Il dissesto idrogeologico
La costruzione di gallerie e viadotti per il transito del Tav provocherà una serie di disastri ambientali in grado di modificare l’aspetto di una valle. Lo scavo di gallerie (soprattutto con l’uso di mine) può modificare il corso delle falde acquifere sotterranee che alimentano sorgenti, prosciugando di fatto intere zone montane (come si è già verificato con lo scavo delle gallerie dell’autostrada e della centrale idroelettrica in costruzione in alta Val Susa).
La cementificazione di ampie fasce unita alla deviazione dei corsi d’acqua superficiali e sotterranei, porterà più velocemente l’acqua verso la pianura, aumentando il rischio di alluvioni. Inoltre pare che il massiccio alpino dell’Ambein, sotto il quale dovrebbe correre il Tav, sia ricco d’uranio. L’estrazione di tale materiale dal sottosuolo causerebbe l’esposizione delle popolazioni d degli operai alle radiazioni, con gravi danni alla salute (tumori e leucemie).
La campagna
Si avranno perdite nelle superfici coltivabili, prati e boschi verranno distrutti, per far posto a grandi discariche di materiale estratto dalle gallerie. Enormi massicciate e recinzioni impediranno, come già avviene ora con l’autostrada, i naturali spostamenti degli animali selvatici.
I cantieri
Gli inconvenienti dei cantieri saranno rumori, vibrazioni, polvere, sporcizia sulle case, crolli parziali, fessure nelle abitazioni causate dalle mine, aumento del traffico a livelli considerevoli.
2) Il trasporto: le persone e le merci
L’Alta velocità per il trasporto di persone e l’Alta Capacità per il trasporto di merci sono due progetti separati, tecnicamente diversi, ma entrambi svantaggiosi, anche economicamente vista la gran quantità di denaro pubblico necessario.
È inoltre criticabile la prospettiva di un aumento delle merci trasportabili dato che il mondo consumista ne è già saturo, e conseguentemente anche di rifiuti. A nostro avviso bisognerebbe ridurre la produzione e il consumo ai limiti strettamente necessari per evitare che, ad esempio, un valsusino consumi latte tedesco o che un siciliano mangi arance israeliane.
3) Il lavoro
Gli speculatori dell’Alta Velocità sperano di convincere la popolazione ad accettare l’opera con il ricatto della ricaduta economica che si avrebbe sulla valle e con l’offerta di posti di lavoro.
Non vale la pena veder distruggere la propria valle, subire una generale diminuzione della qualità della vita in cambio di qualche anno di lavoro.
4) La velocità
A chi interessa veramente risparmiare tempo, azzerare il più possibile le distanze non curante di quello che viene sacrificato? A chi preme tenere la contabilità di ogni nostro minuto, farsi inghiottire dalla tirannia della fretta, spianare colline, bucare monti, tagliare boschi per arrivare prima? A chi vuole massimizzare i profitti o a chi si troverà del tempo in più, ma solamente per lavorare di più oppure per “divertirsi” in mezzo a sempre più merci, in un mondo sempre più avvelenato. Accorciare il tempo è il sogno di chi vuole spostare più rapidamente il proprio potere di comandare e di abbrutire.
Gruppo anti Tav
2 — Da un’intervista rilasciata da Nicoletta Dosio (coordinatrice dell’Associazione Ambientale Valle di Susa, di Rifondazione comunista) ai microfoni di radio Black Out.
Le ragioni per cui io, cittadino della Valle di Susa, come ambientalista e soprattutto come abitante della valle, sono contraria all’Alta Velocità, non solo in Val di Susa anche in generale, proprio come modello di sviluppo, sono ragioni di tipo ambientale, economico, sociale e anche culturale.
Quindi è un no totale, non solo per la valle suddetta, ma per l’Alta velocità in sé. Direi che la Valle di Susa può essere un laboratorio interessante per la comprensione di un modello di sviluppo che comunque porterebbe i suoi danni e i suoi frutti negativi un po’ in tutto quanto il paese, proprio come modello di sviluppo globale della società.
[…] Noi vogliamo altro, vogliamo linee che funzionino, un servizio per cittadini, per gli utenti, un servizio che non sia inquinante, l’AV anche da questo punto di vista è inquinante perché ha anche un consumo molto maggiore di energia elettrica e così via, quindi non è certo il sistema che può servire tanto alle casse dello Stato quanto all’ambiente che lo dovrebbe ospitare con grande distruzione. I costi economici sono anche legati al fatto che il modello stesso dell’Alta Velocità significa un’elefantiasi dei centri di fermata, e la desertificazione di tutto ciò che c’è in mezzo; cioè i territori, a parte pochi grandi centri che potrebbero essere Torino, Milano, Lione e via dicendo, tutto il resto diventerebbe davvero periferia desertificata, dove i servizi vengono tagliati, quelli del trasporto ma anche i servizi complessivamente.
[…] Dicevo che sono contraria all’AV anche per ragioni culturali, e politiche diciamo, perché è il modello stesso di sviluppo che è sotteso nell’AV che non è accettabile. In fondo il sistema dell’AV è funzionale a un modello di sviluppo che è quello delle macroregioni, direttamente legate ad una nuova sistemazione, ad una globalizzazione neoliberista dell’economia. L’AV serve ai turbo dirigenti, a coloro che devono gestire il lavoro nelle parti più lontane del globo e che portano con sé nuove distruzioni, nuovi sfruttamenti, o servono per questo mulinello di merci che dovrebbero girare per l’Europa e per il mondo portando non certo benessere ma consumismo. L’AV è davvero funzionale a tutto questo, come lo sono i mega-elettrodotti, la sistemazione telematica del mondo, che, così com’è governata non ha certo la funzione di creare né consapevolezza, né collegamento tra i popoli. Noi sappiamo che il rapporto tra i popoli deve passare tra altre cose che non sono l’AV. Questa toglie spazio alla vita, è affine ai ragionamenti che dicono che il tempo è denaro, è legata a un modello di sviluppo che gioca sul produrre e consumare, consumare e produrre, a cui viene legato ogni spazio per quel che è umanità, rapporto con la natura, il diritto veramente di vivere in una dimensione diversa.
[…] Allora tutto questo non è il mondo che voglio io ma non è neanche il mondo ch’io credo possa servire a realizzare una vita equa, di persone che vivono una vita accettabile, una qualità di vita che non sia solo quella della produzione e del consumo.
Ecco, direi che in sintesi questi sono i motivi per cui, anche in valle, siamo stati contro l’AV fin dall’inizio, perché abbiamo capito che altro ci vuole affinché questa valle possa vivere, ma perché tutto il paese, tutto il mondo possa vivere. È un mondo di sfruttatori e sfruttati, quello che passa per l’AV, ma noi vogliamo un mondo di uguali, di gente libera, di gente anche serena, di gente che possa… vivere!
3 — Non tutti sono disposti a salire su quel treno
I padroni del cemento e dei camion, gli specialisti della menzogna e della repressione sono al lavoro, in val di Susa, nel Veneto, in Emila, Toscana, fino a Napoli. Ognuno a proprio modo si sta dando da fare, questa volta con il TAV, a piegare la nostra vita ai loro criteri. In nome di una crescita economica presentata come indispensabile (e mai raggiunta), di un’Economia a cui bisogna sacrificare tutte le energie umane vogliono, nel caso del Treno ad Alta Velocità farci credere che la posa di tonnellate di cemento, il livellamento di colline, le gallerie nelle montagne, la distruzione irreversibile del territorio in cui viviamo sia un bene collettivo o il male minore da accettare. Una menzogna evidente, incapace di dissimulare gli affari e gli interessi organizzati di quanti nel business sono coinvolti. La gente sente che si sta compiendo un’altra spoliazione, un altro grave attentato alla propria vita.
L’evidenza del disastro – di cui il TAV i un tassello – incomincia a far agire le persone, ad allargare il numero di quanti iniziano a rovesciare l’ansia sterile e sventurata per un proprio futuro di senzalavoro, senza merce, senza spettacolo, in riappropriazione del presente.
Questo fa paura. E agiscono cercando di sterilizzare, di recuperarci alle loro miserie, di dividere, di confondere e di reprimere.
Per il TAV cercano di occultare i disastri che stanno facendo e le rapine che hanno già fatto con le tangenti, uccidendo e imprigionando, spingendo i loro mezzi d’informazione a montare campagne criminalizzatrici per nascondere il rumore delle ruspe; incriminano e imprigionano per reclamare la militarizzazione dei territori e impedire ogni opposizione.
Il TAV e l’ennesima operazione per piegarci, per costringerci a muoverci alla loro velocità, per raggiungere più velocemente la miseria di Torino partendo da quella di Milano, Trieste o Napoli, tra paesaggi desolati, in una corsa sterile di uomini senza vita tra luoghi senza vita.
Non tutti sono disposti a salire su quel treno.
El Paso – Nautilus
4 — Riprendiamoci la poesia
In una valle tanto simile alla nostra nessuno ignora che il Treno ad Alta Velocità sia un flagello per tutti. E’ dal novantasei che in Val di Susa sconosciuti si ingegnano di ostacolarne l’arrivo: decine sono stati gli attacchi ed i sabotaggi contro promotori ed esecutori di questo progetto. Due anni di poesia, i desideri di tutti messi in pratica da chiunque. Ora ce lo vogliono scippare, questo sogno. Giovedì 5 marzo, con una operazione spettacolare, i Ros e la Digos di Torino arrestano tre anarchici, accusandoli di aver costituito una banda responsabile di tutti gli attacchi. Due piccioni con una fava, per i gestori di questo presente insopportabile: da una parte incastrano alcuni nemici giurati della noia quotidiana, dall’altra intubano un fatto collettivo di tutti i valsusini spacciandolo per una questione privata tra anarchici ed autorità. In una valle come la nostra c’è chi lotta contro alcune delle innumerevoli nocività del capitale, senza deleghe e con il buon vecchio metodo del sabotaggio: nella nostra valle di certo non mancano le nocività da sabotare. Quando piccoli sogni cominciano ad essere messi in pratica e la critica del presente si fa acuminata i grandi sogni si fanno strada: ed è affare di tutti, è poesia.
Le sabot
5 — Editoriale de l’evasione n. 12
Tre arresti nella notte di giovedì 5 marzo. Con una spettacolare incursione di Digos e carabinieri in tre spazi occupati di Torino, azioni, come il solito, condite con danneggiamenti, pisciate sui letti e il classico repertorio di arroganza e brutalità, si è voluto consegnare alla stampa e alla famigerata “opinione pubblica” i “terroristi” o meglio “gli eco-terroristi” infelice formuletta utilizzata da diversi anni per designare chiunque non rimanga a guardare lo scempio ambientale. Banda armata e associazione a delinquere con finalità di terrorismo, sono le imputazioni con cui si vorrebbero rinchiudere possibilmente per lungo tempo gli inquisiti, ma di più ancora, le formule con cui si pretende di semplificare una rivolta diffusa e caparbia tra la gente della Val di Susa. La costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità in questa valle del Piemonte è un esempio, anche se particolarmente aggressivo non certo il solo, dell’unico rapporto esistente tra il Capitale e la terra, tra il profitto e la natura, tra la merce, il denaro, la tecnologia e l’ambiente. Un rapporto desolante di distruzione e asservimento. Chiunque nella propria zona saprebbe descrivere situazioni analoghe: la costruzione di un inceneritore, una nuova autostrada, fabbriche inquinanti (quali non lo sono?), progetti militari e via dicendo. Chiunque saprebbe raccontarci poi l’epilogo della vicenda fatta di ipotetici scontri tra fautori del progetto e ambientalisti, di complicate diatribe tra esperti dell’una e dell’altra parte, di sindaci disposti a fare fuoco e fiamme per evitare il progetto e che poi stranamente ritornano a più miti consigli e così avanti. Alla fine comunque, con qualche rassicurazione in più per i cittadini, il progetto si farà e tutto si acquieterà almeno fino al prossimo “incidente”. La solita farsa. Ma quando la risposta della gente assume forme più decise e più nette, quando si capisce che non ci sono più firme da raccogliere, più fiaccole silenziose da sventolare, né parole vuote da concedere ai politici o ai rappresentanti di turno, per qualcuno, in alto, cominciano le preoccupazioni.
Allora la gente si organizza direttamente, senza deleghe, si incontra nelle Piazze, dentro i bar, per le strade e si passa parola, ci si rende conto della minaccia e non ci si lascia più ingannare; ci si organizza senza capi né responsabili, si oppone il proprio no deciso ed irrevocabile a questo nuovo attacco dei padroni. Si pensa come fermare il progetto per non trovarsi ancora una volta, a conti fatti, a potersi solamente lamentare, si agisce subito, si studiano forme di pressione, manifestazioni, blocchi alle strade ed ai cantieri, forme di non collaborazione con tutti quelli che lavorano al progetto, dai rilevatori, ai geometri, agli operai. E allora, qualcuno, tanti, tutti, si opporranno direttamente, anche con l’attacco diretto, anche col sabotaggio, anche distruggendo la notte il lavoro criminale che le ditte avranno fatto durante il giorno. Ecco quello che spaventa gli inquinatori, un panorama di protesta diffusa, di mille attacchi, impossibile da ricondurre a pochi solamente, ma espressione corposa di un rifiuto che va piegato. Con ogni mezzo. Per questo la repressione crea le bande armate, i “terroristi” e i “clandestini” per minacciare e dissuadere tutti. Non sappiamo nulla riguardo alle responsabilità dei tre arrestati, Edoardo Massari, Silvano Pelissero e Maria Soledad Rosas, né ci interessa appurarle, a loro, come a chi mette con dignità i bastoni tra le ruote del nuovo mito della velocità, la nostra piena solidarietà. Edoardo e Silvano li conosciamo bene, sono compagni nostri, amanti irriducibili della libertà, loro come noi tra quelli che non si rassegnano a guardar passare i treni e a sputare a terra imprecando.
6 — Una lettera
Valle di Susa, 28 marzo 1998
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Alla redazione di Luna Nuova, Avigliana
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Alla redazione della Valsusa, Susa
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A Luciano Frigieri, presidente Comunità Montana Bassa Valle
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A Evelina Bertero, residente Comunità Montana Alta Valle
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A Mario Carvagna, pres. Pro Natura
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A Radio 2000 Black Out, Torino
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A Silvano Pellissero, carcere di Cuneo
OGGETTO: alcune considerazione sulla morte di un uomo.
È appena stata resa nota la notizia della morte di Edoardo Massari, avvenuta nel carcere delle Vallette dov’era detenuto in carcerazione preventiva perché accusato di alcuni atti di danneggiamento avvenuti in Valsusa contro l’alta velocità ferroviaria. Alcune considerazioni sono doverose di fronte alla morte di un uomo. Tutti i giornali si sono accaniti contro le tre persone arrestate in merito all’inchiesta sui Lupi Grigi, scatenando una campagna diffamatoria definendo “terroristi” persone invece accusate di semplici danneggiamenti, e condannando ogni minima dimostrazione di solidarietà con persone private della Libertà. No si vuole entrare nella discussione sulla innocenza o colpevolezza degli accusati, ma accanirsi contro Edoardo, Soledad, Silvano e contro tutte le persone a loro vicine, additandoli come delinquenti è profondamente ingiusto e denota mancanza di critica realistica.
Chi scrive non è uno “squatters” dei centri sociali di Torino, né un “ecoterrorista” e tanto meno un Lupo Grigio (casomai una “Lepre variabile” dal giallo della rabbia al rossi dell’indignazione), ma bensì un abitante della Valle di Susa che riflette su ciò che gli accade attorno cercando di non lasciarsi omologare dal coro che unanime si sente in Valle. Il fatto che oggi fa riflettere è la morte di un ragazzo rinchiuso in un carcere accusato di “terrorismo” per aver al massimo danneggiato qualche struttura.
La domanda è: chi distrugge e rende invivibile un’intera Valle, chi spiana campi coltivati e paesi abitati da sempre per fare spazio a rumorosissimi viadotti e desolanti massicciate, chi prosciuga sorgenti di montagna desertificandola per forare gallerie apportatrici di mortali radiazioni uranifere, chi fa tutto ciò e anche cose peggiori per far correre ad alta velocità treni e denaro, sbandierando l’avanzata del “progresso” e delle comunicazioni ebbene costoro come devono essere definiti? È giusto che questi speculatori abbiano il diritto di devastare una valle solo perché operano nella “legalità”? (Quest’ultima del tutto discutibile, vedere Necci & C.)
Ora si parla del blocco del progetto Tav Torino-Lione da parte del governo, se ne ridiscuterà tra 10-20 anni. Ma questo non modifica la situazione, L’AV è nociva oggi come lo sarà in futuro. Un futuro sempre più abbrutito e impoverito di valori da strutture imposte e rese apparentemente indispensabili per la vita degli uomini, ma in realtà solo create da speculatori che si arricchiscono sempre più senza alcuna considerazione per la vita delle persone, come è stato per la vita di Edoardo Massari.
Tutti coloro che si sono dimostrati soddisfatti dell’arresto dei tre accusati (giornali per primi) ora saranno felici che uno di loro è stato ucciso portandolo alla disperazione del suicidio. La loro soddisfazione sarà senz’altro celata dietro ad un velo di pietà e commozione per un fatto di cronaca così “drammatico e incomprensibile”. Come già detto chi scrive non è un “ecoterrorista” né un sabotatore ma comunque apprezza maggiormente l’operato di questi personaggi che quello di tutti quegli speculatori che l’AV la vogliono costruire a tutti i costi (cosi sostenuti naturalmente dalle popolazioni, sia come costi ambientali che come finanziamenti pubblici spillati ai contribuenti).
Scelgo purtroppo di non firmare questa lettera (non verrebbe sicuramente pubblicata comunque) perché temo che anche la mia persona sarebbe bersaglio di assurde indagini a causa di questo semplice e sincero scritto, considerato che la solidarietà è orami considerata partecipazione e collaborazione con gli autori dei danneggiamenti.
Anche questo è un grave sintomo di questa nostra società malata: la reale mancanza di libertà.
Comunque, cordiali saluti a tutti, in particolare a chi cerca di opporsi con ogni mezzo all’alta velocità (o alta capacità), nella speranza che la morte di Edoardo Massari non sia stata inutile e che non venga subito dimenticata.
Un valsusino fuori dal coro
…alla difesa degli spazi occupati a Torino
Cronologia (seconda parte)
1998
Venerdì 6 marzo
Organizzato per un altro motivo — il consiglio comunale doveva discutere di alcune proposte presentate tempo prima dalle destre che chiedevano lo sgombero degli spazi occupati — si svolge un presidio di protesta davanti al Municipio in centro città a Torino. I partecipanti protestano contro gli arresti dei tre anarchici, contro gli sgomberi avvenuti e contro l’aggressione delle forze dell’ordine. Dopo un lancio di fumogeni e di vernice, polizia e carabinieri si preparano a caricare i presenti, che si disperdono. La caccia all’uomo continua per quasi un’ora in tutto il centro città, da via Garibaldi a Piazza Carlo Alberto, a via Po, fino all’università e a piazza Vittorio. Durante l’inseguimento vengono infrante decine di vetrine. Diciassette persone vengono fermate e denunciate, sei delle quali sono trattenute in stato d’arresto.
In serata alcuni occupanti di via Alessandria riescono a salire sul tetto dell’Asilo, nonostante la massiccia presenza di celerini e carabinieri che impediscono l’ingresso all’edificio chiudendo la via; sono molte le persone che affluiscono al presidio in strada. Nella notte le forze dell’ordine si ritirano. L’Asilo di via Alessandria è rioccupato.
Tutta la giornata viene seguita in diretta da Radio Flash e, soprattutto, da Radio Black Out (la radio del movimento torinese).
Intanto Forza Italia, Alleanza Nazionale, la Lega e il Cdu chiedono le dimissioni del sindaco Castellani, accusato di tollerare la presenza in città degli spazi occupati.
Sabato 7 marzo
Nella notte vengono lanciate alcune molotov contro una sede di AN a Torino.
Tutta la stampa sbatte in prima pagina la notizia dell’avvenuto arresto di tre “ecoterroristi che si nascondevano negli spazi occupati” e degli scontri avvenuti il giorno prima, dando grande risalto più che altro alle vetrine andate in frantumi.
Nel pomeriggio vengono distribuiti volantini nei pressi di Porta Palazzo; poi vengono interrotte le riprese del nuovo film di Gianni Amelio che si stanno svolgendo in centro. I manifestanti raccolgono la solidarietà di parte della troupe. Da lì parte un corteo che raggiunge l’Asilo di via Alessandria.
Domenica 8 marzo
Nella conferenza stampa in cui vengono annunciati gli esiti dell’operazione del giovedì precedente gli inquirenti sostengono di possedere “prove granitiche” contro gli imputati. In realtà le accuse specifiche riguarderanno alla fine solo episodi che nulla hanno a che vedere con i sabotaggi contro il Tav.
Vengono rilasciate le sei persone arrestate dopo gli scontri in centro. Le accuse nei loro confronti sono di “danneggiamento, lesioni e adunata sediziosa”.
Lunedì 9 marzo
Vengono interrogati Silvano, Edoardo e Soledad. Il gip Fabrizia Pironti ne convalida l’arresto con l’accusa di “associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico”. Cade così l’imputazione di “banda armata” chiesta dal pm. “La Stampa” dà notizia di un procedimento aperto contro El Paso in riferimento al comunicato emesso subito dopo gli arresti: l’accusa è di apologia di reato e si riferisce ad alcune frasi di approvazione dei sabotaggi avvenuti in Val Susa.
Martedì 10 marzo
Il consigliere provinciale Pasquale Cavaliere, dei Verdi, si reca in carcere a visitare gli arrestati.
Mercoledì 11 marzo
Viene annunciata la nascita del “Comitato Spontaneo dei Cittadini per Torino Città Sicura”, presieduto da Dennis Martucci di Forza Italia, che chiede “lo scioglimento pacifico, progressivo e definitivo dei centri sociali”. Compare sui giornali l’appello di Dario Fo, a Torino per presentare il suo nuovo spettacolo su Sofri e Calabresi, che invita gli squatter ad andare a trovarlo.
A Bussoleno, in Val Susa, compaiono scritte contro il Tav e in solidarietà con gli anarchici arrestati. Nelle notti seguenti scritte analoghe e volantini compariranno sui muri di altre cittadine piemontesi.
Giovedì 12 marzo
Alcuni squatter si recano nel pomeriggio dal premio Nobel Dario Fo, che quella sera stessa terrà a Torino la replica del suo nuovo spettacolo teatrale dedicato al caso Calabresi. Fo, dopo essersi fatto raccontare la loro versione di quanto avvenuto, promette agli squatter di concedere loro il palcoscenico alla fine dello spettacolo previsto in serata. Ma quella sera c’è anche chi non è a conoscenza dell’accordo preso tra squatter e premio Nobel. Poco rispettosi della sacralità del teatro alcuni presenti cominciano a rumoreggiare, infastidendo il grande attore che li riprende più volte. La scena dell’omicidio di Calabresi viene accolta da un applauso che scatena le ire di Fo, il quale minaccia di abbandonare il palco se i disturbatori non verranno allontanati. Franca Rame accusa una presente di tenere un comportamento fascista, ricevendo una pronta risposta per le rime. L’attrice scoppia in lacrime. La rappresentazione viene interrotta e riprenderà dopo cinque minuti, richiesta a gran voce dal pubblico, mentre la ragazza che ha insultato Franca Rame lascia la sala e gli squatter presenti rimangono in silenzio. Salta naturalmente il loro previsto intervento. Dario Fo dirà poi che uno degli squatter va a giustificarsi da lui per l’accaduto durante l’intervallo.
Qualche giorno dopo Franca Rame tornerà di nuovo a piangere a Bologna, dove alcuni anarchici si recano, non solo ad informare sulle vicende torinesi, ma anche a contestare il loro spettacolo.
Sabato 14 marzo
Oltre cinquecento fra squatter, anarchici e autonomi partecipano alla manifestazione organizzata per protestare contro gli arresti ai danni dei tre anarchici. Il corteo non registra incidenti. I giornalisti presenti vengono fatti allontanare, ad un fotografo viene strappato il rullino, una telecamera viene distrutta. Lungo il percorso del corteo vengono tracciate scritte e affissi manifesti sui portoni di alcune sedi di partito.
Domenica 15 marzo
Verso l’alba, dopo una festa al Prinz Eugen occupato, scoppia una rissa che si trasferisce all’esterno dell’edificio. Immediatamente piombano sul posto una decina di pattuglie della polizia che, approfittando della situazione, malmenano i presenti, arrestandone due. Poche ore dopo, in mattinata, si tiene un presidio spontaneo di protesta davanti alla questura per chiedere la loro immediata liberazione, che invece avverrà solo tre giorni dopo.
Lunedì 16 marzo
In Piazza Palazzo di Città, di fronte alla sede del Comune, si tiene un magro presidio organizzato dal “Comitato Spontaneo dei Cittadini per Torino Città Sicura” a cui partecipano tutte le forze di destra. Si trovano affiancate la protesta contro le occupazioni e quella contro la presenza di prostitute, extracomunitari, tossicodipendenti, eccetera.
Nel frattempo si svolge un blocco stradale all’incrocio di via Po con piazza Vittorio. Vengono lasciate sulla strada, a formare una barricata, divani, pneumatici e rottami vari. La polizia ferma quattro passanti a qualche isolato di distanza, li malmena e li porta in Questura dove saranno denunciati per “blocco stradale”. Anche in questo caso si tiene immediatamente un presidio di protesta davanti agli uffici della Questura.
Venerdì 20 marzo
Blitz nel salone de “La Stampa” di via Roma: vengono lanciati vermi e coriandoli, i vetri sono sporcati con silicone, e vengono sparati due fumogeni. Sul posto viene lasciato un volantino contro i giornalisti.
Si apprende la notizia che a Bussoleno, in Val Susa, sono rinvenuti volantini anti-Tav nella piazza del mercato. Il volantino esprime solidarietà agli anarchici arrestati, critica in quanto inutili gli sforzi compiuti dai politici locali di ostacolare l’Alta Velocità e guarda con simpatia alle azioni di sabotaggio. Nei giorni seguenti i rappresentanti dei Verdi diffondono un comunicato per ribadire la loro condanna di qualsiasi “azione violenta”.
Martedì 24 marzo
Edoardo, Silvano e Soledad compaiono davanti al Tribunale della Libertà. Viene deciso di disporre una perizia sul misterioso tubo metallico trovato nella Casa occupata, a detta della accusa una “pipe-bomb”, che in realtà è il residuo di un bengala usato.
Giovedì 26 marzo
Il Tribunale della Libertà respinge la richiesta di scarcerazione per i tre anarchici arrestati. La stessa sera una quindicina di persone interrompono una conferenza stampa dell’attore Harvey Keitel che si stava tenendo in un cinema torinese, salgono sul palco, lanciano volantini in mezzo al pubblico e offrono alla vista di tutti le “prove granitiche” del pm: una carriola di cubetti di porfido.
Alleanza Nazionale, attraverso il suo capogruppo Agostino Ghiglia, presenta una interrogazione alla giunta regionale per sapere se Radio Black Out possiede i requisiti legali per trasmettere.
Sabato 28 marzo
Edoardo Massari viene trovato impiccato nella sua cella del carcere delle Vallette a Torino. Nel giro di poche ore arriveranno là numerosi politici: una delegazione dei Verdi guidata da quel Pasquale Cavaliere che aveva incontrato Massari pochi giorni prima, il deputato dell’Ulivo Furio Colombo e il sottosegretario agli Esteri Piero Fassino. La cella viene posta sotto sequestro, assieme a tutte le carte contenute. Il ministro dell’Interno e il capo della polizia si mettono in contatto col prefetto di Torino, preoccupati per le conseguenze che questa morte potrebbe avere.
La notizia della morte di Baleno si diffonde rapidamente. Nel primo pomeriggio parte un corteo spontaneo non autorizzato di circa duecento persone che dal Balôn si dirige verso il centro, seguito da presso da ingenti forze di polizia. In testa al corteo uno striscione con una sola scritta: Assassini. Lungo il percorso viene distrutta una telecamera della Rai mentre un fotografo troppo intraprendente si prende un pugno. Vengono tracciate scritte su una palizzata in piazza Duomo e uno striscione viene appeso sulle mura delle Porte Palatine.
In serata un altro corteo spontaneo e non autorizzato parte da piazza Vittorio e cerca inutilmente di dirigersi verso il centro.
Domenica 29 marzo
Alle prime ore dell’alba viene rioccupata la Casa di Collegno, sgomberata in seguito agli arresti dei tre anarchici.
Tutti i giornali riportano la notizia della morte di Massari, che ora viene dipinto come un giovane fragile vittima di una inchiesta giudiziaria. I tre arrestati, secondo la stampa, da sicuri appartenenti dei “Lupi grigi” si trasformano in “fiancheggiatori” degli stessi e quindi in “emuli”. Al pm Maurizio Laudi, titolare dell’inchiesta sulle azioni contro i cantieri dell’Alta Velocità, viene assegnata una scorta.
Soledad, a cui non vengono consegnate le ultime lettere scritte da Edoardo, viene messa sotto osservazione e inizia uno sciopero della fame. Intanto viene annunciata per il sabato successivo una grande manifestazione nazionale di protesta.
A Milano vengono esposti striscioni di protesta sul Duomo e nelle vie del centro.
Lunedì 30 marzo
Anche Silvano, rinchiuso nel carcere di Cuneo, inizia lo sciopero della fame. Soledad chiede che le sia concesso di partecipare ai funerali di Edoardo. Il consigliere regionale dei Verdi Pasquale Cavaliere si reca a trovarla in carcere.
Martedì 31 marzo
Anche alcuni occupanti dell’Asilo di via Alessandria iniziano uno sciopero della fame, a rotazione, in solidarietà con i due anarchici detenuti.
Alcuni politici, sindacalisti, storici, sociologi e operatori sociali lanciano un appello in favore dell’apertura di un dialogo fra istituzioni e “squatter”.
A Bologna gruppi di anarchici fanno irruzione in due cinema, interrompono la proiezione per leggere e diffondere comunicati in solidarietà con gli anarchici arrestati, contro l’Alta velocità e il sistema carcerario. Sette di loro verranno denunciati per “violenza privata”.
Mercoledì 1 aprile
Uova piene di vernice vengono lanciate contro l’edificio che ospita il Tribunale della Libertà. Alcuni deputati dell’Ulivo fanno un giorno di sciopero della fame per protestare contro il mancato permesso a Soledad di partecipare ai funerali di Edoardo.
Giovedì 2 Aprile
È il giorno dei funerali di Edoardo Massari. Continua a manifestarsi l’ostilità nei confronti dei giornalisti. In mattinata, davanti all’istituto di medicina legale, ad uno di loro viene strappata la telecamera che viene distrutta contro un muro. Uova piene di vernice sono lanciate contro gli uffici del quotidiano La Stampa. Nel pomeriggio si tengono nel paesino di Brosso le esequie. Malgrado parenti e amici dell’anarchico defunto abbiano fatto sapere di volere una cerimonia privata, senza politici e giornalisti, questi si presentano comunque all’appuntamento. Invitati ad allontanarsi, alcuni di loro seguono il consiglio, altri invece no. Contro questi ultimi scoppia la rabbia dei presenti. A farne le spese è soprattutto Daniele Genco, giornalista che già in passato aveva calunniato Baleno e che si trovava sul sagrato ad attenderne il cadavere. Genco viene picchiato duramente mentre altri rappresentanti della stampa trovano danneggiate le proprie vetture.
Al funerale partecipa anche Soledad, dopo avere ottenuto all’ultimo momento il permesso dal gip Fabrizia Pironti, sollecitata in tal senso anche da numerosi politici. Alla cerimonia funebre, officiata dal vescovo di Ivrea, è presente anche don Ciotti. In serata si tiene davanti al carcere torinese delle Vallette un sit-in a cui partecipano oltre un centinaio di persone.
In Senato le forze di destra chiedono di vietare la manifestazione nazionale annunciata per il sabato successivo.
A Bologna un presidio sotto il carcere minorile, organizzato per protestare contro la morte di Baleno, finisce con incidenti e scontri fra i circa duecento partecipanti e la polizia.
Venerdì 3 aprile
Sui giornali riesplodono le polemiche in merito alla natura “buona” o “cattiva” degli “squatter” dopo l’avvenuto pestaggio del giornalista durante i funerali di Edoardo. Sotto accusa è anche la polizia per non essere stata capace di impedire il pestaggio del giornalista. Aumentano le preoccupazioni per la manifestazione nazionale indetta per il giorno seguente. Il ministro dell’Interno Napolitano dà comunque il via libera: la manifestazione si farà.
A Torino una telefonata anonima giunta in mattinata al “gruppo Abele” consiglia a don Ciotti di tenersi per sé il proprio letame. Si tiene nel primo pomeriggio una conferenza stampa di alcuni squatter: frattaglie di macelleria sono presentate ai giornalisti che vengono invitati a abbuffarsi. In serata una decina di persone entrano in un noto supermercato torinese poco prima della sua chiusura, si dirigono verso il reparto ortofrutticolo, dove mangiano, distribuiscono volantini e lasciano uno striscione tra gli scaffali: “Abbiamo una fama da Lupi grigi”.
A Padova viene lanciata una molotov contro l’ingresso del Provveditorato all’amministrazione penitenziaria. Una telefonata anonima all’Ansa di Venezia fa sapere che si tratta di una “risposta al suicidio di Stato” di Edoardo Massari.
A Bologna con una telefonata all’Ansa una voce anonima annuncia attentati contro la regione Emilia-Romagna e due banche “per ricordare il compagno anarchico Edo”.
Sabato 4 aprile
Si svolge a Torino la manifestazione nazionale indetta da tutti gli spazi occupati di Torino e da radio Black Out. Dalle sette alle diecimila persone sfilano per le vie della città, molte più di quelle attese dalla polizia. L’adesione all’iniziativa è fra le più assortite: si va dagli anarchici agli autonomi, dai centri sociali contrari alla legalizzazione degli spazi occupati a quelli a favore, e poi svariati esponenti della Cgil, di Rifondazione Comunista, dei Verdi, del Pds, dei Cobas, della Fiom, dell’Assopace, del Coordinamento Genitori e di molte altre forze della sinistra istituzionale. Durante il percorso viene preso di mira da un fitto lancio di sassi il nuovo Palazzo di giustizia, in via di costruzione, che riporta parecchi danni. Uova, fumogeni e sassi vengono lanciati anche contro il carcere delle Nuove. I soli giornalisti visibili si terranno a debita distanza, protetti da ingenti forze della polizia.
A Bologna una telefonata anonima annuncia la presenza di una bomba all’interno della sede del Comune: “Edo è con noi” dice la voce anonima. La polizia non troverà nessuna bomba.
Domenica 5 aprile
Scoppiano le polemiche sulla partecipazione al corteo dell’assessore al bilancio del Comune di Torino Stefano Alberione, di Rifondazione Comunista. Le forze dell’opposizione, AN e Forza Italia, ne chiedono le dimissioni. I commercianti torinesi annunciano che contro gli “squatter” useranno i bastoni.
Il procuratore capo di Ivrea Giorgio Vitari interroga in ospedale Daniele Genco, il giornalista percosso durante i funerali di Massari. Genco indica al magistrato uno dei suoi aggressori. Il questore di Torino Faranda promette che gli autori degli atti vandalici compiuti durante il corteo verranno tutti denunciati.
Alcuni tifosi del Torino espongono allo stadio uno striscione in solidarietà con gli “squatter”.
Lunedì 6 aprile
Il pm Marcello Tatangelo, che conduce le indagini sugli attentati in Val Susa assieme a Maurizio Laudi, interroga i due anarchici arrestati. Silvano si rifiuta di rispondere.
La Giunta comunale di Torino è in piena crisi. Il sindaco Castellani ritira la delega ad Alberione dopo che questi afferma di non essersi per nulla pentito di aver partecipato al corteo del sabato precedente, corteo che avrebbe provocato danni stimati prima in miliardi, poi in qualche centinaio di milioni di lire.
Martedì 7 aprile
La magistratura decide di incriminare gli autori dei “vandalismi” verificatisi nel corso della manifestazione nazionale per il reato di “devastazione”. I carabinieri dichiarano di voler chiudere l’inchiesta entro un mese. Continuano le polemiche sulla partecipazione al corteo da parte di Alberione, che si estendono anche all’interno del partito della Rifondazione Comunista.
Anche il giornale del Vaticano, l’Osservatore Romano, trova parole di comprensione per gli “squatter”.
Giovedì 9 aprile
È la volta di Giovanni Bressano, dipendente della Provincia, ad essere messo sotto accusa: Bressano è infatti formalmente il direttore responsabile di radio Duemila Black Out. Convocato dall’Ordine dei giornalisti del Piemonte, Bressano dichiara di essere intenzionato a continuare a ricoprire questa carica a condizione che i redattori della radio prendano le distanze da ogni azione violenta.
Sabato 11 aprile
Gli squatter organizzano una conferenza stampa nei saloni del Museo dell’Artiglieria dove presentano il Presidente Gonzalo, definito “una soluzione radicale per il dialogo con gli squatter di Torino”.
Stefano Alberione scrive una lettera di scuse per la sua partecipazione al corteo e puó così tornare a ricoprire la carica di assessore.
Martedì 14 aprile
La Procura della repubblica di Ivrea spicca tre mandati di cattura contro i presunti aggressori dei giornalisti durante il funerale di Massari.
Mercoledì 15 aprile
Viene arrestato nella propria abitazione Luca Bertola, anarchico di Pont St Martin, accusato di essere uno degli aggressori di Daniele Genco. Il giorno seguente i giornalisti con la nota professionalità che li distingue parleranno di “squatter stanato dal freddo”, descrivendolo alla macchia sulle montagne della bassa Valle d’Aosta.
Giovedì 16 aprile
A Pamplona, nei Paesi Baschi, si tiene un’iniziativa di protesta davanti al vice-consolato italiano. In due mimano una impiccagione al balcone dell’edificio, altri espongono uno striscione “Soledad e Silvano incarcerati, Edoardo assassinato”. Rimarranno appesi un’ora, prima di essere identificati dalla polizia.
Pasquale Cavaliere e Marco Revelli annunciano la creazione di un “Osservatorio sul fenomeno degli squatter”.
Venerdì 17 aprile
A Soledad vengono concessi gli arresti domiciliari. Su un settimanale locale appare la prima intervista concessa da uno squatter, corredata da fotografie.
Morto Baleno, alleggerita la posizione di Soledad, che non era nemmeno presente in Italia all’epoca degli attentati, inizia sui giornali nazionali la campagna di diffamazione nei confronti di Silvano, presentato come un ambiguo personaggio legato in passato all’estrema destra.
Sabato 18 aprile
Nel giorno dell’inaugurazione dell’ostensione della Sindone, alcuni squatter riescono ad appendere uno striscione, che chiede la liberazione degli anarchici detenuti, in cima alle Porte Palatine prospicienti il Duomo. Due di loro si denudano completamente davanti ai pellegrini e vengono denunciati per “atti osceni in luogo pubblico”.
Silvano Pellissero, le cui condizioni fisiche vanno peggiorando a causa dello sciopero della fame, viene trasferito dal carcere di Cuneo a quello torinese delle Vallette. Per il giorno successivo era stato annunciato un presidio di protesta proprio davanti al carcere di Cuneo.
Nel pomeriggio si tiene un’assemblea pubblica indetta da tre centri sociali torinesi, per aprire un dibattito su quello che è successo in città. Nel comunicato che annuncia l’iniziativa, i promotori espongono le loro pregiudiziali al confronto con il mondo politico.
Lunedì 20 aprile
In bassa Val d’Aosta su alcuni muri compaiono scritte contro i giornalisti e per la liberazione degli anarchici arrestati. Nel corso della notte vengono danneggiati veicoli dell’amministrazione comunale.
Silvano è trasferito nel carcere speciale di Novara su disposizione del ministero degli Interni.
Viene interrogato ad Ivrea Luca Bertola, accusato per i fatti di Brosso. Sempre a Ivrea riprende il processo nei confronti di tredici anarchici imputati degli scontri con la polizia avvenuti nel dicembre ’93 durante un corteo in solidarietà con Edoardo, che si trovava allora in carcere con l’accusa di detenzione di esplosivo per essere stato trovato in possesso di pochi grammi di polvere nera. Il clima della città di Ivrea è particolarmente teso, massiccia la presenza delle forze dell’ordine.
Martedì 21 aprile
Condannati tutti gli anarchici processati a Ivrea per gli scontri avvenuti nel dicembre del ’93. Le pene si aggirano attorno ai 10 mesi.
Il gip Emanuela Gai concede gli arresti domiciliari a Luca Bertola, il quale poco dopo tornerà in carcere per scontare una condanna per non aver accettato gli obblighi di leva.
Giovedì 23 aprile
A Rovereto alcuni anarchici fanno irruzione nelle sedi di due giornali locali, vi lanciano un sacco di sterco e volantini intitolati “Giornalisti, veniamo a restituirvi un po’ della vostra merda”, dove si accusa la stampa di essere fra i responsabili della morte di Baleno.
Sabato 25 aprile
Presidio davanti al carcere delle Vallette di Torino per protestare contro la detenzione di Silvano e per chiedere la liberazione dei prigionieri politici, con lo slogan “Liberi tutti”.
Martedì 28 aprile
Nella notte vengono lanciate uova piene di vernice contro il palazzo che ospita l’Ordine dei giornalisti e l’Associazione stampa subalpina a Torino. Sul posto viene lasciato un volantino che ricollega il gesto alla morte in carcere di Edoardo.
Seconda performance pubblica del Presidente Gonzalo, personaggio creato dagli squatter, sulle scalinate dell’Università. Alla fine la Digos interviene per identificare tutti gli interpreti.
«”Abbiamo trovato a casa di Massari e Rosas materiale che è indubbiamente legato all’attività terroristica in Val di Susa” spiega Maurizio Laudi, illustrando l’inchiesta avviata mesi fa dai carabinieri del Ros». La Repubblica, 8/3/98
C’è squatter e “squatter”
Nei giorni che seguono gli arresti di Edo, Silvano e Soledad, l’attenzione di tutti viene dirottata forzatamente dalla situazione valsusina a quella torinese. Sulla ribalta è stato infatti lanciato un nuovo personaggio: “lo squatter”. Tanto che, progressivamente, non sarà più necessario parlare di “Lupi Grigi”. Nel giro di qualche settimana, in sordina, i giornalisti possono addirittura ridimensionare la posizione dei tre arrestati: se inizialmente avevano inchiodato “graniticamente” i tre al ruolo di “Lupi Grigi”, a poco a poco cominceranno a descriverli come fiancheggiatori della supposta banda di sabotatori e infine si troveranno costretti a dire che, tutt’al più, potrebbe trattarsi di emuli.
I padroni dell’Alta velocità, in tal modo, ottengono una importante vittoria: il loro progetto ecoterrorista non è più l’argomento principale attorno al quale ruotano le altre questioni, ma passa in secondo piano.
Tuttavia per gli altri protagonisti dell’operazione repressiva si creano dei problemi accessori, non sempre facilmente gestibili. Problemi generati anche dall’imperizia dei carabinieri e della Digos torinesi, che infarciscono tutta l’operazione con clamorosi errori. Colti di sorpresa per la casuale scoperta da parte di uno degli inquisiti di una microspia posta all’interno della propria vettura, le forze dell’ordine si vedono costrette ad agire con rapidità, quindi ad improvvisare. Il loro primo grossolano errore è quello di arrestare Edoardo Massari e Soledad Rosas all’interno di una casa occupata. Ma, quel che è peggio, invece di limitarsi all’arresto dei tre, danno il via ad una serie di vandaliche perquisizioni ed infine tentano di chiudere tre spazi occupati. Per almeno una settimana, i tutori dell’ordine appesantiscono oltre misura il clima torinese. Sembra quasi che cerchino con cura di provocare, per misurarla, la reazione degli anarchici e dell’ambiente delle occupazioni, seminando scientemente rabbia e disordine.
Ed ecco che, in modo più o meno spontaneo, cominciano a manifestarsi in città alcune pratiche che contengono potenzialmente il germe dell’incontrollabilità. Le vetrine spaccate nelle lussuose vie del centro cittadino di per sé non costituiscono gran cosa, ma riescono a spezzare per qualche istante il quieto tran tran cittadino. I negozianti sono preoccupati: se gli autori di questi gesti non verranno puniti potrebbe crearsi un pericoloso precedente. In fondo, quanto è stabile la pace sociale in una città come Torino? Uno dei problemi più grossi è costituito dal movimento delle occupazioni o anche da tanti altri esclusi che potrebbero, all’improvviso e spinti dalle più differenti motivazioni, far esplodere la propria rabbia indirizzandola contro chi rappresenta nella forma più scintillante il lusso dei pochi inclusi. L’ebbrezza del porfido è contagiosa, i decenni passati l’hanno dimostrato. Si tratta solo del caso più clamoroso. Tutto il periodo che si apre a Torino con gli arresti di Edoardo, Soledad e Silvano sarà scosso da episodi che potrebbero avere una identica possibilità di allargamento. Alla rabbia diffusa si sovrappongono però le ideologie presenti nel movimento, tentando di controllarla e indirizzarla. Come vedremo, ci riusciranno in buona parte, nonostante la presenza di vari incontrollabili che, per scelta lucida o solo perché sopraffatti dalla rabbia, rifiuteranno di farsi limitare provocando a volte polemiche “interne”.
DOCUMENTI N. 1 – 2 – 3 – 4 – 5
Ma “il movimento” torinese, come accoglie questi arresti? Anche grazie alla stupidità dimostrata dalle forze dell’ordine, si fa strada l’opinione che si tratterebbe dell’ennesima provocazione a danno dei posti occupati. A portare avanti questa tesi sono gli squatter e gli autonomi torinesi, che per una volta si trovano d’accordo, mentre solo due spazi occupati metteranno in evidenza a caldo la situazione che si era venuta a creare in Val Susa. Di fatto la protesta si concentra per lo più sugli occupanti arrestati, sugli sgomberi, sulla violenza della polizia, mentre ben pochi si spingeranno più in là per cercare di capire cosa sta in effetti succedendo. In tal modo si finirà col dare una mano a tutti coloro che hanno l’interesse di nascondere in ogni maniera ben altre potenzialità: quelle dello scontro reale che si poteva aprire in Val Susa.
«Il centro della città è rimasto paralizzato per ore, vetrine di negozi prestigiosi sono andate distrutte e alcuni degli angoli più suggestivi di Torino si sono riempiti di scritte, sporcizia e macerie»
Il Giornale, 7/3/98
A questo punto si innesca un meccanismo simile a quello che gli inquirenti hanno voluto produrre in Val Susa con la farsa dei “Lupi Grigi”, fatti diventare — per estensione — i responsabili di tutti i sabotaggi messi in atto contro l’Alta velocità. A Torino viene ripetuta la medesima operazione. Ancora una volta, poi, ad aiutare la repressione preventiva ci pensano alcuni dei protagonisti. Così come in Val Susa i giornalisti hanno approfittato di alcune sbavature degli ignoti sabotatori, per rinchiudere in una identità fastidiosa la rivolta, castrandola dei suoi attributi, adesso approfittano di una identità già abbondantemente confezionata e propagandata a Torino da alcuni partecipanti alle occupazioni: l’identità squatter.
DOCUMENTO N. 1
Gli squatter costituiscono infatti solo una delle varie componenti del movimento delle occupazioni di Torino. Ma nel giro di pochi giorni tutti gli occupanti di Torino e d’Italia, e non solo gli occupanti ma tutti i sovversivi in generale, verranno ribattezzati “squatter” sulle prime pagine dei giornali nazionali. Circoscritta e definita l’identità dei ribelli, la prossima mossa consiste nel manipolarne le motivazioni: non si parla più dei sabotaggi in Val Susa, non si parla più dell’Alta velocità, ma filosofi e intellettuali vengono chiamati a versare fiumi di inchiostro per descrivere il “disagio giovanile” che rende inquieta la vita nelle metropoli. Anche in questo, l’ideologia squatter contribuisce non poco a rendere plausibile l’equivoco. Infatti gli squatter, cioè coloro che si definiscono tali, costruiscono la propria identità su di una pratica — l’occupazione di spazi vuoti da “autogestire” —, non sulle ragioni che li spingono ad agire, facendo di uno strumento il perno attorno a cui ruota la loro vita. Nulla di quanto accade all’esterno riesce a coinvolgerli se non dopo essere stato filtrato dalla mentalità e dal gergo squat. Sia che lo vogliano oppure no, quelle quattro mura in cui vivere finiscono col diventare tutto il loro mondo, tutto ciò che sta loro a cuore. L’ideologia squatter rappresenta la versione urbana moderna del vecchio sogno comunitario caro ai figli dei fiori: trovare un piccolo fazzoletto di territorio dove trascorrere il resto dei propri giorni nel modo migliore, più simpatico e trasgressivo possibile. In fin dei conti, non si tratta di una grossa pretesa.
«Squatter all’attacco strage di vetrine»
La Repubblica, 7/3/98
«Gli “squatter” divisi tra linea dura e distensione»
Corriere della sera, 30/3/98
Ecco come accade che le reali ragioni dell’arresto dei tre anarchici passino per gli squatter in secondo piano rispetto all’affronto rappresentato dall’intrusione delle forze dell’ordine nel proprio tempio. L’indignazione che trabocca dai loro volantini, in cui si denuncia lo scempio compiuto dagli sbirri all’interno degli spazi perquisiti e sgomberati, mostra lo stupore di chi scopre improvvisamente che la vita non è affatto bella come credeva, se non nelle proprie illusioni ideologiche. E non appena gli squatter si decidono ad uscire dal proprio ghetto, ogni qualvolta cioè vengono spinti dalle circostanze, per necessità di sentirsi vivi o per bisogno di giustificarsi, ecco che la loro azione si indirizza tutta verso la rappresentazione. Assillati dalla preoccupazione di non perdere i posti così faticosamente ottenuti, trovandosi per questa ragione perennemente in bilico tra rivolta e marginalità, gli squatter prediligono forme d’azione spettacolari, da attingere nel patrimonio delle avanguardie artistiche del passato. Tuttavia ciò che gli squatter riprendono da queste è ben distante da quella forte tensione che intendeva superare i limiti dell’espressione artistica per sfociare nella rivolta; al contrario, è la trasformazione di ogni azione sovversiva in mera opera d’arte, la rivendicazione dell’impunità implicita nello status d’artista. E se nel maggio francese di trent’anni or sono gli insorti più cauti e “ragionevoli” occupavano il teatro dell’Opéra per poter rappresentare una libertà puramente virtuale, gli squatter contemporanei propongono di invadere il set del nuovo film di Amelio, interrompono la conferenza stampa di Harvey Keitel, prendono accordi con Dario Fo, mostrando la loro devozione nei confronti di quell’ambiente artistico che essi riconoscono come il solo luogo in cui tutto è permesso giacché nulla è reale.
«I “Lupi grigi” presi nei centri sociali».
La Stampa, 7/3/98
Di fatto sono gli stessi squatter — assieme agli autonomi e a chi accetta la loro stessa interpretazione dei fatti — ad aiutare gli inquirenti a spostare l’attenzione dalla Val Susa a Torino, dalla questione dei sabotaggi contro il mostruoso progetto dell’Alta velocità — di interesse generale — a quella degli spazi occupati, che così impostata non può che suscitare un interesse parziale. Ed anche in questo caso, buona parte del movimento si mostra incapace di reagire all’ingabbiamento spettacolare. Più i giornali indicano gli occupanti come pazzi disadattati e pericolosi, più costruiscono l’immagine fittizia dello “squatter”, più molti occupanti si rinchiudono in questo ruolo e lo amplificano, ovviamente con alcune varianti. Ma ciò che mette d’accordo tutti i giornalisti e alcuni di loro è proprio il rafforzamento di quella identità che separa gli squatter dalla realtà dei desideri e che concede loro il copyright esclusivo di alcune pratiche radicali.
DOCUMENTI N. 6 – 7
DOCUMENTO N. 8
DOCUMENTO N. 9
Ovviamente, i giornali attribuiranno loro tutti i comportamenti sovversivi emersi nel corso delle settimane, compresi quelli verso cui gli squatter hanno sempre mostrato d’essere allergici. Non possono infatti accantonare del tutto gli altri strumenti di lotta, ma proprio quei fatti più interessanti e più gravidi di possibilità — pensiamo ad esempio all’azione nel supermercato — vengono ricondotti dagli stessi partecipanti alla logica tipicamente squatter della performance autopromozionale. Nel momento poi in cui gli squatter si vedono costretti ad affrontare il problema dei sabotaggi, le loro analisi sprofondano nel ridicolo. Tentando di ricondurre tutto al proprio vissuto, sulla Val di Susa non sapranno dire altro che la frequentavano per liberare i nanetti da giardino, sottolineando che i sabotaggi sono “autoprodotti”, e altre amenità del genere.
«La cosa che più ci interessa non è essere risarciti, ma sapere cosa ci aspetta d’ora in poi».
I commercianti su La Stampa, 10/3/98
Il cerchio è chiuso: gli squatter fanno teoria del proprio vissuto e mettono in pratica ciò che teorizzano. Sono coerentemente immobili e girano impazziti attorno al proprio ombelico, il cosiddetto vissuto, scavando una trincea sempre più profonda che ne sancisce l’identità.Da qui in poi, fino ai fatti che nuovamente produrranno un mutamento della situazione, viene simulata in maniera pressoché concorde una guerra privata tra gli “squatter” e le autorità. Il resto della città non potrà che restare a guardare, limitandosi tutt’al più a parteggiare per gli uni o per gli altri.
«Aprire uno spazio di discorso e, prima di tutto, trovare il linguaggio per comunicare, per rompere la dimensione simbolica e socializzare le potenzialità positive che i centri esprimono. Le amministrazioni pubbliche non possono limitarsi a lasciar loro soltanto spazi degradati. Non si può considerarli come indiani nelle riserve e dargli un po’ di whisky per bruciargli il cervello. E gli stessi squatter devono evitare di chiudersi in una spirale soltanto negativa. Si può forse trasformare la rabbia in azione sociale, non omologata ma positiva».
Marco Revelli, consigliere comunale Rifondazione Comunista
DOCUMENTO N. 10
C’è a chi serve più da morto che da vivo
Il suicidio in carcere di Edoardo Massari muterà radicalmente la situazione. Da quel momento in poi, sulla scena torinese si affacceranno attori d’ogni sorta, con una progressione sempre più intricata della trama. La rabbia degli amici e dei compagni di Edoardo si intreccerà con i tentativi di politici di ogni genere di volgere la situazione a proprio vantaggio. Il morto fa gola a tanti, cominciano a volteggiare gli avvoltoi.
«Il problema se mai è non parlare a vanvera e cercare invece la strada per un dialogo che non obblighi nessuno a rinunciare alla sua identità».
Livia Turco, ministro per la solidarietà sociale
Prima della morte di Edoardo, la strategia dei giornali e degli amministratori pubblici era quella di spacciare tutto il movimento di Torino come un monolitico coacervo di giovani scatenati e pericolosi che hanno dichiarato una guerra, soli contro tutti. Ad un certo punto, le carte in tavola devono per forza cambiare; con il suicidio di Edoardo, non solo la rabbia nel movimento sale ulteriormente, ma cominciano ad emergere con chiarezza una parte delle contraddizioni dell’inchiesta sui “Lupi Grigi” e si allarga di conseguenza l’interesse per tutta la vicenda. Questi giovani pazzi cominciano ad essere in troppi, troppo arrabbiati, e raccolgono attorno a sé troppe simpatie. Si deve allora recuperare il recuperabile. Entrano in campo i sociologi, alla ricerca di un qualche motivo accettabile che spieghi l’insofferenza di questi giovani verso le istituzioni, vengono costruiti parallelismi con i decenni passati.
«Bisogna anche rispondere alle ragioni di disagio che evidentemente ci sono tra i giovani».
Walter Veltroni, vicepresidente del Consiglio
«Vorremmo che quei gruppi di giovani dai nomi diversi e strani si sentissero capiti e amati, resi interlocutori di un dialogo con la società».
cardinale Carlo Maria Martini
Per far scemare la rabbia, si provano a concedere alcune ragioni al movimento, a costruire le basi minime per poter proporre credibilmente un dialogo e per dettarne le condizioni. Questo vuol dire tentare di separare chi nel movimento ha qualche rivendicazione da avanzare da chi invece non ne ha alcuna; chi ha qualcosa da chiedere — si tratti di più lavoro, di più spazi occupati, di alleggerire il peso della repressione — da chi invece continua a pretendere l’impossibile, cioè un cambiamento radicale della propria vita e di tutti i rapporti. I primi potranno dialogare, se lo vogliono, i secondi ovviamente no. I primi dovranno assumersi il ruolo finora inedito di buoni, gli altri continueranno a restare cattivi e pericolosi. E riuscire ad instaurare un dialogo con i buoni, vuol dire potersi permettere d’essere ancora più duri con i cattivi, che resteranno sempre più isolati.
«Credo che sia indispensabile per la convivenza civile che si isolino i violenti: si prendano le distanze da una violenza così lucida, voluta. Sono molto preoccupato che, di fronte a questi fatti gravi, s’inneschi una spirale di criminalizzazione indistinta di tutti che, peraltro, non ha fondamento in una particolare intossicazione ideologica: qui siamo al delirio del disagio».
Valentino Castellani, sindaco di Torino
Ma questo è un meccanismo difficile da mettere in moto. È vero, è proprio da questo momento che diverse autorità (dai politici ai vescovi) cominceranno ad invitare insistentemente gli “squatter” alla calma, pregandoli di isolare i violenti che si “annidano” fra loro, e che tanti figuri della sinistra più o meno istituzionale si proporranno come mediatori. D’altra parte, peró, manca chi possa dialogare apertamente. Anche chi, all’interno del movimento torinese, ha delle rivendicazioni da porre, almeno fino alla manifestazione del quattro aprile non può permettersi di farlo. La situazione è talmente tesa che bisogna adeguarsi alla rabbia collettiva, se non si vuole correre il rischio di incrinare il proprio peso nel movimento. In più, per poter avanzare delle rivendicazioni in maniera credibile e con buone probabilità di successo, bisogna avere la possibilità di spacciare la propria immagine, costruirsi magari un ruolo da leader, saper disporre delle luci della ribalta. I migliori alleati per una operazione come questa sono i giornalisti. Ma in quelle settimane non si possono mantenere i rapporti con i giornalisti, all’interno di un movimento che li ha individuati quasi unanimemente come nemici e che comincia a trattarli da poliziotti sociali. Sarà forse una situazione momentanea, determinata più che altro dalla stupidità dei lavoratori dell’informazione che hanno calcato troppo la mano per creare un efficace mostro “squatter”?
«Uniti per un giorno».
Il manifesto, 5/4/98
«Sono come animali feriti, non bisogna farli allontanare per sempre».
Maria Pia Valetto, esponente Ppi
A questo punto sono tre le strade che le realtà del movimento torinese potrebbero intraprendere. La prima, accettare le proposte di dialogo isolando pubblicamente gli elementi più intolleranti e radicali, viene rifiutata da tutti oltre ad essere, al momento, impraticabile. La seconda, accettare di fatto lo spettacolo degli “squatter” contro il mondoridimensionandolo in termini gestibili, sarà quella praticata dai più. La terza, non accettare lo scontro fittizio per ricercare quello reale che ci riguarda tutti, senza cautele ed opportunismi, sarà messa ai margini essendo considerata incerta e dagli esiti imprevedibili.
DOCUMENTI N. 1 – 2
«Eppure i centri sociali, in altri paesi e in altre città… producono storie, producono spettacolo, musica, sono aperti, arricchiscono la metropoli che li ospita, gettano ponti verso altre persone, altre culture».
L’Unità, 4/4/98
DOCUMENTI N. 11 – 12 – 13 – 14
Così il discorso che andrà per la maggiore sarà: siamo diversi ma non pericolosi, siamo antagonisti ma non vogliamo distruggere nulla, siamo rivoluzionari ma convinti che uno spazio per noi in questo mondo ci debba essere e ci sia. Questo sarà il contenuto di fondo rilanciato da volantini, radio, manifestazioni e azioni dimostrative. Complice l’immancabile emotività che endemicamente compare nei momenti più scottanti facendo evaporare la lucidità necessaria, la presupposta radicalità del movimento svanisce per far posto ad argomentazioni più populiste: Baleno, Silvano e Soledad sono innocenti al di là di ogni ragionevole dubbio e sono stati incastrati come stratagemma della destra e della sinistra di destra per attaccare i Centri Sociali. In questo modo si lasciano le porte aperte a tutti i partiti e ai gruppuscoli dell’ultra sinistra che sono ansiosi di poter utilizzare il cadavere ancora caldo di Baleno per portare avanti le proprie rispettive politiche. Dal salario garantito alla riforma universitaria, inizia la sfilata lugubre delle rivendicazioni politiche. Ne approfittano anche i partiti istituzionali. Rifondazione Comunista e Verdi saranno sempre in prima fila nel mostrarsi indignati per gli eccessi della polizia, per la superficialità delle indagini, e si presenteranno come gli unici delegati credibili per calmare gli animi arroventati che agitano il movimento. Il consigliere verde Cavaliere entra ed esce dal carcere dove sono rinchiusi gli arrestati, mentre espone in ogni occasione la sua antica tesi sulla responsabilità dei servizi segreti negli attentati in Val Susa, sostenendo, di conseguenza, l’innocenza dei tre.
«E in questo senso gli stessi centri sociali saranno al Balon anche con posizioni diverse. “Murazzi” e “Askatasuna” per esempio dichiarano di “non essere contrari pregiudizialmente alle richieste di dialogo”».
Il manifesto 4/4/98
DOCUMENTO N. 15
Si vede costretta a scendere in campo persino la Federazione Anarchica Italiana, in prima fila soltanto quando c’è da difendere il buon nome dell’anarchia e da sfruttare la commemorazione di qualche martire. Alcuni anarchici federati plagiano le tesi dei Verdi e si accodano prudentemente ai sostenitori di oscure trame. È l’unico ruolo che possano ricoprire decentemente, avendo perso ormai da decenni la fiducia che gli sfruttati possano organizzarsi autonomamente e combattere le strutture del potere: ne consegue che secondo loro qualsiasi attacco realizzato non possa essere altro che una provocazione.
«Nella sassaiola contro questi due bersagli virtuali (Le Nuove ospitano ben pochi reclusi, il Palazzo di giustizia è vuoto monumento allo spreco e all’insipienza progettuale) si distingue la gioventù del corteo, i veterani tirano dritto: anzi, qualcuno, come l’anarchico ultraquarantenne Mario del centro sociale torinese del Barocchio, cerca di dissuadere dal giochino».
La Stampa, 5/4/98
‘Spegniamo la miccia’.
Il manifesto 3/4/98
Tutti questi personaggi piangono la morte di Massari e tentano di venderne il cadavere. Non è un caso che nei volantini e nei documenti di tutti i gruppi che non hanno mai avuto nulla a che fare né con lui né con le sue lotte, venga sempre familiarmente chiamato Baleno o addirittura Edo.La fiera dello sciacallaggio culminerà nella grande manifestazione del quattro aprile. Tra gli organizzatori del corteo, qualcuno sostiene che deve essere un attacco ai padroni della città e qualcun altro che si tratta di un’importante occasione per consentire a chiunque di esprimere solidarietà al movimento delle occupazioni torinesi in pericolo. Peccato che tra questi chiunque ci siano un mucchio di avvoltoi, che troveranno pronta una bella ribalta dove esibirsi. Non vengono ammessi gli striscioni dei partiti istituzionali, che si troveranno un po’ spiazzati, ma per gli altri la porta resta aperta. A questo proposito è significativa la presenza del Leoncavallo di Milano — punta di diamante del progetto di legalizzazione dei centri sociali che tanti acerrimi nemici dovrebbe avere a Torino — venuto a piangere la morte di chi ieri i suoi mazzieri avevano tentato di sprangare nel corso di una manifestazione, mentre si appresta a partecipare alle prossime elezioni con una propria lista.
Assieme a questi necrofili, saranno tanti i rappresentanti di chi la rivoluzione non la vuole certo fare ma è d’accordo nel farsi vedere ogni tanto, per controllare di essere ancora vivo. Nonostante questa situazione, la rabbia travalica ancora i buoni propositi di molti: ne fanno le spese il costruendo palazzo di giustizia e il carcere delle Nuove.
Nella palude d’inchiostro
Una delle caratteristiche nuove del movimento che si sviluppa a Torino nel mese seguente gli arresti è l’inimicizia generalizzata verso i giornalisti: l’episodio di Brosso, quando Daniele Genco viene mandato all’ospedale con una certa determinazione, è quello più che farà discutere e susciterà viva preoccupazione nell’opinione pubblica democratica.
DOCUMENTI N. 16 – 17
Ma se è vero che, almeno per un certo periodo, l’ostilità concreta verso i giornalisti è una pratica che trova tutti d’accordo, è anche vero che si basa su analisi, esigenze e stati d’animo differenti.
DOCUMENTO N. 18
«L’assalto armato degli squatter ai cronisti è un incredibile e inaccettabile episodio di violenza che rischia di riesumare un clima di grave turbativa della convivenza civile».
Flavio Corazza, pres. Associazione Stampa Subalpina
La maggioranza dei giornali ha calcato la mano in maniera eccessiva nel suo compito di creare prima il “lupo grigio” in Val Susa e successivamente lo “squatter” a Torino. Per settimane i partecipanti al movimento si vedono sbattuti in continuazione sulle prime pagine dei giornali, le proprie scelte e la propria vita vengono distorte e non si contano gli articoli apertamente diffamatori; vedono descrivere gli amici in prigione come mostri sanguinari e pericolosi e, dopo il suicidio di Baleno, vedono gli stessi diffamatori spandere lacrime zeppe di ipocrisia. La responsabilità diretta dei facitori di notizie nella morte di Baleno è talmente evidente che sarà ammessa anche da una piccola parte degli intellettuali di sinistra. È naturale, a questo punto, che tutte le telecamere a portata di mano vengano prese di mira, che la rabbia di quei giorni venga sfogata sul naso dei giornalisti troppo vicini ai cortei e ai luoghi delle iniziative, e venga estesa a tutti gli altri, non solo a quelli che hanno dato dimostrazione di una particolare mala fede. Ma il sentimento collettivo finisce qui, unito alla rabbia. Sono pochi quelli che cominceranno a provare una inimicizia più radicale e profonda, più duratura; meno quelli che riusciranno ad intravedere dietro alla situazione momentanea l’effettivo ruolo dei giornali nei conflitti sociali e i meccanismi che governano la creazione dell’opinione pubblica e che rendono del tutto inutile la distinzione tra un giornalista “corretto” ed uno “scorretto”. Questa distinzione fittizia, difatti, tornerà a farsi strada passata la rabbia del momento.
«Quello dei giornalisti è diventato un mestiere difficile. Ma il mondo dell’informazione non rinuncerà al proprio dovere. Sarebbe bene che il proprio dovere lo facessero anche polizia e autorità. La doverosa protezione delle vetrine dei negozi deve estendersi anche alla testa dei colleghi».
Lorenzo Del Boca, pres. Federazione nazionale della stampa
La stampa incarna per i lettori la realizzazione di un’aspirazione: che ci sia chi provvede a che tutto segua la retta via. Essa è allo stesso tempo informazione e giudizio. È anche uno strumento contro la noia, capace di consolare se non si riesce a ricavare niente di intelligibile dal mondo circostante. Il desiderio che molti lettori hanno di un mondo ordinato, pulito e in cui sentirsi a proprio agio — che si cerca e si trova sulle pagine dei giornali — racchiude in sé anche l’angoscia per questo mondo, considerato incomprensibile senza l’aiuto di altri. Grazie alla sua autorevolezza, il giornale sgrava il lettore della necessità di ordinare, vagliare e valutare gli avvenimenti: fornendo al lettore una raccolta già ordinata e commentata di ciò che accade in modo sintetico e sicuro, la stampa dà la certezza consolatoria che si è ancora in grado di affrontare e capire la realtà, per sentirsi parte di questo mondo. Assumono un senso anche i servizi dedicati alle “storie vere”, ai piccoli casi quotidiani; ai lettori viene data la sensazione che parlino della gente, dei destini umani, dei problemi di uomini e donne esattamente come ciascuno di loro. E di un giornale che si mostra talmente interessato al lato umano ci si può fidare tranquillamente. La stampa si mostra una buona compagna, che viene sempre in aiuto quando ce n’è bisogno, riuscendo a dissimulare il notevole potere di persuasione di cui dispone. Ciò che emerge è sempre la domanda posta dai lettori di strumenti utili per capire la società in cui vivono, che diventa necessariamente sempre più astratta, riconducendo gli avvenimenti al singolo e al suo destino, unita al desiderio di conservare oggetti d’identificazione e di proiezione su cui poter finalmente scaricare le preoccupazioni e i problemi personali.
«La violenza di Brosso ha di particolare e direi di inedito la sua apoliticità. Non vengono picchiati, feriti dei giornalisti perché di sinistra o di destra, ma perché giornalisti, perché strumenti di una informazione che, nel suo complesso, appare come nemica. Vengono indifferentemente picchiati, feriti cronisti della sinistra estrema come di fogli governativi o conservatori in quanto informazione, apparato di trasmissione delle notizie e delle immagini che interviene nel sociale, e che dal sociale viene a volte considerato come qualcosa di autonomo rispetto ai mandanti politici e economici, qualcosa che per conto suo interviene, diventa parte in causa».
Giorgio Bocca, giornalista
È questo il meccanismo intimo che crea l’opinione pubblica, che la influenza, che fornisce luoghi comuni di discussione per milioni di persone. È su ciò che i giornali costruiscono il proprio potere, intrecciato strettamente con gli interessi del dominio. Una fitta rete di obblighi e di ricatti impedisce ai singoli giornalisti, anche a quelli più “corretti”, di uscire da questo meccanismo. Il giornalista è pagato per i pezzi che produce. E — grandi firme a parte — viene pagato un tanto al chilo, a riga, a pagina. Se non scrive, non guadagna e per avere il materiale su cui lavorare devono sussistere alcune condizioni. Intanto ci deve essere “il fatto”: i bei ragionamenti e le buone idee non fanno notizia, se normalmente esposti. Poi, deve ricercare le fonti per le notizie, ma per produrre abbastanza gli manca sia il tempo che la voglia per approfondire le vicende e per cercare di comprendere le ragioni altrui. Quindi spesso lavora di fantasia, non potendo certo ammettere l’assoluta ignoranza di un argomento o una vicenda particolare.
Oppure si affida al silenzio. O magari, quando parla di un fatto nuovo, non si pone il problema di affrontare con serietà anche quelli passati che lo aiuterebbero a capire. Ogni qualvolta, ad esempio, i giornali parlano dei minatori del Sulcis non possono certo pubblicare una retrospettiva sull’economia dell’isola, sulla vita quotidiana del minatore tipo, sulle tradizioni locali legati alla professione, sulle lotte per il lavoro, sulle prospettive, né approfondire l’argomento con serie interviste agli autoctoni, ad esponenti politici d’ogni estrazione, ai responsabili della miniera, agli enti istituzionali preposti. Non ci può essere spazio, su di un giornale, per tutto questo.
Alla fine, il caporedattore deciderà se dare spazio ad un pezzo, in base alla linea editoriale e politica del giornale o anche al suo parere personale, e sceglierà un titolo adatto per colpire e attirare, come l’insegna al neon di un nuovo locale uguale a mille altri nell’ambiente e nei servizi.
In tal modo può accadere che oggi vengano chiamati “squatter” quelli che dieci anni fa erano definiti teppisti e drogati, oppure giovani creativi disadattati in cerca di un proprio angolino — quando se ne dibatte per analizzarli —, terroristi o criminali — quando un giudice ne ordina l’arresto.
Se a questi elementi aggiungiamo la stretta collaborazione del mondo dell’Informazione con le questure, la sua inevitabile dipendenza dal potere politico e dai più svariati gruppi di potere, si può avere un’idea più precisa dell’impossibilità di trovare un giornalista che abbia la possibilità concreta di rimanere “onesto” quando varca la soglia della redazione. Anche nel momento in cui si aprisse qualche spazio di “verità” in un giornale, annegherebbe nel mare di banalità e di menzogne che contiene. Assurdo per assurdo, sarebbe come cercare di esprimere qualche pensiero ribelle a “Carramba che sorpresa”.
DOCUMENTO N. 19
Non è un caso che il movimento torinese sia stato definito “autistico” da molti commentatori e che il rifiuto momentaneo di far passare i propri contenuti attraverso gli strumenti di comunicazione di massa sia stato equiparato al rifiuto di comunicare tout court. Il mondo è ciò che viene rappresentato dai giornali, al di fuori di questa rappresentazione niente esiste: questo è il ricatto della modernità. Un movimento che porta in sé istanze radicali e che decide di affrontare lo scontro nel concreto non ha alcun interesse per lo spettacolo del fittizio che allestiscono i giornali, ma tenta di costruirsi strumenti propri di comunicazione. I suoi referenti non sono certo i giornalisti, ma direttamente gli sfruttati.
DOCUMENTO N. 20
Il gesto di Brosso è stato letto da buona parte del movimento semplicemente come un comprensibile sfogo dei compagni di Baleno contro uno dei giornalisti peggiori che abbiano trattato questa vicenda, o addirittura minimizzato. Soltanto alcuni dei presenti, invece, lo inseriranno in un contesto di più profonda ostilità, tentando di trarne qualche conclusione di ordine più generale.
Daniele Genco
“professionista dell’informazione”
Daniele Genco, la «vittima della violenza cieca e spietata degli squatters» come è stato definito, in passato si era già occupato di Baleno, diffamandolo apertamente. Probabilmente non per particolare risentimento nei suoi confronti, trattandosi del consueto metodo che adopera nel trattare le notizie, un metodo affinato nel tempo. Ma chi è Genco?
Lavora per un giornale locale, “La Sentinella del Canavese”, che ha avuto modo di interessarsi all’attività di Edoardo fin dall’aprile del ‘91, nel corso dell’occupazione della Piscina a Caluso. Tra gli occupanti, assieme a molti altri, c’era infatti anche Baleno. La stampa locale inizia subito a descrivere la Piscina Occupata come il solito ritrovo di drogati rumorosi, malvisti dalla popolazione. Nel gennaio ’92 la piscina viene sgomberata brutalmente dai Carabinieri, che interverranno con violenza anche contro altre due successive occupazioni. “La Sentinella del Canavese” applaude l’operato delle forze dell’ordine e spaccia le violente cariche dei carabinieri come una ‘guerriglia urbana tra militari ed autonomi’. Il processo per l’occupazione della Piscina si concluderà con una condanna a 7 mesi. Pochi giorni dopo Baleno ed altri si incatenano in segno di protesta nella piazza centrale del paese durante una manifestazione pubblica presieduta dal Sindaco. “La Sentinella del Canavese” riporterà ovviamente solo le dichiarazioni delle autorità, mistificando il significato del gesto. Seguiranno alcune assemblee pubbliche e dibattiti, molto partecipati, ai quali non assisteranno mai né politici né giornalisti, ma solo i tutori dell’ordine che identificano i presenti.
In definitiva, i ragazzi che avevano preso parte all’occupazione e alle attività della Piscina sono stati fatti diventare un tema da cronaca nera.
Nel giugno ’93 Baleno viene arrestato. Recatosi in ospedale per farsi medicare una lieve ferita che si è procurato mentre sta fabbricando un petardo nella sua officina di biciclette, i Carabinieri ne approfittano subito: mentre Baleno è in ospedale gli perquisiscono l’officina, dove trovano 40 grammi di polvere nera tratti da alcuni petardi “raudi”. Baleno viene arrestato.
La stampa locale, tra i quali si distingue Genco, parlerà di un pericoloso “terrorista” che si accingeva a compiere degli attentati (uno contro una fabbrica locale, un altro contro una manifestazione pubblica della Croce Rossa), e gliene attribuisce diversi tra quelli già accaduti in zona. Genco arriva a inventarsi un “gruppo” a cui sarebbe appartenuto Baleno, il “collettivo Autonomo”, per poter poi “rivelare” che questo gruppo aveva preso le distanze dal violento Baleno.
E non finisce qui. Genco si dedica insistentemente a Baleno, alla sua famiglia, e lo dipinge come un personaggio strano, che non lavora, non si sa bene cosa faccia, quali persone frequenti… I commenti personali su Baleno si sprecano, anche se Genco non lo ha mai incontrato di persona. In compenso cerca di estorcere ai genitori e parenti qualche pettegolezzo maligno sul suo conto, trovando prima la cronaca di un figlio indipendente fatta da due genitori normali e comprensivi, poi l’indignazione degli stessi per i suoi articoli.
Nel dicembre 1993, mentre Edoardo si trova ancora in carcere accusato di detenzione e fabbricazione di esplosivi, si tiene una manifestazione in sua solidarietà a Ivrea. Il corteo parte senza incidenti, ma a metà percorso il questore intima ai manifestanti di posare le bandiere e di non lanciare più petardi. I manifestanti lo irridono e non obbediscono, lui ordina la carica e per una volta sono le forze dell’ordine ad avere la peggio. Il corteo terminerà senza altri incidenti.
Dopo aver ricordato che l’iniziativa è stata fatta in solidarietà con Massari «in carcere da sei mesi per il famoso ordigno che aveva costruito», Genco commenterà che «la manifestazione non avrebbe dovuto essere autorizzata» e che «il comportamento dei manifestanti è stato spiacevole». Non pago, Genco si offre di identificare i manifestanti e di testimoniare contro di loro. Le foto degli scontri sono sollecitamente offerte dai giornali alla polizia. Il processo per questi scontri si concluderà il 21 aprile 1998, con la condanna di tutti gli imputati, grazie anche a Genco.
Negli ultimi due anni, ogni qualvolta Genco si occupa dei sabotaggi avvenuti nella Val di Susa, usa affiancare all’articolo di cronaca uno “specchietto” su Baleno, ricordandolo come bombarolo.
Quindi Daniele Genco si presenterà ai funerali di un uomo che ha spudoratamente attaccato per mesi dalle colonne del suo giornale, davanti ai genitori che a più riprese ha offeso e umiliato, davanti a decine di amici e compagni di Baleno che hanno subìto la stessa gogna giornalistica. Non è un caso che nel Canavese una parte non indifferente della popolazione abbia applaudito la lezione impartitagli..
Ma Baleno non è il solo morto annegato dall’inchiostro di Genco. Fra tutti ricordiamo un solo episodio. Nel settembre del 1991, a Romano Canavese, una bimba rimane vittima di un banale incidente. Viene aperta una indagine per accertare le cause del decesso. I giornali amplificano le insinuazioni contro la madre della piccola, Mariuccia Canetto, accusandola di essere responsabile della sua morte. Malgrado la gente del paese prenderà apertamente le sue difese, Mariuccia Canetto viene rinviata a giudizio con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Esasperata delle voci che i giornali continuano a seminare sul proprio conto, si impicca nel febbraio 1993.
Si spegne la miccia
La grande manifestazione del quattro aprile non segnerà solo il culmine della rappresentazione politica, ma anche il rientro nella normalità. Sembra quasi che il danneggiamento del palazzo di giustizia sia bastato a sfogare la rabbia accumulata a partire dagli arresti del cinque marzo. La tensione scema rapidamente, la stanchezza si fa sentire. Da quel momento in poi le iniziative si faranno sempre più episodiche e sfilacciate: “l’emergenza Torino” è terminata, si abbassano i riflettori.
«Ci sono due cose che consentirebbero di aprire una breccia nel muro che li isola. La prima è la credibilità degli inter-locutori. La seconda è un provvedimento che sani i piccoli guai giudiziari che hanno messo un’i-poteca sul loro futuro. Molti di loro hanno collezionato carichi penali per piccoli reati: occupazione abusiva, manifestazioni. Ci vorrebbe un’amnistia o un indulto, un patto sociale che permetta di dare loro un’altra possibilità e che consenta a noi di dialogare».
Marco Revelli, consigliere comunale di Rifondazione Comunista
Sarà la repressione, invece, a non stancarsi e ad affilare le proprie armi. Si fanno i calcoli dei danni provocati dalla manifestazione, la polizia annuncia di voler identificare quasi duecento lanciatori di sassi per accusarli di “devastazione”. Comincia la caccia ai presunti responsabili dell’aggressione di Daniele Genco ai funerali di Brosso: uno viene arrestato, gli altri riescono a sfuggire alla cattura e sono costretti alla latitanza. I giornalisti, su suggerimento degli inquirenti, ne approfittano per far circolare voci sui contatti internazionali del movimento torinese, ipotizzando che i ricercati siano protetti da gruppi anarchici esteri. Nello stesso periodo riescono, lavorando alacremente con la fantasia, a ipotizzare il coinvolgimento di Soledad in una rapina fallita compiuta in Spagna da alcuni anarchici italiani; sbagliano clamorosamente nomi e date, ma l’importante per loro è dare l’idea di un’organizzazione criminale internazionale. Preparano così il terreno per i colpi repressivi a venire, ampliandone il raggio.In più, si approfitta del calo della tensione per sistemare anche qualche conto arretrato: il processo — fino ad allora arenato tra contraddizioni e lentezze — per gli scontri avvenuti ad Ivrea nel ’93 durante un corteo in solidarietà con Baleno, si velocizza improvvisamente e viene chiuso con una sentenza di condanna per tutti gli imputati. Insomma, la repressione manda messaggi precisi:
«Cari ragazzi, non ci scordiamo niente, è l’ora di pagare il conto».
«Il fenomeno dell’occupazione non è un pericolo sociale. Questi ragazzi stanno chiedendo rispetto. E andrebbero lasciati in pace».
A. Castelvecchi, editore
Il clima è cambiato, quelle poche possibilità di allargare la rivolta che sembravano essersi aperte durante il mese precedente svaniscono. È arrivato il momento della riflessione e delle scelte. Ora non c’è più la rabbia a supplire alla mancanza di senso critico dei ribelli torinesi. Si sfalda la barriera che fino a quel momento aveva impedito alle tensioni recuperatrici interne al movimento di mostrarsi appieno. Ora, lentamente, potranno ritornare a galla.
DA “LUNA NUOVA”
«Bisogna stemperare la tensione usando nervi saldi e rifiutando la violenza»
Valentino Castellani, sindaco di Torino
DOCUMENTO N. 21
Gli stessi squatter che la settimana prima presentavano frattaglie di macelleria ai giornalisti abbassano il tiro e la buttano sul ridere, organizzando conferenze stampa da burla giudicate divertenti dagli stessi giornalisti. Sempre uno di loro, tempo dopo, rilascerà un’intervista con tanto di servizio fotografico ad un giornale locale: è accolto così il suggerimento di qualche intellettuale che invitava il movimento torinese a non fare di tutta l’erba un fascio e a saper distinguere i giornalisti “corretti” da quelli “scorretti”. Così, quelli che da tutti erano stati indicati apertamente come nemici, ridiventano possibili interlocutori, purché siano onesti e distanti dal fastidioso scandalismo che ha contribuito ad innescare lo scontro a Torino. Baldanzosi per la pubblicità ottenuta nei due mesi appena trascorsi, sulle pagine del loro giornale e nel loro spazio dalle frequenze di Radio Black Out — titolati entrambi, non a caso, “Tuttosquat” — gli squatter si autocitano pubblicandosi da sé i propri volantini del periodo, si autoincensano acriticamente, si fanno addirittura incensare da altri e alla fine si autorappresentano come unica realtà di opposizione radicale allo stato delle cose a Torino. Continuando a non parlare d’altro che di se stessi e del proprio vissuto, non intendono vedere le occasioni perse per tutti in Val Susa ed anche a Torino e preferiscono allargare i confini del proprio orticello.
«Non a caso una delle immagini più belle della manifestazione è stata quella del camion della Federazione Anarchica Italiana con un bel po’ di compagni pigiati nel cassone che passavano cantando con le bandiere al vento».
Germinal n.77
DOCUMENTO N. 22
Ovviamente gli squatter non sono i soli a rivendicare il primato nello spettacolo. Sono in buona compagnia, più o meno ogni gruppetto politico ci tiene a spacciarsi come centro e “parte migliore” del movimento che ha agitato Torino. Le possibilità di approfittare dell’imperizia della polizia e dei giudici per aprire uno scontro reale si perdono definitivamente nel balletto delle rappresentazioni fittizie.
Anche l’assoluta indisponibilità a qualsiasi dialogo con i politici di professione comincia timidamente a sgretolarsi. La manifestazione del quattro aprile ha dato, bene o male, l’immagine di una compattezza di fondo del movimento nazionale delle occupazioni. Una situazione fittizia ma assolutamente inedita: fuori Torino qualcuno cerca di sfruttarla, e approfitta dell’occasione per proporre improbabili vertenze collettive con il governo. Altri proseguiranno il proprio cammino di integrazione presentando liste e candidati per le differenti tornate elettorali che seguiranno. Da Torino nessuno si accoderà a queste proposte ma quattro realtà di movimento torinesi elaborano le proprie rivendicazioni, chiedendo ai politici maggiore serietà — ‘meno parole e più fatti’ — per poter cominciare a valutare le possibilità di un confronto.
DOCUMENTO N. 23
DOCUMENTI N.24 – 25
Finita l’emozione del momento, saranno pochissimi gli incontrollabili che romperanno gli schemi della rappresentazione rifiutando dialoghi e confronti equivoci, etichette castranti e monopoli presunti. Scegliendo, ancora una volta, la rivolta. Gli unici segnali visibili in questo senso durante tutto il mese che segna l’assestamento della situazione a Torino saranno il lancio di una molotov contro la sede di un settimanale canavesano e una risposta scritta inequivocabile a quei rappresentanti della sinistra che, imperterriti, continuano a cercare la maniera più efficace per spegnere democraticamente e definitivamente l’insieme delle tensioni che agitano la città.
Documenti
1 – Comunicato stampa
Nel tardo pomeriggio di giovedì 5 marzo le “forze d’ordine” e la magistratura hanno scatenato un pesante attacco a tre posti liberati ed autogestiti: La Casa Occupata di Collegno, l’Asilo Occupato di via Alessandria e l’Alcova Occupato di corso San Maurizio. Il blitz aveva la finalità di perquisire i posti per ritrovare armi, bombe, ed altre cose “pesanti”, con accuse gravissime per due persone, ora in stato di arresto insieme ad un’altra, presunta “complice”.
Oggi e domani, con tipico stile infamatorio e sputtanante, si scatenerà il delirio dei mass-media che creeranno “mostri”, tireranno fuori le solfe di bande armate e clandestine, getteranno discredito, ecc. ecc. per far terra bruciata intorno agli spazi liberati di Torino, per mettere a tacere le esperienze di autogestione e vita al di fuori e contro questa società schifosa basata sul lavoro, sul denaro, sulla competitività, sul lavaggio di cervelli di massa dei media. E non solo: cogliendo la palla al balzo, le lunghe mani di Comune e polizia hanno SGOMBERATO e murato l’Asilo di via Alessandria, e sigillato La Casa.
I poliziotti che hanno invaso l’Asilo ne hanno distrutto i vetri, sfasciato suppellettili, spaccato d’ogni sorta e pisciato sui letti, tanto per dare un’idea del loro stile. Per quanto riguarda l’Alcova, invece, lo sgombero è stato evitato dalla rabbia delle decine di persone accorse in centro, nel cuore della notte, a portare solidarietà, che hanno letteralmente ripreso possesso dello spazio ed allontanato i carabinieri che, dopo la perquisizione, si accingevano a murare “a tradimento” anche quel posto.
Nel pomeriggio di venerdì 6, invece, la polizia ha caricato violentemente un presidio di risposta agli sgomberi ed alla repressione che si teneva sotto il Comune di Torino. La gente in fuga, picchiata ed inseguita, ha dato una comprensibile risposta di rabbia e di piazza spaccando i simboli di ricchezza che capitavano a tiro. Polizia e carabinieri, dopo l’implicita legittimazione al “pugno di ferro” data dalla infamante campagna di stampa iniziata a dicembre e culminata dopo il corteo notturno di venerdì scorso, non hanno usato mezze misure nell’accanirsi sulle persone del presidio e, come al solito, sugli ignari passanti. Una vera strategia della tensione, basata su pestaggi ed intimidazioni, sgomberi e vessazioni iniziata senza alcun motivo ed a sangue freddo.
Per quel che riguarda l’equazione occupanti=terroristi, già resa pubblica dalle dichiarazioni del vicesindaco Carpanini in data odierna (venerdì dopo gli scontri in centro) ci aspettiamo una nuova campagna di denigrazione ai danni dei posti occupati, quando il vero terrorismo è trovarsi senza casa, malmenati e con tutti gli oggetti personali distrutti dalle “forze dell’ordine”.
In mezzo a una strada!
In via Alessandria, nei pressi dello squat rioccupato oggi alla luce fioca dei lampioni sotto quali scriviamo, è possibile vedere coi propri occhi la veridicità di queste affermazioni: controllati a vista da decine di celerini in assetto di guerra, pedinati e braccati per Torino come soggetti pericolosi.
In questura vengono portati quattordici nostri amici, picchiati e poi trattenuti per ore per sei di loro scattano le manette mentre gli altri vengono denunciati e rilasciati, la loro colpa è quella di aver preso parte al presidio di via Garibaldi, in cui si manifestava pubblicamente contro il grave attacco repressivo, stando in strada, come al solito alla luce del sole.
A Castellani piacerebbe vedere una Torino “ripulita” e soggiogata in vista dei prossimi circhi (ostensione, torino capitale di sto cazzo, eccetera), ripiombata nel suo grigiore e nello squallore di una vita alienata dai tempi e dallo smog della grande fabbrica, ma il piacere di vivere non è cosa che si sgombera in fretta…
Occorre vigilare affinché non si estinguano le poche libertà rimaste in questa società da pecoroni, portare solidarietà agli squat ed in particolare a quelli attaccati dalla repressione, liberarsi dai paraocchi e non aver timore ad attivarsi per tutto questo!
Squatters Torino
2 – Guai a chi tocca i centri sociali
Venerdì 27 febbraio un corteo notturno ha attraversato le vie del centro cittadino per rompere il silenzio sulla situazione attuale dei prigionieri politici in carcere dagli anni ’70. Per la stampa, il comune e i suoi quattro cittadini “benpensanti” l’iniziativa si è ridotta allo sdegno per un po’ di musica e qualche scritta sui muri del salotto di Torino, invece di indignarsi ed ascoltare la verità di uomini e donne rinchiusi in carcere da vent’anni per essere stati interni ed attivi nei movimenti di lotta di quegli anni.
Giovedì 5 marzo polizia e carabinieri irrompono in tre case occupate per una perquisizione alla ricerca di due persone e di materiale “eversivo”, spaccando e prelevando oggetti personali e arrestando tre persone accusandoli di associazione eversiva all’ordine costituzionale (articoli della legge Kossiga degli anni ’70) e di alcuni sabotaggi avvenuti in Valsusa contro l’Alta Velocità.
Venerdì pomeriggio in occasione del presidio davanti al comune per denunciare l’attacco poliziesco ai posti occupati la polizia carica a freddo i manifestanti ferendone e arrestandone subito alcuni, per la stampa ancora una volta l’attenzione è da puntare su alcune vetrine rotte e non sulla foga poliziesca, sulla caccia all’uomo e sulle armi puntate contro i dimostranti. Nei giorni seguenti i media oltre a fantasticare sui tre arrestati ha criminalizzato tutti gli occupanti di Torino come vandali e terroristi, santificando invece i “poveri” bottegai a cui sono stati rovinati gli affari per un pomeriggio e che saranno risarciti dal comune, accogliendo tutte le assurde accuse del presidente dell’Ascom De Maria. In tutti questi giorni si è molto parlato delle occupazioni torinesi tracciando soprattutto una linea di demarcazione fra buoni educativi arrivando addirittura a dire tramite il vice sindaco Carpanini che “questi giovani possono stare nei posi occupati fino a quando non serviranno al comune…”.
Oggi siamo tutti in piazza per far sentire alla città la nostra e molto più reale verità, lo facciamo con uno dei modi che abbiamo per farci sentire: un corteo contro-informativo per denunciare la repressione dello stato attuata dai suoi servi, per ribadire che i centri sociali non si toccano, per chiedere la liberazione dei tre arrestati e la liberazione dei prigionieri politici rinchiusi dagli anni ’70.
I centri sociali lavorano e lottano per una socialità altra, per creare lotte e conflitti per ribaltare l’ordine costituito con l’antagonismo di classe e non sono di certo case di delinquenti o covi di criminali come vogliono far credere fascisti e leghisti.
Solidarietà con gli arrestati
Ribellarsi è giusto
Centro sociale Murazzi
Centro sociale Askatasuna
3 – Una Torino da mordere
Nella notte tra giovedì 5 e venerdì 6/3 scatta a Torino un’altra operazione dei Carabinieri del ROS : dopo le indagini del pm Maurizio Laudi che da anni indaga inutilmente sui tredici attentati che hanno colpito i lavori dell’ALTAVELOCITÁ in Val Susa, i militi fanno irruzione in tre case occupate dell’area libertaria torinese: l’Alcova, l’Asilo di Via Alessandria e La Casa di Collegno.
Hanno un mandato di perquisizione a carico di Edoardo Massari, anarchico di Ivrea, già colpito dalla repressione di Polizia e Stampa che nel 1992 gli costò un anno di carcere; l’altro mandato e’ per Silvano Pellissero, anarchico della Val Susa, anche lui stabilitosi a Torino. I due sono indagati per: banda armata, associazione a delinquere con finalità di terrorismo e detenzione e fabbricazione di armi e ordigni esplosivi.
Dopo tre ore di perquisizione alla Casa i ROS scendono in cantina da soli e ne riemergono misteriosamente con del materiale poi definito “interessante”. I carabinieri arrestano Silvano, Edoardo e Sole, una ragazza argentina che viveva li.
Nell’Asilo di Via Alessandria, subito dopo la perquisizione dei militari, arrivano in forze anche Digos, celerini e vigili, che accodandosi s’impadroniscono del posto e iniziano a devastarlo. Lo sgombero verrà perfezionato più tardi con la muratura completa dell’edificio.
Nel pomeriggio di venerdì si svolge un presidio di protesta davanti al Comune. Dopo un lancio di fumogeni CC e celerini, presenti in forze, caricano selvaggiamente proseguendo poi la caccia all’uomo per tutto il centro.
Negli scontri saltano decine di vetrine. Questo particolare di cronaca che tanto ha infiammato cronisti e politicanti ci interessa poco: la pace sociale non rientra nei nostri programmi.
La polizia ha colto al balzo l’occasione sportagli dai ROS per effettuare un’operazione che ha dell’incredibile.
Non sappiamo se questo colpo di mano sarà rivendicato dalla giunta Rossa, che in tempi di dibattito sui cosiddetti “centri sociali” ha forse voluto colpire a ‘destra’ per mandare un messaggio a ‘sinistra’: o collaborate limitandovi a erogare servizi sociali e creatività, oppure questo è ciò che vi può capitare.
Questa gravissima intimidazione non ha comunque sortito l’effetto pratico voluto: da venerdì l’Asilo è stato rioccupato dopo un lungo assedio della polizia.
Agli occupanti la nostra solidarietà, ai potenti della città un monito: in gare di teppismo come questa potete esclusivamente essere di più, non certo i migliori.
Ma veniamo all’ennesima storia di anarchici e bombe: da tempo le operazioni dei ROS sono associate a italianissime storie di montatura, intimidazioni, collusioni, depistaggi etc, dal caso Riccio ai massacri degli anni ’70, dal caso Di Donno all’inchiesta Marini. E parallelamente quando le indagini su certi casi non approdano a nulla di concreto, qualche anarchico da incastrare lo si trova sempre.
MA INTENDIAMOCI BENE :
Noi siamo completamente solidali con tutti quelli che in Val Susa, dopo aver verificato l’inutilità di delegare alle forze istituzionali la propria opposizione al progetto dell’Alta Velocità sono passati all’azione diretta sabotando i lavori e colpendo le ditte appaltatrici di questo mostruoso progetto.
Siamo contro l’Alta Velocità come lo e’ all’unanimità la comunità Valsusina, fatto questo che non ha mai impedito che il progetto voluto dalle grandi aziende, FIAT in testa, partisse.
Ravvisiamo nel metodo delle azioni – tutte contro macchinari e strutture, tutte indirizzate contro le varie strutture di controllo sociale, dalla Telecom a Mediaset, alla Rai, tutte compiute con ordigni di costruzione casalinga – una totale identità con le nostre idee, le nostre analisi e la nostra pratica. E quindi, ben lungi dal voler recitare la parte delle vittime sacrificali, ribadiamo la nostra
TOTALE SOLIDARIETA’ A SILVANO, EDOARDO E A SOLE
TOTALE SOLIDARIETA’ AI VALSUSINI IN LOTTA CONTRO L’ALTA VELOCITÀ
EL PASO OCCUPATO
(La settimana successiva El Paso ribadirà la propria posizione con lo scritto che segue)
Due riflessioni in merito alla notizia riportata lunedì 9 da “La Stampa” sull’incriminazione dei ‘responsabili’ di El Paso per apologia di reato riguardo al nostro del comunicato del 7/3 sugli arresti e gli scontri.
Intanto confermiamo il nostro più totale disinteresse verso lo sdegno delle vetrine infrante. Primo perché quando ti devastano la casa con atti teppistici arrivando a pisciarci sopra, e quando a farlo sono i protettori dell’ordine che i cittadini democraticamente tollerano e mantengono non ci si deve stupire che in mancanza della forza militare per rispondere direttamente ci si rifaccia sui simboli della società civile che legittima silenziosamente queste porcate.
Secondo, perché quando della gente che protesta in strada viene caricata a freddo PRIMA che avvenga qualsivoglia incidente, e quando viene inseguita e pestata a sangue per la strada da decine di celerini, chiunque sia questa gente, non c’è da stupirsi se provoca dei danni.
Non stiamo a ricordare le decine di volte in cui i media – ovviamente – non si sono occupati di riportare 10 anni di episodi repressivi piccoli e grandi ai danni di chi non vuole vivere ‘in linea’.
Non occorre neppure ribadire l’evidente schizofrenia della società civile che protesta contro le stragi delle balene e non si cura della distruzione dell’ecosistema circostante, o che accetta impotentemente le notizie della responsabilità dello Stato e dei suoi servitori su stragi, bombe, stupri e depistaggi – basta che siano passati almeno 20 anni…
In merito alla nostra incriminazione per apologia di reato confermiamo la nostra solidarietà a coloro che non delegano né la propria vita né la propria sopravvivenza – e soprattutto la propria autodifesa – agli stessi che la minacciano.
Tutta la Valsusa è contraria alla TAV, forze istituzionali comprese; gli stessi organi di stampa riportavano mesi fa, commentando la mancanza di risultati delle indagini, l’evidente simpatia della popolazione verso gli attentatori.
Ma nulla fermerà il TAV se non l’azione diretta, non certo le petizioni o le sfilate.
Noi abbiamo preso una posizione netta e decisa sia per riaffermare le nostre idee e le nostre pratiche, sia perché non vogliamo che per l’ennesima volta quelli che finiscono dentro siano dimenticati dopo pochi giorni finché, come succede di solito, non usciranno magari dopo un annetto, in silenzio, a caso completamente sgonfiato.
Tutti coloro che dicono di lottare contro lo sfruttamento umano e ambientale, tutti coloro che si dicono contro questo stato di cose devono prendere una posizione chiara sia riguardo l’arresto di Silvano, Edoardo e Sole, sia riguardo agli eventi della Valsusa. Non può essere bella solo la rivoluzione dall’altra parte del mondo.
Noi abbiamo preso posizione chiaramente e questa ridicola incriminazione puzza solo di intimidazione: non cambieremo idee neanche se fossimo gli unici ad esporle senza paura.
Per quanto riguarda la riconciliazione con la società civile, ancora una volta, ribadiamo la nostra più totale avversità. Non siamo qui per inserirci.
GUERRA ALLA SOCIETÀ
EL PASO OCCUPATO
né centro né sociale
Sabato 14 Marzo
CORTEO
concentramento ore 14
Balôn – Porta Palazzo
4 – Corteo ad alta velocità, per un mondo a bassa velocità
Giovedì 5 marzo in seguito ad una operazione di polizia di Ros, finanzieri e questurini venivano arrestati tre compagni anarchici per una nuova inchiesta sugli atti di sabotaggio in Val Susa contro la TAV. Durante l’operazione si procedeva alla perquisizione, allo sgombero e devastazione di tre case occupate (l’Asilo, l’Alcova e la Casa di Collegno). Due posti su tre sono poi stati rioccupati: l’Alcova durante la perquisizione, l’Asilo il giorno dopo.
Venerdì 6, sotto Comune, dove si voleva discutere, su richiesta della Lega, di nuovi sgomberi, si erano dati appuntamento le diverse realtà di occupanti per protestare contro i fatti della sera prima, informando la cittadinanza. La polizia, pompata in settimana dalle polemiche sui “vandali” “imbrattamuri”, ancor prima dell’orario del presidio caricava brutalmente i pochi manifestanti convenuti (subito sei fermati, tutti pestati). La reazione non poteva non essere adeguata al tono della carica. Vetrine rotte dei negozi più lussuosi del bel salotto torinese, blocchi stradali improvvisati per fermare la furia della caccia all’uomo.
Le polemiche suscitate dai giornali nei giorni successivi risultano in tal senso pretestuose e di parte; tendenti ad esagerare la portata dei danni, per nascondere le vere ragioni della incazzatura dei manifestanti: lo sgombero di due posti occupati, l’arresto di tre compagni anarchici.
Come centro sociale non possiamo che essere solidali con chi è vittima della repressione. La liberazione dei compagni arrestati rimane sempre un punto fondamentale della nostra lotta e della nostra pratica. Al di là delle accuse e delle imputazioni chi pratica determinati percorsi di ribellione e lotta contro il sistema di oppressione e sfruttamento del capitale, non può che trovare la nostra solidarietà. Nel caso specifico, la incriminazione di fatti di azione diretta contro l’Alta velocità in Valle di Susa risulta pretestuoso: si tratta di azioni di sabotaggio giuste contro le cose e no le persone, interne ad un movimento più vasto e variegato di opposizione alla TAV nella Valle, contro chi per propri interessi (vedi tangenti) vuole imporre la cancellazione di una vallata.
Come per l’inchiesta Marini, con questa nuova di Laudi sui “Lupi grigi” si insegue la pista anarchica, volendo così incriminare la componente più “politica”, cioè quella più “pericolosa” perché “sovversiva”. Per fare questo si ricorre anche all’uso di prove false, costruite sul momento (testimoni imbeccati dall’accusa, pistole mai trovate, bombe mai fabbricate).
Come sempre l’incarcerazione è uno strumento rivolto a chi si ribella o dà fastidio. In tal senso per noi la liberazione di tre compagni (Silvano, Edoardo, Soledad) non si può slegare da quella della liberazione di tutti gli altri compagni imprigionati e delle vittime della repressione. Parliamo della prigionia politica legata alle lotte degli anni settanta/ottanta, ma anche di tutti coloro che subiscono la repressione frutto della mentalità emergenziale dello Stato. Ci riferiamo a chi finisce in galera o nel circuito dell’esclusione perché tossicodipendente, immigrato, barbone o, semplicemente, disperato.
Rivendicare una AMNISTIA per tutti, per coloro che si sono ribellati, dagli anni sessanta ad oggi, per tutti quelli che in qualche misura hanno subito l’emarginazione e la repressione da parte del sistema, o di chi semplicemente non si vuol far sfruttare, ci sembra il minimo indispensabile.
Per la liberazione dei compagni arrestati giovedì 6 marzo
Per l’amnistia ‘68-’98
Contro tutti gli sgomberi
Solidarietà con le pratiche di azione diretta contro la tav
C.s.o.a. Gabrio
5 – A gran velocità!
L’inquinamento e la distruzione ambientale non sono una novità per nessuno. Alcune valli già deturpate dalla costruzione di autostrade e di linee ad alta tensione stanno per essere invase da un nuovo progetto del capitale: l’alta velocità ferroviaria (TAV).
In Val Susa a partire dal 1995 si sono verificati una serie di sabotaggi contro i cantieri per la costruzione del TAV, contro i ripetitori di Mediaset, Telecom e dei carabinieri. Tutte azioni di attacco per difendersi dalle devastazioni dei tecno-terroristi dello Stato-capitale.
Giovedì 5 marzo Edo, Silvano e Soledad sono stati arrestati con l’accusa di essere i responsabili degli attacchi in Val Susa. Contemporaneamente venivano perquisite e sgomberate tre case occupate a Torino e Collegno. Il giorno seguente durante un presidio sotto il Comune la polizia carica e, dopo gli scontri, arresta sette persone. Abbiamo sempre guardato con simpatia coloro che senza aspettare le decisioni di politici e ambientalisti (contro solo a parole) si oppongono anche praticamente ai progetti di distruzione dell’ambiente e delle loro vite.
Questo ci basta per essere vicini a chiunque possa aver compiuto questi atti.
Sosteniamo questi compagni aggrediti dall’infamante campagna dei mezzi di informazione che li ha dipinti come criminali-terroristi. Siamo orgogliosi di difendere e di essere al fianco di chi è accusato di azioni che ognuno di noi vorrebbe commettere.
Un abbraccio a Edo, Soledad e Silvano sequestrati dallo Stato italiano.
Anarchici del Canavese
companeros contro le nocività
6 – Comunicato in merito all’episodio di Dario Fo
“In fin dei conti io ho bene il diritto di uscir dal teatro quando la commedia mi diventa odiosa e magari sbattere la porta nell’uscire, a rischio di turbare la tranquillità di coloro che ne sono soddisfatti” Emile Henry, 1894
Ci dispiace deludervi ma non è stata una provocazione né un delirio da ‘mbriachi. Nonostante l’alcool eravamo lucidi. A sembrarci poco lucidi e incapaci di cogliere la situazione e creare un attrito reale siete stati voi. Probabilmente perché l’attrito non lo volevate creare. Sul fatto che l’omicidio di Calabresi possa essere motivo di gioia penso che siamo d’accordo, ma da come sono andate le cose sembra che non abbiate avuto il coraggio di dirlo nel momento in cui la questione usciva. Perché?
Perché dovevate mettere lo striscione alla fine. Ma dopo le merdate che si stavano sparando questo ed il vostro silenzio in merito, questa azione perdeva automaticamente di significato, forza e credibilità.
Nel pomeriggio voi avete preso un accordo con Dario Fo che consisteva nella possibilità di lanciare un messaggio a fine spettacolo con lo striscione, evidentemente a patto di stare zitti e buoni durante lo spettacolo, qualunque cosa lui avesse detto. Di tale accordo noi non ne sapevamo niente, comunque anche ne fossimo stati a conoscenza, non ci avremmo preso parte, perché di esprimere democraticamente le nostre opinioni cercando il consenso o anche solo la benevolenza della platea radical-chic di Torino non ce ne fotte un cazzo.
Comunque non si capisce perché alla fine lo striscione non l’abbiate messo, visto che così prevedeva la vostra strategia. Forse perché vi sentivate sputtanati voi per come avevamo agito noi? Molto strano, pensavamo che credeste nella responsabilità individuale. E qualcuno ha osato dirci che il nostro è stato un comportamento ingrato nei riguardi di chi ci aveva invitato. Rispondiamo che Dario Fo ci ha invitato a suo rischio e pericolo e che comunque siamo entrate nel teatro non perché avessimo in mano il suo invito, ma perché quando ci hanno chiesto il biglietto non li abbiamo cagati ed abbiam tirato dritto.
In ogni caso andando ad assistere ad uno spettacolo è chiaro che non rinunciamo a reagire ad esso come meglio riteniamo, specie se si tratta di uno spettacolo di quel tipo.
L’impressione che ci è rimasta e che ieri sera di fronte alle situazioni che si sono create, non avete avuto la volontà di reagire, forse a causa dell’indubbia capacità retorica di Dario Fo, e così avete fatto il suo gioco senza neanche accorgervene.
Per quanto riguarda “chi ha detto fascista a chi”, credete pure ai giornali, ma chi c’era sa come è andata…
minchiona, scema
deficiente, cogliona
‘mbriacona
encefalogramma piatto
impasticcata, testa di cazzo
e meno male che ci siete voi che ci state dentro.
(Documento rivolto al movimento diffuso a mano dalle contestatrici di Dario Fo e Franca Rame)
7 – Né corti né giullari
Da che mondo è mondo i giullari non sono stati altro che utili servitori del potere. Dovrebbe essere cosa nota a tutti, anche in questi tempi di menzogna. Anche in tempi in cui, per l’appunto, un giullare è qui sul palco a chiedere che venga dimostrata l’innocenza di tre persone accusate dell’omicidio Calabresi e che la giustizia trionfi. Non siamo affatto interessati all’innocenza o alla colpevolezza di Sofri, Bompressi e Pietrostefani; di questa vicenda ci interessa soltanto dire che chiunque si sia adoperato per procurare a Calabresi la fine che si meritava ha avuto un’ottima idea.
Ma siamo qui per parlare di un’altra storia. Giovedì 5 marzo, a Torino, tre persone vengono arrestate e tre posti, da loro frequentati, vengono perquisiti. L’inchiesta riguarda numerosi sabotaggi e attentati con cui è stato accolto il progetto dell’Alta Velocità in Val di Susa. A seguito di questi episodi, diverse persone, un po’ risentite, si sono scontrate con la polizia nelle strade del centro di Torino, parte dell’arredo urbano ha trovato un insolito ed appassionante utilizzo e molte vetrine sono esplose di rabbia. Neanche in questo caso siamo interessati all’innocenza o alla colpevolezza dei tre imputati e non siamo nemmeno qui a fare appello alla società civile per chiedere la liberazione di questi compagni.
In alcuni casi le menzogne con cui il Capitale maschera la sua reale natura di sfruttamento e coercizione si mostrano in tutta la loro concretezza. In questi casi, in particolare, non possiamo fare a meno di denunciarle pubblicamente.
Un treno superveloce, oltre ad essere un evidente disastro ecologico, è soprattutto la concretizzazione di un progresso ormai inevitabilmente anti-umano. Nessuno può sostenere, se non qualche lobotomizzato privato di ogni tensione e desiderio di vita, la realizzazione di un progetto simile; un progetto che s’impone, a suon di menzogne e galere, come un beneficio per tutti, mentre in realtà non è che un’ulteriore conquista del Capitale sulle nostre già misere vite ingabbiate nel tempo e nello spazio della merce.
E allora chi sono gli eco-terroristi? Quelli che devastano le valli per aumentare profitti e controllo sociale o coloro che decidano di opporvisi con i mezzi che ritengono più opportuni? Cosa è che fa davvero paura? Una molotov scagliata contro un cantiere di nocività o un traliccio ad alta tensione sotto casa? Cosa è più preoccupante? Una città ridotta ad ambulatorio per zombie in ceca soltanto di nuove merci o un bel sasso che vola a infrangere una squallida vetrina? Noi non abbiamo dubbi.
E anche se l’Alta Velocità venisse sconfitta state certi che non ne avremmo ancora abbastanza. Vogliamo vedere le valli esplodere di vita e le città insorgere. Vogliamo vedere le galere svuotarsi e crollare per sempre, vogliamo vedere gli studenti bruciare le scuole e i fedeli demolire le chiese, i soldati abbandonare divise e caserme, e i lavoratori farla finita con la loro improponibile quotidianità.
Insomma, non vogliamo vedere mai più né corti né giullari.
(Volantino diffuso all’ingresso del teatro Massaua di Torino, durante lo spettacolo “Marino libero, Marino innocente”)
8 – Abbiamo un fama da lupi “grigi”
Baleno è morto e tutti ci chiedono perché. Giornalisti allupati, vescovi ribelli, politici e comici. Tutti vogliono calcare la scena hard di Torino. Il biglietto è già stato pagato, con la vita di Edo e la carcerazione di Silvano e Soledad. A noi però non piace che qualcuno si rappresenti sulla nostra testa e giochi con le nostre vite, fino alla nostra morte. E a giocare sugli squatter-autonomi-anarchici-terroristi-spaccavetrine sono in tanti. Ognuno per il suo tornaconto. La magistratura, rappresentata dal “credibilissimo” Laudi, un “giudice con le palle”, che ha votato la sua esistenza alla lotta contro il terrore, fino dagli anni ’70. I ROS (reparti speciali dei carabinieri) e i DIGOS, manovali di un cantiere molto più ampio. Cantiere in cui sono spariti centinaia di miliardi ad alta velocità. I servizi segreti che annunciano smaccatamente gli attentati. Storie torbide in cui negli anni passati sono state smazzate 400 pistole per mantenere “la pace sociale”. Scavi nelle montagne, poi arenatisi perché impossibili, con finanziamenti svaniti e detriti uraniosi in giro. “Suicidi” di indagati, ecc. Lo Stato, che non puó ammettere che sia la gente comune dalla Valle di Susa a prendere l’iniziativa contro chi gli cementa la valle.
C’è bisogno di mostri, di capri espiatori. I padroni dell’alta velocità devono nascondere il fallimento delle loro trame. TAV (treno ad alta velocità) & ROS vanno in putrefazione, ma devono nasconderlo nel modo più spettacolare, che dia lavoro ai colleghi di giornali e tv, spostando l’attenzione sui bombardieri anarchici, un classico.
Il potere persuasore dei media, che crea notizie e mostri ad arte, promuove linciaggi e crea una realtà inesistente e virtuale, si accorge giusto per oggi, con risalto sciacallo e sputtanatorio, dell’esistenza dei posti occupati. Esperienza che esiste da almeno 10 anni a Torino e un po’ ovunque nel mondo occidentale. Al di fuori e contro le regole e gli schemi di denaro stato e capitalismo, pratica reale di autogestione realizzata qui, subito.
Ma chi se ne frega…
Vi avvertiamo per tempo che oggi o domani i servizi segreti metteranno una bomba sui binari.
Vi avvertiamo anche che ci avete rotto i coglioni con la strategia del terrore, per altro già ampiamente usata negli anni passati per coprire le peggio trame di stato.
L’altro giorno Ciro ha scorreggiato e gli è uscita dal culo una microspia: San gennaro ha fatto la grazia.
Libertà per Soledad e Silvano, libertà per tutti!
Barocchio occupato
9 – Siamo santi, ma non vogliamo martiri
Giovedì 5 marzo, ROS e Polizia su mandato del PM Tatangelo perquisiscono 3 squat e arrestano Soledad, Silvano e Edo della Casa Occupata di Collegno. Questa operazione che è stata accelerata, a causa di una microspia caduta su un parafango, voleva incastrare gli eco”terroristi” dei “Lupi Grigi”, che secondo la magistratura si nascondevano nelle case occupate di Torino. I fantomatici lupi grigi sono accusati di essere i responsabili di alcuni sabotaggi – autoprodotti – alla costruenda linea dei treni ad alta velocità (TAV), che devasta la già ferita Val Susa. Valle a noi particolarmente cara perché là, più volte, abbiamo liberato i nanetti da giardino strappati alla cementificazione.
Nel corso dell’operazione di polizia sono state trovate alcune bottiglie di benzina con su scritto “da usare in caso di sgombero”, siringhe e siringhe di silicone (sai che roba) e una “micidiale pipe-bomb” che si rivela in seguito un volgare bengala del tipo da noi sempre usato a capodanno davanti al carcere, sui tetti delle nuove occupazioni, durante le nostre messe nere.
In tre mesi di sofisticate intercettazioni ambientali (origliamenti) filmati, pedinamenti satellitari, gli unici reati a loro contestati sono un paio di furti. E per noi non c’è niente di male a prendere ciò di cui si ha bisogno scegliendo volta per volta la forma più creativa e valida.
La nostra pratica è quella dell’azione diretta, dell’autogestione, della vita vissuta. Cercando di essere imprevedibili, assatanati, anarchici, e blasfemi. Ci piace apparire e sparire, ogni volta in una forma differente, nel riflesso di una vetrina o nell’occupazione del set di Amelio, o in un corteo autorizzato, come oggi. Non siamo né militanti politici, né integralisti islamici. Siamo santi, ma non vogliamo martiri.
Siamo occupanti di case e da anni andiamo all’arrembaggio di Torino. Ognuno con le sue peculiarità, le sue diversità, la sua autonomia d’azione e le sue scelte.
Il Comune, proprietario di diverse case, ha cercato di sfruttare questa torbida operazione poliziesca per chiuderne tre. Non ci è riuscito, ma gli avanguardisti del perbene continueranno a portare avanti un’operazione di “pulizia” in vista dell’arrivo di pellegrini, santopapa e della sindone. Oppure del prossimo circo.
La magistratura prende farfalle, la stampa – imboccata e asservita – le rende credibili, le pompa, sputtana e condanna: taglia e cuce sullo squatter uno stereotipo idiota. Non credere nei media! Tutta la nostra solidarietà a Silvano, Edoardo e Soledad.
LIBERISUBITO-LIBERITUTTI
Questo è un corteo (autorizzato), un’iniziativa di controinformazione, siamo qui oggi per parlare con la gente e non con le vetrine. Non vogliamo provocazioni.
“Vivi tranquillo, lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai”. (Sant’Agostino)
Alcova occupato, Asilo occupato, Barocchio occupato, Cascina occupata, Deltahouse occupata
10 – Dove vola l’avvoltoio? — note urgenti al movimento
Questi due anni valsusini hanno rappresentato l’apertura di una possibilità. Mandare in culo il progetto dell’Alta Velocità è un sogno di tutti i valsusini — fuorché dei politici e dei padroni locali. Pur tra mille limiti — teorici e pratici — l’insieme dei sabotaggi (spesso anonimi, a volte dei “lupi grigi”) verificatisi in quella vallata poteva diventare un fatto collettivo: un potenziale scontro tra gli esclusivalsusini e gli inclusi.
È questa possibilità che fa venire la diarrea a giornalisti, carabinieri e giudici. È per reprimere preventivamente questa possibilità che sono stati arrestati Silvano, Edoardo e Soledad: indicandoli come “i lupi grigi”, come i probabili autori di tutti gli attacchi, come “gli eco-terroristi contro il Tav”, non solo sono stati tolti di mezzo tre ribelli, ma una lotta che diventava di tutti in Valsusa è stata inscatolata nella solita lotta tra i soliti anarchici e “il potere”: niente di particolarmente preoccupante per i tutori dell’ordine. *Baleno è stato tritato da questo meccanismo. Chi l’ha ucciso sono i giornalisti, i carabinieri e i giudici: cioè chi ha programmato e condotto questa operazione spettacolare per ridurre un possibile scontro diffuso in una noiosa guerra privata tra gli anarchici e “il potere”. *I giornalisti, i carabinieri e i giudici non solo sono degli assassini, sono dei coglioni: hanno gestito gli arresti nella maniera peggiore possibile, seminando molta più rabbia di quella che avrebbero potuto. In queste settimane, Verdi e Rifondatori tentano di ridipingere quella facciata che l’incapacità di questi mentecatti ha macchiato.
Ora che c’è il morto cominciano a calare avvoltoi di ogni tipo. Chi per non farsi scavalcare a sinistra dai Verdi, chi per pubblicizzare le proprie proposte di pacificazione sociale, chi per miseri interessi di categoria, molti che prima del suicidio di Edoardo si erano tenuti buoni ed in disparte ora vogliono cavalcare la rabbia per essere ripagati con il contante della politica. Riescono ad essere più necrofili dei giornalisti questi schifosi vermi politici, e questo pomeriggio sono in mezzo a noi.
La rabbia è stata seminata, che ora la rabbia esploda. Un nostro amico e compagno è morto: solo la vendetta merita attenzione. Soffiare sul fuoco della rabbia, far fuori la politica: gli avvoltoi non ci saranno certo compagni in questo.
Giornalisti, carabinieri e giudici hanno voluto chiudere in anticipo una possibilità di rivolta generalizzata in Valsusa. Sta a noi riaprirne mille, ovunque. La nostra rabbia ora è solo la rabbia di alcuni esclusi ma può diventare la rabbia di tutti. Solo approfondendo la critica. Solo con l’attacco. Solo smascherando i falsi amici, i recuperatori e gli avvoltoi. Solo riconoscendo i nostri veri compagni.
Alcuni anarchici valdostani
(testo di un intervento fatto circolare durante la manifestazione del 4 aprile)
11 – Edoardo Massari si è suicidato in carcere
Il PRC chiede una approfondita inchiesta, denuncia la situazione di degrado del sistema carcerario ed esprime profondo dolore per la perdita di una giovane vita.
Il PRC torinese guarda con interesse all’iniziativa di intellettuali, sindacalisti, politici tesa a proporre ai giovani di alcuni centri sociali torinesi momenti di incontro, discussione ed impegno.
Esistono gravi problemi sui quali il PRC ha proposte chiave:
-
La gioventù deve avere disponibilità di spazi in cui poter esprimere forme di autorganizzazione e nuove idee.
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Le periferie urbane e le zone più degradate della città devono diventare urgentemente sedi di progetti complessivi ed unitari per la battaglia contro il disagio e l’emarginazione e per favorire l’attivazione di progetti e strutture sociali, di formazione, assistenziali, ecc…
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Trentacinque ore e lotta alla disoccupazione (in alcuni quartieri cittadini sopra il 40% della gioventù) si intrecciano con l’idea forte dell’affermazione del fine sociale del lavoro.
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La scuola deve essere pubblica e di massa, qualificarsi di più, essere veicolo di formazione culturale, umana, tecnica per le giovani generazioni.
INCONTRARSI È POSSIBILE
CONTARE È POSSIBILE
LOTTARE È POSSIBILE
Partito della Rifondazione Comunista Giovani comunisti — Federazione di Torino
12 – Rivoluzione Comunista
Fuori gli “squatters” arrestati.
Svuotare le carceri dai detenuti proletari.
Abolizione della carcerazione preventiva per i reati patrimoniali e termini brevi di custodia senza processo.
Tutto l’apparato di Stato è responsabile della morte di “Baleno”.
Opporsi allo sgombero di qualsiasi circolo giovanile composto da proletari e di qualsiasi centro sociale.
Contro il “militarismo sanguinario” per il più conseguente sviluppo della lotta rivoluzionaria.
[…]
Intervenendo al corteo del 4 aprile sottolineiamo questo aspetto per richiamare l’attenzione dei manifestanti sulla natura “reazionaria” e “sanguinaria” del sedicente “centro-sinistra” e del governo Prodi-Veltroni. L’impiego delle “forze dell’ordine” (polizia, carabinieri, guardia di finanza, ecc.) come meccanismo aggressivo ed annientatore, specialmente nei confronti della gioventù più povera, esprime la metodologia propria di un governo controrivoluzionario. Ed indica che questo ci avvolgerà in un militarismo sempre più lugubre via via si approfondiscono frattura e scontri sociali. Guai quindi a nutrire illusioni sulla “maggioranza”, sulle giunte affini e sui politicanti sostenitori dell’una o delle altre. Sono tutti al servizio del padronato e dell’alta finanza. E vanno combattuti senza tregua e fino in fondo.
– Il nostro saluto a “Baleno”
– Niente interlocuzioni con giunte e istituzioni ma “muro contro muro”
– Creare “centri di socialità” come luoghi di incontro, di aggregazione, di lotta della gioventù.
-Esigere il salario minimo garantito di lire 1.500.000 mensili intassabili per disoccupati, giovani in cerca di occupazione, sottopagati e come minimo inderogabile per ogni forma di remunerazione inferiore.
-Cooperare all’unione delle forze attive della gioventù, metropolitana ed immigrata, nella costruzione degli organismi di massa proletari e del partito rivoluzionario.
Il gruppo di Intervento di Rivoluzione Comunista a Torino
13 – comunicato stampa
La messe di articoli su costumi e abitudini dei centri sociali e delle case occupate torinesi ha quasi occultato la semplice verità di Edoardo Massari quella per cui di carcere si muore e che la legislazione d’emergenza è diventata parte ordinaria del sistema penale e carcerario. Nulla di nuovo. Ma questi fatti che continuano a parlare lo stesso linguaggio di sempre sono impietosi per una classe politica che incapace di liberare i prigionieri politici e consentire il ritorno degli esuli, processa e incarcera i movimenti oggi. Che balbetta con tempi geologici di provvedimenti che parrebbero ovvi, depenalizzazione dei reati minori o legalizzazione delle non-droghe ad esempio. Che chiacchiera, per restare nel nostro piccolo, di Centri Sociali come risorse ma è incapace di accettarne l’identità politica antagonista. Dovrebbe far riflettere che nonostante tanto spendere di parola la realtà è quella per cui nessuna amministrazione comunale di una grande città ha messo mano seriamente alla vicenda degli spazi occupati. Nervosa tolleranza, nella migliore delle ipotesi. E che dire della provincia, quella milanese, per non andare tanto lontano, dove ancora si sgombera e demolisce contestualmente. La magistratura conserva dunque un ruolo preminente nella “trattazione” dei movimenti laddove la politica ha abdicato tanti anni fa. La partizione tra “rinserrati” e “dialoganti”, tra buoni e cattivi, mostra qui la sua intima strumentalità e la sua reale inesistenza: rompere una vetrina o occupare una sede della Lega Nord, si trasforma in un grave problema di ordine pubblico, in un clima da anni ’70, in tensione e paura e via con tutto l’armamentario.
Non può sfuggire che la discussione sul margine, sull’inclusione o l’esclusione, sulle trasformazioni del lavoro e della società, lascino il tempo che trovano di fronte all’incapacità e alla non volontà di mettere un punto alla storia passata che si manifesta con procedure e istituti, concreti e attuali.
Che le realtà dei centri e degli spazi sociali siano ben poco omogenee tra loro, che vi siano anzi profonde differenze, nei metodi e nella sostanza, è risaputo. Che non abbiano saputo costituire un soggetto politico nazionale anche. Ma tutto ciò ci sembra poco rilevante di fronte a fatti che hanno una loro sinistra modernità, costituendo la particolarità con cui si attua uno spazio europeo della costrizione piuttosto che delle libertà.
A Torino ci saremo dunque con contenuti non dissimili dalle tante altre volte, troppe, sotto e dentro le carceri di mezza Italia. Ci saremo con rabbia.
Centro Sociale Leoncavallo
14 – Assassini!
Nativo di Ivrea e con trascorsi anarchici, Edoardo Massari, detenuto nel carcere torinese delle Vallette, sotto l’accusa di aver commesso alcuni reati legati agli attentati contro i cantieri dell’alta velocità in Val di Susa, si é tolto la vita in cella, “Ore di tensione si sono vissute oggi pomeriggio a Torino durante le manifestazioni dei Centri Sociali che protestavano…”. Questo recitavano ieri, 28 marzo 1998, a caldo alcuni TG, dopo la diffusione della notizia della morte di Edoardo.
Non una parola, contro l’infamante Giustizia di Stato che sequestra le persone sulla base di semplici sospetti. Non una parola sulla responsabilità di chi ha fatto subire prima la cella di isolamento e poi la cella singola ad Edoardo, perché bollato dalla magistratura con l’accusa di ecoterrorista e come tale dato in pasto alla gente nei giorni successivi al suo arresto (avvenuto il 5 marzo scorso) dagli schiamazzi della stampa di regime.
Non una parola sul disagio giovanile che si vive nelle metropoli del neoliberismo di un Paese governato da un Partito Unico (forze politiche di maggioranza, di opposizione, confindustria, sindacati di regime, chiesa), dove regnano indisturbati lo sfruttamento, l’oppressione e la repressione contro i lavoratori, gli studenti, i disoccupati, gli immigrati e contro chiunque osi ribellarsi nella sua diversità alle regole disumane della società gerarchica.
Non una parola di verità sui progetti dell’alta velocità che minacciano l’equilibrio ambientale, sugli incidenti ferroviari che continuano a mietere vittime e a rendere ogni giorno di più inaffidabile un servizio pubblico (quale dovrebbe essere quello delle Ferrovie), sui tagli di spesa che hanno deteriorato i servizi essenziali provocando licenziamenti, mobilità, carichi di lavoro, salari da fame, senza minimamente intaccare le tasche e le libertà personali e tangentizie dei dirigenti, dei burocrati di partito e di sindacato che vivono del sudore di chi lavora o di chi patisce addirittura la fame perché disoccupato ed emarginato.
La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana, pertanto, mentre lascia alla farsesca ciarlataneria delle autorità inquirenti lo sbroglio giuridico dell’ennesimo “giallo” avvenuto nelle carceri di Stato, intende da parte sua stigmatizzare, a quanti hanno a cuore i valori della libertà e della verità, la tragica morte di Edoardo come un ennesimo omicidio di potere.
Un omicidio di Stato decretato da una magistratura che dopo aver tolto ad un uomo la libertà, affida ai mass-media di regime il compito di indicarlo agli occhi della pubblica opinione come un pericoloso ecoterrorista.
Il nostro modo di vivere e praticare l’anarchismo al fianco di chi lotta nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, nelle comunità con l’obbiettivo di costruire nel “qui ed ora” le basi per una società libertaria e federalista, senza né servi e né padroni, senza né Stato e né galere, può senza dubbio mostrare, sotto certi aspetti, sostanziali diversità di fondo da quello degli squatters anarchici, ma di fronte all’ignominia della società del Dominio, di fronte all’omicidio di Edoardo, oggi non possiamo che gridare insieme a quanti hanno manifestato il pomeriggio del 27 marzo a Torino: Assassini!
FEDERAZIONE ANARCHICA ITALIANA
15 – Puzza di bruciato — Chi ha interesse a coprire i misteri della Val di Susa
Venticinque aprile 1996, un giovedì. Quel giorno sui quotidiani torinesi appaiono indiscrezioni riguardanti le confessioni ai giudici di un certo Franco Fuschi, un cinquantenne agricoltore di Mattie, un paesino della Val di Susa, destinato a far parlare di sé in maniera sinistra quanto ambigua nelle settimane seguenti. Confesserà di avere compiuto una dozzina d’omicidi, nel giro di vent’anni, e soprattutto di essere stato un collaboratore del Sisde, il servizio segreto civile, e del Sismi, quello militare. Chi è davvero Fuschi? I misteri non sono mai stati interamente sciolti. Diciamo che, per quanto se ne sa, sarebbe stato sommergibilista in gioventù e avrebbe impunemente fatto il killer per due decenni, eseguendo delitti in proprio e su commissione (dice lui) dei servizi italiani. Si conosce la sua maniacale passione per armi ed esplosivi, del resto, ed emerge che fino al ’96 era sì un illustre sconosciuto, ma non troppo, a ben vedere. Visto che la polizia lo aveva utilizzato in passato come confidente. Ad ogni modo, nessuno o quasi ha mai saputo niente di lui fino ad un pomeriggio della primavera del ’98, quando, durante un interrogatorio alla procura di Torino, va in bagno e cerca di uccidersi, sparandosi alla testa. Resta illeso: per un miracolo della Sindone oppure per qualcosa di assai più torbido?
Fatto sta che tra le molte cose che dice ai pubblici ministeri, ai quali si è “consegnato” nel ’95 come collaboratore anomalo e a piede libero (era stato intanto indagato per traffico d’armi in Val di Susa), Fuschi tira fuori pure la storia di alcuni attentati a tralicci dell’Enel, che, molto sbrigativamente e comodamente, gli inquirenti avranno tentato di addebitare al cosiddetto eco-terrorismo. Peccato, però, che gli ecoterroristi dei quali parla l’ex sommergibilista siano molto differenti dagli squatter, trasformati in queste settimane, come è purtroppo tragicamente noto dopo il suicidio in cella di Edoardo Massari, in pericolosi “lupi grigi” autori di attentati “ecologisti”.
Quegli eco-terroristi, infatti, puzzano maledettamente di servizi segreti, più o meno deviati.
Sulla Repubblica, il 25 aprile ’96, vengono riportate le rilevazioni fatte da Fuschi. (…)
Rileggere adesso quelle notizie di due anni fa, alla luce della campagna “eco-terroristica” orchestrata contro squatter, anarchici e centri sociali, assume una connotazione inquietante e come profetica. Non soltanto perché l’indagine sugli attentati ai tralicci è stata dimenticata, anzi archiviata, a quanto pare, dalla Procura di Torino. Ma anche in ragione del fatto che le vicende che hanno coinvolto Massari, Maria Soledad Rosas e Silvano Pellissero, accusati di aver compiuto azioni dimostrative “ecologiste”, hanno ancora una volta come epicentro la Val di Susa: la stessa di Fuschi, degli agenti del Sisde inquisiti (e archiviati a loro volta), dei traffici d’armi legati al neofascismo e alla mafia. D’altra parte, nessuno degli autori degli attentati della Val di Susa – contro obiettivi della società autostradale Sitaf, della Rai, della Telecom, delle Tav – è stato individuato. E, come è risaputo, il povero Massari, Soledad e Silvano Pellissero, sono stati imputati di fatti assolutamente minori.
Chi sono allora i veri responsabili degli attentati della Val di Susa? A chi hanno giovato e giovano? Non c’è forse una fortissima analogia con gli episodi svelati da Fuschi? Come mai la pista “eco-terrorista” è tornata in campo, mentre quella indicata dal killer-pentito è stata rimossa? E’ troppo dire che qui si sente puzza di bruciato e che c’è la sensazione di assistere alla recita di copione vecchio di trent’anni?
Enne
(da “Umanità Nova”, settimanale della Federazione Anarchica Italiana, del 26/4/1998)
16 – TERRORISTI SONO I GIORNALISTI
Perché?
Perché i giornali hanno appoggiato la farsa di giudici e sbirri, spiattellando una foto con due improvvisati artificieri che mostrano ai lettori una cartuccia di silicone e una micidiale Pipe bomb, poi rivelatosi essere un bengala, di quelli in uso sui battelli, ben conosciuti negli stadi.
Perché ciò è servito a deviare l’attenzione del pubblico dalle mille speculazioni, scandali e tangenti, per decine di miliardi, che costellano un oscuro lavoro in Valle di Susa, nei cantieri dell’Alta Velocità, dove sembra che siano solo i soldi che corrono veloci.
Perché è facile speculare sul solito anarchico bombarolo, che avrebbe nelle case occupate i suoi covi, e prendere così due piccioni con una fava.
Perché hanno trovato solo diciannove bottiglie piene di benzina (da usarsi in caso di sgombero), ed un bengala: troppo poco per accusare chicchessia di terrorismo, e troppo poco per giustificare tre mesi di indagini, intercettazioni, pedinamenti, satelliti, e microspie.
Perché la stampa ha bisogno di sbattere un mostro in prima pagina, per vendere venti merdose copie in più.
Ma se ci volete terroristi al silicone ed al bengala, eccoci qua per eccitarvi ed accontentarvi.
Contate voi gli impossibili feriti!
Se avete deciso che le nostre armi sono quelle, non ci tireremo indietro, perché l’avete voluto voi.
A noi ci piace giocare, con qualunque materiale.
Ed il gioco possiamo continuarlo, finché i nostri amici saranno rinchiusi in una galera per le velleità di promozione di un qualche giudice idiota.
Giudici, giornalisti e sbirri devono lavorare anche loro, ed ogni volta lo fanno sulla pelle degli altri.
Soledad, Baleno e Silvano liberi subito!
Le mosche bianche N°1, amici di quelli che voi chiamate “Lupi Grigi”, spaccavetrine, squatters, casseurs, teppisti a manetta…
luna nuova n. 29
venerdì 17 aprile 1998
PARLA LUCA IL “MARITO” DELLA RAGAZZA ARGENTINA
“Edo e Silvano, ragazzi in gamba: in cella a pagare perché anarchici”
LIBERTA’ è potersi inventare la vita giorno dopo giorno, rifiutando un posto che qualcuno ci ha già assegnato. Oppure, come diceva Brecht, stare nel posto sbagliato semplicemente perché gli altri sono già occupati. Luca ha 33 anni, da dieci vive così, senza tetto né legge. O meglio, un tetto ce l’ha: sta a Torino, e da tre anni vive in un edificio pubblico occupato. E’ uno “squatter” anarchico, uno di quelli che sono diventati un caso sociologico dopo l’arresto di Silvano Pelissero, Maria Soledad Rosas ed Edoardo Massari e soprattutto dopo il suicidio di quest’ultimo in carcere e la protesta che ne è seguita. Luca conosceva bene “Baleno”, l’amico che ha deciso di farla finita forse perché schiacciato da una storia che non riusciva più a capire. Ma frequentava anche Pelissero e “Sole”. Assieme a loro e ad altri hanno organizzato parecchie iniziative nei centri sociali, le cene, i concerti. Poca ideologia e molta amicizia, temprata da comuni scelte di vita. Luca racconta di sé e dei suoi amici, di Soledad, che lui ha sposato per consentirle di restare in Italia ma, ci tiene a dirlo, non parla per conto degli “squatter”, bensì a titolo esclusivamente personale. “Parlo con voi, col vostro giornale, perché siete stati gli unici corretti, gli unici che non hanno bollato i nostri compagni come terroristi, che hanno cercato di capire che cosa c’è dietro a questa storia”, spiega. Lui ha fatto il liceo scientifico, poi si è iscritto a lettere, ma dopo nove esami ha lasciato stare. Ha cominciato a girare coi punk, poi sono iniziate le prime occupazioni. Organizzavamo concerti a Vanchiglia ed era una fatica, con tutti i permessi da chiedere e i posti da trovare”, racconta, ricordando di quando a Torino governava la giunta di sinistra guidata dal sindaco Diego Novelli. Poi è arrivata l’amicizia coi tre anarchici arrestati, ultima Soledad.
Quando l’hai conosciuta? “Alla fine dell’estate, di preciso non ricordo. Lei era arrivata in Italia con un’amica, Silvia, per andare a lavorare all’AIpe Devero in un rifugio alpino sui monti di Domodossola, ed aveva alcuni indirizzi di anarchici. Noi l’abbiamo ospitata subito e così lei ha conosciuto Edoardo e Silvano. Poi è andata a Domodossola, ma non si trovava bene ed è tornata a Torino”. Luca non ricorda quando i tre suoi amici sono andati a vivere nella casa occupata a Collegno. “So solo che ci vedevamo spesso e facevamo molte cose assieme, le nostre iniziative per mantenere le case o per raccogliere soldi da mandare ai compagni in carcere”.
Che tipo è Soledad? “Una ragazza in gamba, forte, che non si è persa d’animo. quando è arrivata da noi aveva già un’idea anarchica che è poi venuta fuori in maniera evidente”. Il 26 febbraio, una settimana prima dell’arresto, Luca sposa Soledad. Com’è che avete preso questa decisione? “La Digos sorvegliava in particolare quelli che arrivano da paesi extracomunitari, i poliziotti facevano pressione anche su di lei, invitandola a starsene buona, se non voleva essere espulsa. Così, io e altri abbiamo fatto questa proposta, che consentiva a Soledad di restare in Italia senza problemi e, visto che l’idea era venuta a me, mi sono offerto io. Lei è apparsa molto contenta e, dopo esserci sposati in Comune, abbiamo fatto una festa con sessanta invitati”.
Soledad era però legata sentimentalmente a Massari. Che ricordo hai di lui? “Anche Edoardo era un tipo in gamba. L’ho conosciuto tra il ’90 e il ’91. Era un anarchico fino in fondo e molto bravo ad inventare, ad adattare il materiale che riusciva a reperire, un po’ come tutti noi”. Massari era già stato coinvolto in una vicenda giudiziaria, di lui hanno detto di tutto, ma Luca ha un’altra versione: “Si era preso un anno e 6 mesi per il possesso di 40 grammi di polvere nera, ma anche allora è stata una montatura. Un tentativo di criminalizzazione. Fotografie del suo laboratorio pieno di tubi, come fossero ordigni: in realtà riparava biciclette, era il suo lavoro. lo non ho mai saputo che fosse esperto di armi o di esplosivi”. Dopo la morte di Massari, c’è stata la fila di politici davanti al carcere delle Vallette, tutti a portare una parola di conforto. Hai apprezzato? “L’unico che si è comportato correttamente è stato il consigliere regionale verde Pasquale Cavaliere, che è venuto per capire, prima che il fatto ottenesse risonanza nazionale”.
Parliamo di Silvano Pelissero. Quando l’hai conosciuto? “Quattro o cinque anni fa. E’ un tipo particolare, molto abile nei lavori manuali, un ottimo fabbro, ad esempio, che ha realizzato le porte blindate di molte delle case occupate”. Anche Pelissero, dice Luca, partecipava alle loro iniziative e poi parlava agli amici della valle di Susa.”Ci raccontava, parlandone male, dei protagonisti delI’inchiesta sul traffico d’armi, di Fuschi, dell’opposizione in valle al treno ad alta velocità e delle sue avventure in Messico, dov’era stato per qualche tempo. Voglio però aggiungere che di molte questioni, come il treno veloce, ci occupavamo già prima che ce ne parlasse Silvano”
Cosa pensi di chi si oppone con gli attentati ad opere come il tav? “Ognuno si dota dei mezzi che ritiene più opportuni per opporsi. Di quegli attentati non so niente. Ma se sapessi che un compagno è stato preso mentre fa un attentato, lo difenderei”. E dell’arresto di Massari, Pelissero e Rosas, cosa pensi? “Che i giudici non hanno prove per accusarli. Penso che forse sono stati coinvolti in una storia più grande di loro, che si sono esposti: ed ora, com’è già accaduto in passato per altri anarchici, pagano”
G.P.
17 – Giornalisti, veniamo a restituirvi un po’ della vostra merda
di quella merda che ogni giorno, in spregio ad ogni dignità, gettate su migliaia di individui che non hanno i mezzi per controbattere. Voi date forma inappellabile alla realtà, di più, la realtà siete voi, la realtà è la rappresentazione. In tutto questo non c’è alcuna comunicazione, c’è soltanto violenza.
Avete le mani sporche di sangue, siete ubbidienti con i vostri padroni, in rapporto di continuo e reciproco leccaculismo con potenti e politici, irriguardosi ed arroganti con gli uomini e le donne senza potere. E il vostro potere è tra i più abbietti, è quello di violentare l’intimità della gente, di speculare sui disastri, di costruire mostri ed allestire linciaggi, di favoleggiare sulla pelle di persone che neppure conoscete.
Di più, siete il pilastro della costruzione del consenso, sbirri dell’ordine sociale, professionisti della calunnia e del discredito, tecnici della normalizzazione e del recupero. Forse è troppo per voi, i più sono soltanto sciocchi e grossolani, approssimativi come la realtà che disegnano sui loro giornali, nel migliore dei casi rassegnati e banali come il mondo che continuano ad accettare e a riprodurre. Siete tristi sciacalli sempre a caccia di sangue fresco, maestri soltanto nel parlare per non dire nulla.
Imbrattatori organizzati e stipendiati a malapena riuscite ad imbroccare dieci righe senza colmarle di errori, imprecisioni, falsità e sciocchezze, eppure fate più danno della peste.
Di buon grado riportate le veline della questura e dei carabinieri, poi ci ricamate sopra per i vostri scopi criminali. Avete un morto sulla coscienza. Uno soltanto? La nostra pazienza è morta insieme a Baleno.
Un lavoro come un altro, direte. Un lavoro ignobile come quello del giudice che voi spesso anticipate sentenziando condanne e costruendo forche. Ma quest’alibi, da sempre il più in voga, quello che solleverebbe dalle proprie responsabilità persino il boia, persino il torturatore è per noi, casomai, un’aggravante.
Chiunque sia stato vittima delle vostre attenzioni da tritacarne sa riconoscere da lontano il vostro odore e, o vi evita, oppure vi sta cercando.
Oggi alcuni individui senza potere vengono a gettarvi in faccia il loro disprezzo, vengono a dirvi, in silenzio, guardandovi in faccia, che con voi non cercano alcun dialogo, alcuna comunicazione, alcun rapporto. Semplicemente perché questo è impossibile. A noi interessano rapporti reciproci, anche di scontro, ma con chi cerca ogni giorno libertà, con chi non vuole manipolarci, reprimerci, zittirci, infamarci… Con voi troppi i conti in sospeso.
Alla merda, dunque, solamente merda.
E’ per questo che vi facciamo questo prezioso omaggio, consapevoli che in questo elemento sapete muovervi egregiamente.
Buon divertimento e soprattutto a presto.
gli anarchici
18 – La violenza strutturale dell’informazione
(da Varieventuali, Ivrea, 8 aprile 1998)
La storia di Edoardo Massari meriterebbe solo silenzio. Ma di fronte alla violenza dell’informazione vorremmo rispondere con la nonviolenza della ricerca della verità.
Molti di noi hanno partecipato ai funerali di Edoardo. Leggendo i giornali e vedendo i telegiornali ci siamo chiesti se abbiamo partecipato ad una altro rito funebre.
Vorremmo raccontare quello che abbiamo visto, rifiutando le esagerazioni che abbiamo letto, senza nascondere parte dei fatti che sono avvenuti.
Prima che partisse il corteo funebre alcuni ragazzi dei centri sociali hanno espresso ai giornalisti il desiderio dei genitori di Edoardo che venisse rispettata la forma privata delle esequie. In particolare hanno invitato il giornalista dell’Ansa Daniele Genco, conosciuto in Canavese, ad allontanarsi. Peraltro questa volontà della famiglia era nota da giorni. Nonostante questo, alcuni giornalisti sono tornati sulla piazza della chiesa con un atteggiamento che anche a noi è parso provocatorio e che dimostrava mancanza di rispetto alla famiglia, agli amici, a Edoardo Stesso.
Il feretro è arrivato nella piazza di Brosso e da lì è iniziato il corteo verso la chiesa parrocchiale in un silenzio che raramente abbiamo visto in altri funerali.
Quando la bara stava entrando in chiesa, alcuni giovani hanno riconosciuto e aggredito il giornalista dell’Ansa, in modo tanto veloce che quasi nessuno si è reso conto di quello che stava succedendo. Il rito è proseguito in chiesa e nel vicino cimitero con un atteggiamento di tutti molto rispettoso e raccolto, con modi diversi di manifestare il proprio dolore, senza disturbare il silenzio del momento.
All’arrivo di Maria Soledad Rosas, circondata da agenti della Polizia Penitenziaria, si è levato un coro che chiedeva la sua libertà, ma subito la folla che circondava la bara si è fatta da parte per permetterle di avvicinarsi alla fossa. Qui è iniziato un dialogo tra Maria Soledad, i genitori di Edoardo e i suoi amici pieno di umanità e di dignità. Anche gli agenti ci sono parsi colpiti dall’atmosfera ed hanno mantenuto un atteggiamento rispettoso. Erano presenti anche cittadini di Brosso e gente comune dei dintorni, perfino mamme coi bambini che sono venuti a dimostrare il proprio affetto ai genitori di Edoardo dentro il cimitero, come avviene nei nostri paesi in queste circostanze. Anche nei giorni precedenti, gli abitanti di Brosso sono stati vicini ai genitori.
L’atteggiamento di Maria Soledad ha contribuito molto a creare un ambiente disteso, quasi familiare; neppure quando è stata ricondotta al cellulare ci sono stati momenti di tensione.
Questi sono i fatti che noi abbiamo visto.
In seguito abbiamo saputo dell’aggressione che avevano subito altri giornalisti, avvenuta nella piazza del paese che dista circa trecento metri dal cimitero.
Non vogliamo certo giustificare la violenza fisica subita dai giornalisti. Ma occorre denunciare un’altra violenza più grande che uccide dentro (e a volte porta al suicidio), che è la violenza strutturale di una certa informazione. Le notizie come sono state riportate dai giornali e dai telegiornali descrivono piuttosto la paura di ciò che non si conosce e non si vede, la difesa del proprio gruppo di appartenenza, senza alcuna capacità autocritica, pensando che difendere una certa informazione significhi difendere la libertà di stampa. Ma la menzogna non è libertà!
Vorremmo riferirci al giornalista dell’Ansa perché è un cronista che conosciamo per quello che ha scritto per anni su un giornale locale, dove molto spesso ha costruito false campagne di stampa, colpendo le persone, soprattutto le più deboli, che non potevano difendersi. Lo stesso Edoardo Massari è stato condannato prima dalla sua penna che dai tribunali, a partire dai fatti del 1993, quando Massari venne accusato, e poi condannato, per detenzione di materiale esplosivo; fino ad arrivare ai fatti di questi giorni. Il giornale locale del lunedì metteva in bocca ai genitori di Edoardo la parola “assassini” che sarebbe stata urlata in faccia ai carabinieri. Un testimone oculare assicura che i genitori (che già avevano ricevuto la notizia da altra fonte) non hanno detto alcuna parola al maresciallo dei carabinieri che comunicava la morte di Edoardo, anzi il padre di Edoardo, dopo un attimo di incertezza, ha salutato il maresciallo stringendogli la mano. Perché falsare la realtà?
Tutto ciò, lo ripetiamo ancora, non giustifica minimamente la violenza subita dai giornalisti, ma evidenzia i due aspetti negativi di questa vicenda: come la stampa ha ingigantito e distorto il caso di Edoardo Massari e l’ostinazione dei giornalisti a voler partecipare a tutti i costi ai funerali. Perché in altri casi non è stato così?
Siamo convinti che l’informazione sia un servizio importante e necessario, ma è vero che c’è chi abusa del suo fare il giornalista.
Per questo vorremmo lanciare una proposta: un Forum sulla violenza strutturale dell’informazione, da tenersi ad Ivrea, che coinvolga giornalisti, agenzie di stampa, cittadini e lettori di giornali, per affrontare il tema dell’informazione, il suo potere, il controllo, la libertà, il rapporto della stampa con la democrazia.
Alberta Aluffi e Bruno Saccuman della Casa di Abramo, Palmina Beata e Giuliana Bonino di Pax Christi, Elisabetta De Masi e Carla Rabogliatti della Caritas Diocesana, Giulio e Maria De la Pierre, Silvio Salussolia, Fraternità Carmelitana di Lessolo, Egidio Cosanza dell’Associazione Mastropietro di Cuorgnè, Enrico Bandiera e Francesco Zaccagnini di Varieventuali
19 – Da che cosa nasce il disagio sociale dei giovani di Torino? Perché non vogliono parlare?
Il silenzio degli squatter
Archiviata, con la troppo facile gioia di tutti, la generazione dei “giovani dal pugno chiuso” che con il grido insurrezionale e con il gesto anche violento volevano cambiare il mondo e gridare in faccia qualcosa a qualcuno, ci siamo trovati con la “generazione degli abbastanza” così definita dalla relazione Eurisko del 1994 perché “vanno abbastanza d’accordo con i genitori, che concedono loro abbastanza libertà, e hanno abbastanza voglia di diventare adulti”, ma non troppa fretta. Nessun progetto per il futuro, anche perché non ci sono abbastanza opportunità, nessun ideale da realizzare anche perché non ce ne sono di abbastanza coinvolgenti.
E’ una tribù che ha un basso livello di autoconsiderazione, una sensibilità gracile, introversa, indolente, un’inerzia provocata da un’eccessiva esposizione agli influssi della televisione, un’unica preoccupazione: procurarsi un’incredibile quantità di tempo libero per assaporare fino in fondo l’assoluta insignificanza del proprio peso sociale.
Qui la comunicazione ha registrato il suo primo collasso, ma per afasia, perché non si aveva niente da dire, non, come nel caso degli squatter, per decisa volontà di non parlare, di non raccontarsi e di non farsi raccontare. Fu così che questa generazione si buttò nel rumore assordante della discoteca dove non c’è bisogno di parlare perché non si può parlare, e affidò a questa impossibilità tecnica il proprio silenzio emotivo.
A questa generazione si affiancò la “generazione Q” descritta dal sociologo tedesco Flasko Blask in Q come Caos, dove “Q” sta per “Quoziente intellettuale ed emotivo”, incapace, ma forse anche disinteressato, a distinguere il bene dal male. Quanto basta per agire come virtuosi dell’irresponsabilità, senza alcun riguardo per la propria storia personale, senza rispettare impegni e senza temere le eventuali conseguenze del proprio agire.
Sono i ragazzi del cavalcavia, che portano alle estreme conseguenze il principio di non dover mai chiedere nulla a nessuno, nemmeno a se stessi, e perciò si dedicano totalmente al compito di inventare nuove regole del gioco laddove grava la routine. Concentrandosi sulla possibilità di escogitare qualche sorpresa laddove domina l’angoscia dell’eterna ripetizione, inscenano tutta la loro vita come un esperimento sociale dall’esito incero, e vanno su di giri al semplice ed esaltante pensiero che ciascuno nella propria vita va in diretta ventiquattr’ore su ventiquattro.
Qui la comunicazione collassa non perché non si ha niente da dire, come capita alla “generazione degli abbastanza”, ma per assolutaincapacità di stabilire relazioni per cui, come scrive lo scrittore americano Andrew Vachss in Blue Belle, il rappresentante della generazione Q “segue solo i propri pensieri, procede per la sua strada, avverte solo il proprio dolore. Sì. Non è forse la via giusta per sopravvivere in questo letamaio? Aspetta il tuo momento, abbassa la visiera. Non lasciare che ti leggano il cuore”. In quel cuore c’è la convinzione che è meglio essere esagitati che attivi, che sprofondati in un mare di tristezza, perché se la vita è solo uno stupido scherzo, si dovrebbe almeno poterci ridere sopra.
Collasso della comunicazione perché non si ha niente da dire (generazione degli abbastanza), perché si è incapaci di stabilire relazioni (generazione Q), perché non si vuole più parlare a chi non ha più la possibilità di rispondere.
E qui siamo agli squatter che non sono figli del benessere e neppure figli della noia. Non assomigliano neppure ai loro predecessori dal pugno chiuso, perché costoro volevano cambiare il mondo e lo urlavano a quanti lo volevano tener fermo nella roccaforte dei loro solidificati interessi, mentre gli squatter a questo cambiamento del mondo non ci credono più: E allora non gridano rivoluzione, madisperata rassegnazione che conoscono quanti non solo non credono che le cose possano cambiare, ma neppure che gli altri, gli uomini dell’informazione, della politica, della scuola, del mondo del lavoro, possano capire.
Dopo aver assaporato la loro non incidenza, neppure minima, l’impossibilità di cambiare le regole di una società tecnologicamente, e non politicamente o moralmente ordinata, gli squatter vanno alla ricerca di una nicchia adeguata dove poter mettere in scena la loro disarticolata ed epocale sventura. Dico “epocale” perché è la prima volta nella storia che un “servo” non ha davanti un “padrone” con cui prendersela, perché i padroni sono diventati a loro volta semplici funzionari di un sistema (il mercato) che trascende loro stessi. Così come è la prima volta che un “disagio sociale” non può prendersela con la “politica”, perché ha annusato che la politica non è più il luogo delle decisioni, essendosi questo luogo trasferito altrove: nell’economia organizzata quasi esclusivamente da fattoritecnici, come l’Europa che sta nascendo è lì ogni giorno a dimostrare e a illustrare dagli schermi tv e dalle pagine dei giornali.
Ma la tecnica ognuno lo sa, e gli squatter lo fiutano, non ha fini da realizzare, né altro scopo a cui tendere che non sia il proprio potenziamento. E ciò trasforma subito il lavoratore in un semplice e anonimo collaboratore di questo potenziamento senza scopo e senza perché.
A tutto questo lo squatter dice no! E siccome l’età della tecnica non offre più uno scenario dove si possono scontrare, come pensava Marx, due volontà, quella del “servo” e quella del “padrone”, ma uno scenario di automatismi tecnici muti ma efficaci e funzionali, con chi dovrebbero parlare gli squatter? Con i politici che si trovano nella condizione di non poter decidere, ma solo far eseguire la sequenza ordinata di questi automatismi? Con gli uomini dell’informazione che ogni giorno spiegano gli atti “esecutivi” e non “decisionali” della politica che agli squatter appare come un sovrano spodestato?
No, gli squatter si limitano a prestare un po’ di attenzione solo a monsignor Bettazzi vescovo di Ivrea, perché come uomo di Chiesa, racconta una storia pre-tecnologica, dove il tempo appare ancora fornito di senso. Gli squatter sanno che non è vero, ma una boccata di senso nel mondo dell’insensatezza, che ha come sua unica direzione la crescita infinita senza senso e senza perché, non la si rifiuta.
Resta da capire se l’ecoterrorismo, di cui gli squatter sono stati inizialmente accusati, abbia qualche attinenza con il mondo della tecnica che vediamo come causa prima della mancanza di senso dilagante. Ma gli squatter non parlano. E forse il loro silenzio è l’unica risposta corrispondente al silenzio dell’automatismo tecnico che procede senza una direzione, senza uno straccio di spiegazione, senza una parola, spinto avanti solo dal proprio cieco e inarrestabile potenziamento che non dà gioia a nessuno, né prospettiva, né futuro fornito di senso. Non è assolutamente facile vivere in queste condizioni, e gli squatter lo dicono portando in manifestazione il loro silenzio.
Umberto Galimberti
20 – Un piccolo segno
Gli organi di informazione sono parte consistente del dominio sociale. Il mondo che riflettono e che riproducono è il mondo dello Stato e dell’economia. Di quel mondo parlano e a quel mondo vogliono ridurre e integrare ogni tensione individuale e ogni pratica collettiva. Di fronte a chi vuole sovvertire l’ordine stabilito, a loro reazione assume aspetti diversi ma complementari: il silenzio, la criminalizzazione, il recupero. Il silenzio quando si tratta di nascondere un malcontento diffuso, il desiderio sempre più forte di libertà. La criminalizzazione quando si vuole giustificare la repressione — il modo migliore per sconfiggere il nemico è presentarlo come mostro. Il recupero quando si intende assorbire le tensioni ribelli, mistificandone i contenuti, plagiandone lo tendenze, la poesia, i linguaggi.
Per anni i giornali di regime hanno infangato la figura di Edoardo, presentandolo prima come un pericoloso bombardo, poi, dopo la sua morte, come un depresso vittima di una Giustizia ingiusta. Il culmine dell’ipocrisia viene raggiunto dal vescovo di Ivrea quando, durante la sua omelia, lo paragona al buon ladrone. La Grazia del Signore si può ricevere soltanto da morti.
Basta leggerne un paio di articoli per capire chi è Daniele Genco. Cronista de La Sentinella del Canavese, organo di informazione in mano all’impero Olivetti, non ha mai fatto molta strada. Tanto per citare un esempio, anni fa aveva scritto che Edoardo voleva mettere una bomba ad una manifestazione della Croce Rossa. Uno dei suoi compiti specifici è sempre stato quello di dare nome e cognome ad articoli preparati dalla polizia. Se risultasse vera la notizia delle telecamere piazzate intorno alla chiesa di Brosso, apparirebbe chiaro il suo ruolo di provocatore, studiato a tavolino con le forze dell’ordine. Quale occasione migliore per diventare improvvisamente famoso prima di andare in pensione? Genco aveva già dato prova della propria malafede quando, in seguito agli scontri avvenuti nel dicembre ’93 durante una manifestazione in solidarietà con Edoardo, si presentò volontariamente a testimoniare contro i manifestanti, riconoscendone qualcuno in particolare. Lo sbirro e il giornalista si compensano, là dove finisce il lavoro di uno, comincia il lavoro dell’altro.
La risposta data a Brosso, peraltro condivisa da buona parte dei presenti, contro la violenza delle telecamere, scatena l’ira dei pennivendoli che parlano di “grave attacco al diritto di informazione”, di “aggressione e brutale pestaggio”. La reazione dei compagni è comprensibile, umana, scatenata dalle passioni e fondata su una indubbia lucidità critica. Trattare i giornalisti da poliziotti non significa solo individuarne correttamente le responsabilità, ma anche rifiutare nella pratica il fatto che la propria rivolta sia parlata, fotografata e spacciata come merce. Attaccare i mass media vuol dire allo stesso tempo attaccare la politica (chi fa politica è costretto sempre più a offrire la propria immagine). Nel gesto di Brosso c’è la dignità di chi ha compagni da amare e non martiri da immortalare e c’è una lotta che cerca i propri mezzi di espressione autonoma.
Disumano, vergognoso è vendere lo spettacolo del dolore e della rabbia. Vergognoso è trasformare le parole in armi al servizio dei potere, chiacchierare di una vita che non si conosce, descrivere tensioni che non si provano, criminalizzare una rivolta che fa paura.
Alcuni compagni che c’erano
(testo di un intervento circolato dopo la manifestazione e riguardante i fatti di Brosso)
21 – Lunga vita agli squatter
(da Tuttosquat, 11 – Primavera 1998)
Non sono uno squatter. Mi considero un anarchico senza aggettivi. Non sono l’espressione del disagio giovanile: l’unico disagio che sento è quello di essere costretto a vivere in una società dominata da politicanti, padroni, preti, giudici, poliziotti e via dicendo.
Sono uno di quei quarantacinquenni che i vari politologi e sociologi da operetta definiscono “residuati del ’68 e del ‘77”. Evidentemente questi imbecilli non si rassegnano al fatto che molti di noi non sono stati recuperati, ma sono ancora percorsi dagli stessi fremiti di ribellione e hanno conservato inalterata la stessa voglia di mutare l’esistente.
Il mio modo di “fare politica”, di comunicare, di confrontarmi con la gente è distante dalle pratiche degli squatter. Il gusto della provocazione che caratterizza le loro azioni non sempre mi coinvolge. Non condivido il loro autoescludersi dalla società, il ritenere prioritario difendere i proprio spazi, dedicando scarsa attenzione a tutto ciò che li circonda, se non sono direttamente attaccati.
Mi piacciono gli squatter per la loro vitalità e creatività, per il loro tentativo di autogestire la propria vita, per la loro inesauribile fame di spazi da occupare onde crearne dei luoghi di aggregazione e di sperimentazione anarchica, per il loro ostinato rifiuto a lasciarsi sottomettere, per la loro tenacia nel non cedere alle lusinghe delle istituzioni, per la loro pratica costante dell’azione diretta al fine di ottenere ciò che desiderano.
Non ho paura della diversità. Se l’anarchia è la piena realizzazione della libertà è evidente che la diversità ne rappresenta un valore fondante. Un anarchismo che si uniformasse ad un unico modello di percorso o di pratica politica, in cui tutti gli anarchici vi si potessero riconoscere, sarebbe, oltre che improponibile, una cristallizzazione del concetto stesso di libertà.
Un anarchismo vissuto intensamente non può avere certezze, ma deve sapersi continuamente interrogare sul passato sul presente e sul futuro; non può riprodurre luoghi comuni, senza cadere inevitabilmente in sterili dogmatismi. È logico, quindi, che le risposte agli interrogativi che la realtà quotidianamente pone agli anarchici non possano essere univoche, ma inevitabilmente differenti a seconda delle attitudini, delle esperienze e delle situazioni di ogni anarchico od insieme di anarchici.
Nessuno (tantomeno il signor Nobel e compagna) si può arrogare il diritto di stabilire chi è o chi non è anarchico. Anarchico è chiunque si ponga contro lo stato in quanto tale e si batta per la sua abolizione. Questa è l’unica demarcazione possibile ed è al tempo stesso il denominatore comune che unisce tutti gli anarchici al di là delle differenze. Quindi, proprio perché ognuno di noi è parte di un tutto che si muove nella stessa direzione, la diversità di pratiche e di percorsi che ci separa nella quotidianità non deve (o almeno non dovrebbe) impedirci di muoverci insieme contro gli attacchi della repressione statale.
Quando in quella tragica mattina del 28 marzo scorso è circolata per il Balôn la notizia che Baleno era stato trovato impiccato al letto della sua cella, per quel che mi riguarda, non mi sono chiesto quali erano le differenze che potevano esserci tra me e gli squatter. Bisognava immediatamente muoversi, mobilitarsi tutti insieme per sventare le manovre e le montature repressive di cui ancora una volta gli anarchici erano oggetto. Al di sopra della possibile diversità di concezioni e percorsi, Edoardo era parte di me, era un anarchico, era un mio compagno. Ho partecipato attivamente alle iniziative portate avanti in questi giorni per esprimere la nostra rabbia collettiva di fronte ad un omicidio di stato e per esigere la liberazione di tutti gli arrestati. Mi sono unito agli amici di Baleno, agli squatter, senza preclusioni, non per cavalcare la tigre, non per far prevalere una linea, ma, semplicemente, come compagno tra i compagni, per rispondere a viso aperto agli attacchi repressivi.
L’anarchismo, a dispetto di tutti i necrofori del potere, che vorrebbero darlo definitivamente per morto, in questo momento sta attraversando una fase favorevole. Il brulicare di neri vessilli che si è visto nel corso della manifestazione del 4 aprile è la dimostrazione lampante del fatto che molti giovani sono attratti dalle idee e dalle pratiche degli anarchici. Non bisogna rilassarsi, è il momento di agire. Ognuno deve fare il possibile, secondo la propria sensibilità e le proprie differenze, nei luoghi e negli spazi che gli sono consoni, per allargare al massimo la sfera di influenza delle idee libertarie. Non bruciamoci questa occasione in sterili polemiche volte a stabilire chi è più anarchico o chi è più rivoluzionario, nel tentativo di far prevalere una linea politica sulle altre.
Solo una risposta chiare ed efficace, unita se non unitaria, di tutti gli anarchici li potranno contrastare.
Lunga vita agli squatter. Lunga vita a tutti gli anarchici.
Tobia
22 – Lettera aperta ai centri sociali su Torino e dintorni, per l’apertura di una vertenza politica sui temi della Giustizia
Apriamo un confronto.
Conflitti che producono banditi..
[…] Un nemico ogni volta diverso ma profondamente uguale nella sua non-esistenza, uomini invisibili di cui sono piene le metropoli della settima potenza mondiale. Donne e uomini a mezz’aria, vite sospese tra il sogno di un’esistenza migliore e la condanna all’esclusione a vita, alle prese con una realtà che non li prevede se non per mostrificarli come novelli untori, buoni solo per l’inquisizione.
Donne e uomini come Baleno, che sapeva tutto ciò, ma che non gli ha impedito di restarne vittima.
Abbiamo imparato a nostre spese che voler cambiare il mondo è costoso. Non è solo scomodo e spesso spiacevole, non è solo difficile e complesso.
Piegare il corso delle cose costa! l’arroganza e il privilegio governano il mondo anche in virtù di un sistema di leggi che detta le sue regole del gioco. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori.
La storia dei centri sociali, la nostra storia, come quella dei tanti costretti ad affermare con la lotta il diritto all’esistenza, ci racconta questa semplice verità attraverso le migliaia di denunce, perquisizioni e processi che siamo obbligati a rincorrere. È la nostra presenza, ciò che diciamo e rivendichiamo ad essere concepito come un unico grande “reato” da perseguire e reprimere. Si combattono gli effetti affinché le cause rimangano nascoste.
Quello di cui in realtà ci si accusa è di volere un mondo dove le parole dignità, giustizia e libertà abbiano la cittadinanza che oggi non gli è dovuta. Ma nel mercato globale l’utopia non vale le lettere di cui è composta, non rientra nei valori di una società che non sa più sognare.
[…]Questa situazione ha raggiunto ormai il limite di guardia. Sgombrati, caricati, inquisiti, incarcerati e ora anche “suicidati”. L’uccisione di Edo, di un nostro fratello, è il risultato della criminale ostinazione a voler leggere il conflitto sociale attraverso gli articoli del Codice Penale.
Oggi come ieri la cultura emergenziale uccide!
[…]Dobbiamo affrontare questa realtà compagni. O riusciamo ad invertire questa tendenza alla criminalizzazione delle istanze sociali, oppure rassegniamoci a veder sfumare la possibilità di un Europa sociale, dei diritti, della solidarietà, degli uomini. O riusciamo a recuperare il senso politico profondo della nostra esistenza sottraendola alle analisi sociologiche, oppure cominciamo ad abbandonare ogni velleità di trasformazione sociale.
Senza volerlo siamo arrivati sulla linea di confine oltre la quale si aprono orizzonti diversi per significato ed importanza. Non lo abbiamo voluto noi, ma non possiamo far finta di niente.
[…]Nessuno ci restituirà mai Edo, ma l’idea che anche questa eventualità è entrata a far parte della nostra quotidianità è un pensiero che non ci da pace. Per impedire che ciò possa di nuovo accadere dobbiamo disarmare chi ci tiene sotto il tiro dei suoi innumerevoli interessi e privilegi.
Ad esempio aprendo una vertenza politica collettiva con il Governo di questo paese per ottenere che vengano amnistiati e depenalizzati totalmente tutti quei reati in qualche modo legati alle lotte sociali. Pensiamo che riuscire a limitare la capacità d’aggressione esercitata nei confronti delle istanze sociali possa avere l’effetto di depotenziare la legislazione emergenziale oltre i limiti ragionevolmente permessi dagli attuali rapporti di forza.
Crediamo anche che questo possa essere il modo per iniziare un più concreto confronto tra di noi e con altri soggetti intorno ad una nuova concezione della giustizia, in sintonia con l’idea di civiltà espressa dal protagonismo sociale dei senza diritti. Siamo in molti, ma abbiamo bisogno di compagni di viaggio insieme ai quali poter porre le premesse per l’apertura di più ampi spazi di libertà, di azione e di vita.
Ci piace pensare che ciò contribuisca alla definizione dei contorni di una nuova forma di democrazia basata sui diritti di tutti. Ma soprattutto vogliamo essere dei soggetti consapevoli, con la maturità adeguata ad affrontare un tempo maledetto e stupido.
Con amore
Centro Sociale Corto Circuito
Roma – Aprile ‘98
23
Abbiamo deciso di fare un’assemblea aperta perchè vogliamo che a Torino si formi un momento di dibattito e di chiarezza su cosa sta avvenendo e su cosa è avvenuto.
Questo deve essere un processo collettivo che coinvolge non solo chi ha partecipato alle mobilitazioni passate come al corteo di sabato 4 aprile, ma a una dimensione ben più vasta di persone che vogliono capire cosa sta succedendo o che possono dare il loro contributo critico sia al dibattito di movimento, ma anche e soprattutto, a cosa sta trasformandosi la nostra società, i suoi luoghi di lavoro, di socializzazione di vita, a come si muovono le istituzioni, i mass media, gli organi e le persone che occupano posti importanti e di potere, i politici dei partiti ecc…
A noi interessa avviare questo confronto con la gente che non può contare, con chi subisce le istituzioni o con chi è critico verso di esse.
Non ci interessa dialogare con i politici o i sindacalisti di professione, con le autorità costituite, perché di fronte a politici come Veltroni , Cavaliere, Turco, Castellani, Revelli e Don Ciotti noi ci domandiamo e chiediamo a tutti:” questi signori cosa propongono: parole o fatti”.
Perché non siamo nati ieri, sappiamo che siete bravi a ciurlare nel manico, siete esperti a integrare e a svuotare i movimenti e le istanze dell’antagonismo.
Noi non baratteremo il nostro dissenso per qualche posto in consiglio comunale o come esperti in qualche ministero degli affari sociali come in questi anni hanno fatto molti compagni di ieri. Per noi Cossutta può dormire sonni tranquilli, sulla sua meritata poltrona, a Torino non permetteremo che passi la linea Caccia-Casarini.
Politici volete il confronto! Bene noi siamo anche disposti ad accettarlo, prima però date dei segnali concreti di ravvedimento, prima fate dei fatti concreti e smettetela di regalarci solo parole e repressione.
PER NOI PREGIUDIZIALI AL CONFRONTO SONO:
la liberazione di Soledad e Silvano (da 18 gg. in sciopero della fame), la liberazione di tutti i compagni incarcerati o latitanti dagli anni 70′, un consistente provvedimento di amnistia per i detenuti che affollano le carceri italiane, l’annullamento di tutte le denunce, di tutte le condanne che colpiscono migliaia di compagni del movimento antagonista di questi anni, la fine delle retate e le deportazioni degli immigrati.
I centri delle città trasformati in vetrine, mentre le periferie sono abbandonate al degrado.
Una scuola e una università che non diventino sempre più luoghi di èlite dove hanno diritto di studiare e di costruirsi un futuro solo i figli dei ricchi.
Perché signori cosa dobbiamo discutere con uno come Tranfaglia quando nei fatti in questi anni è stato uno dei maggiori promotori della riforma Berlinguer che ha imposto l’espulsione di massa dalla scuola degli studenti proletari e lavoratori.
Vi lamentate che masse di giovani non hanno cultura non hanno formazione, non adottano i metodi democratici, che hanno comportamenti incomprensibili, ma vi scordate che siete proprio voi ad averli privati di ogni prospettiva di futuro.
I soldi che prima spendevate per l’assistenza, per i servizi sociali, per l’istruzione ora li regalate alla promozione dei comitati olimpici, alle ostensioni della sindone, alla rottamazione, alle ristrutturazioni immobiliari. Voi della sinistra al governo togliete ai poveri per dare ai ricchi, ai benestanti, ai politicanti intrallazzati.
Bene incominciate a cambiare voi, poi se ne potrà anche discutere.
CSOA ASKATASUNA
CSA MURAZZI
CS ONDA OCCUPATA
Centro Doc. Senza Pazienza
PER CAPIRE COSA STA SUCCEDENDO A TORINO!
ASSEMBLEA PUBBLICA, ORE 14.30
ORDINE DEL GIORNO:
REPRESSIONE: IRRUZIONE NEI POSTI OCCUPATI,ARRESTI, CARICHE, PESTAGGI, EDO MUORE IN CARCERE,.MASS MEDIA: CRIMINALIZZAZIONE E ATTACCO AL MOVIMENTO ANTAGONISTA E ALLE SUE FORME DI REPRESSIONE., ISTITUZIONI: EMARGINAZIONE DI OGNI ISTITUZIONE DI OGNI ISTANZA SOCIALE E POLITICA CHE NON SI NORMALIZZA.
Al CENTRO SOCIALE ASKATASUNA CORSO REGINA MARGHERITA 47 TO
24 – INSIEME CONTRO L’ESCLUSIONE
Assemblea pubblica
Giovedì 28 maggio 1998 ore 21.00
c/o Salone Camera del Lavoro –
via Pedrotti 5 – Torino
Abbiamo invitato a partecipare al corteo del 4 aprile con l’intenzione di impedire che la separatezza tra i giovani che manifestavano il cordoglio e la rabbia per la morte di Edoardo Massari ed il resto della popolazione assumesse le caratteristiche di scontro violento e irreversibile.
Abbiamo partecipato alla manifestazione volendo, con la nostra presenza, contrastare l’opera di demonizzazione contro quella parte di società che frequenta i centri sociali e che quel pomeriggio esprimeva, in modo esasperato e drammatico, il proprio antagonismo alle logiche violente del mercato ed il rifiuto della riduzione a merce della vita umana.
Abbiamo sostenuto il reintegro di Stefano Alberione all’incarico di assessore ritenendo che la sua presenza alla manifestazione rappresentasse un segnale concreto di dialogo e capacità di ascolto, senza che questo significasse una condivisione per l’estetica dello scontro espressa da alcune componenti del corteo.
Ci siamo battuti contro la decisione del sindaco Castellani ritenendola una supina risposta ad una richiesta dei “poteri forti” della città e rispondente ad esigenze interne di una maggioranza troppo attenta alle richieste dei ceti moderati.
Sentiamo l’esigenza di iniziare una riflessione per comprendere su quali basi potrà riprendere, a partire dai fatti avvenuti, il dialogo ed il confronto con quella parte di società che ha opposto alla crisi di rappresentanza della politica di partito nuove modalità di aggregazione ed intervento.
A distanza di più di un mese dai fatti e quindi liberi di approfondire le tematiche oltre il contingente, proponiamo un dibattito per analizzare come, nel corso degli avvenimenti di aprile, l’emergere di due città abbia mutato il quadro politico torinese.
Daniela ALFONZI, Ennio AVANZI, Mario CONTU, Rocco PAPANDREA, Fulvio PERINI, Maurizio POLETTO, Raffaello RENZACCI, Marco REVELLI
25 – Insieme a chi? Esclusi da cosa?
Signori e signore oggi qui convenuti,
dall’appello che indice questa assemblea ci sembra di capire che oggetto di discussione stasera sono le “logiche violente del mercato” con le loro conseguenze e, soprattutto, “il rifiuto della riduzione a merce della vita umana”. Bene. Ma non è lo stesso sistema in cui viviamo, fondato sul dominio del denaro, a generare esclusione? Una esclusione che genera invidia, disperazione e rabbia.
Come risolvere dunque il problema? Gli organizzatori di questo dibattito hanno al riguardo le idee chiare: alleviare le sofferenze provocate dal capitale, cercando di far partecipare quanti più esclusi è possibile al banchetto mercantile. Vogliono insomma aprire un dialogo, mettere d’accordo inclusi ed esclusi, sfruttatori e sfruttati.
Ciò che queste canaglie non riescono a concepire, convinte come sono dell’ineluttabilità del dominio, è che da questa vita si possa desiderare davvero altro. Per quel che ci riguarda, la partecipazione al banchetto offerto da questo mondo è fuori discussione: si tratta di una ipotesi che non prendiamo nemmeno in considerazione. E non perché ci spetterebbe al massimo qualche briciola, ma perché le pietanze servite non sono di nostro gusto e i commensali presenti ci danno il voltastomaco.
E poiché pensiamo che un confronto che sia tale possa avvenire soltanto in una situazione di reciprocità, noi qui non abbiamo nulla da dire. Intendiamo dialogare solo con altri esclusi come noi. E l’oggetto di discussione non potrà mai essere il modo per rendere meno intollerabile l’esclusione, ma la distruzione dello Stato, lo scioglimento delle forze dell’ordine, dell’esercito e della magistratura, il dissolvimento di ogni racket politico, la scomparsa delle frontiere, l’abbattimento di chiese e prigioni, la liquidazione dell’economia, la soppressione di tutta la classe dirigente (dall’estrema destra all’estrema sinistra). E saremmo solo all’inizio della soddisfazione dei nostri desideri.
Come e perché discutere della distruzione del capitalismo con un sindacalista che per mestiere contratta con i padroni, o dell’eliminazione dello Stato con un consigliere comunale che lo rappresenta?
Sindacalisti, politici, intellettuali che avete indetto questa assemblea, crocerossine del capitalismo, carogne recuperatrici, sappiate che vi consideriamo nostri nemici e come tali vi tratteremo. E vi diamo la nostra parola che alla “estetica dello scontro” preferiamo indiscutibilmente lo scontro reale.
Firmato: Squatter sarà quella zoccola di tua sorella