Spazio 1999

La riproduzione mistica dell’umano

Libere considerazioni a partire dal libro “La riproduzione artificiale dell’umano”

Gennaio 2017

In un testo riguardante la riproduzione artificiale dell’umano, scritto nel 2017, ci saremmo aspettati di trovare riflessioni in una forma espositiva che non proponesse, in un tripudio di noia, il copia-incolla oggi così à la page di citazioni ad effetto-emotivo, buone solo per focolarini e perbenisti di settant’anni fa; piste inedite su una nuova messa a tema di concetti quali naturale, artificiale, umano che non fosse metafisica a buon mercato (come quella del socialdemocratico Habermas, tanto per fare un esempio); considerazioni sul rovesciamento dell’utopia rivoluzionaria dell’umanità nuova nelle modificazioni genetico-industriali dei corpi, oggi incarnate nella distopia del transumanesimo; ci aspettavamo una rigorosità tra vissuto, poetico e proposto, e invece ci è toccato anche leggere un’Illuminazione di Rimbaud in un testo che impone, prescrive, delimita le libertà individuali (i diritti civili di cui parla l’autore li lasciamo a chi ha fede nello stato) contrapponendole alla lotta di classe, separando, come ogni teologia che si rispetti, due modi diversi per intendere lo stesso corpo, ma con l’opaca finalità di poter meglio governare la folla liquidando l’individuo.

Dove sta, ci chiediamo appunto, l’individuo rivoluzionario e la rottura con l’esistente, in questo libro che ambiziosamente si propone di riflettere sulla riproduzione artificiale dell’umano?

Noi siamo soliti prendere sul serio le parole, come proclama l’autore, sedicente “non estremista, ma radicale”.

Le auto-definzioni vanno meritate.

Per noi riproduzione artificiale dell’umano non è mero sinonimo di procreazione medicalmente assistita (PMA). Per noi termini quali umano, artificiale, naturale non hanno alcun sostrato metafisico, per noi riflettere contro il capitalismo odierno, in corsa accelerata verso una sintesi catastrofica, impone ad ogni rivoltoso una profonda riflessione non solo e non tanto sull’indispensabilità della lotta alle tecno-scienze, quanto anche su come ripensare un orizzonte rivoluzionario che faccia a meno della messa in comune dei mezzi di produzione ormai inservibili (e di questo, come se non avesse niente a che fare con il tema della ri-produzione dell’umano, non abbiamo letto niente nel testo). Giusto per chiarire uno dei tanti motivi per i quali, per noi, non ha alcun senso, né storico, né umano, né politico separare corpi, sessualità, produzione e riproduzione. E quando diciamo che riproduzione artificiale dell’umano non è sinonimo di procreazione medicalmente assistita, intendiamo che esistono metodi “artificiali” per procreare in caso di sterilità, attuati, sperimentati, praticati, in comunità che non conoscono (per adesso) né il capitalismo né le tecnologie. Qualche esempio?

Si possono, ad esempio, prendere in considerazione le esperienze dei Samo, presso i quali esiste una consuetudine per camuffare la sterilità maschile: la donna finge di lasciare l’uomo affetto da sterilità, salvo tornare da lui incinta (una sorta di inseminazione eterologa senza mediazione dello stato e del medico). Tra gli Haya, popolazione bantu dei regni interlacustri (Africa dell’Est) Audrey Richards descrive una situazione che produce gli stessi effetti.

Presso i Nuer la donna sterile accede allo status maschile: raro esempio in cui una donna sterile, invece di essere screditata per non aver compiuto il suo destino femminile, è equiparata al ruolo di genere maschile. In questo caso ella diviene uomo, e prenderà una sposa di cui sarà marito, la riproduzione sarà assicurata da un secondo uomo mentre i figli saranno suoi: essi non riconosceranno alcun legame particolare col genitore.

È altrettanto normale, in particolare presso alcune società africane (Gonja, Kotokoli, Samo e varie altre), scambiarsi figli tra consanguinei, alleati, amici o vicini, offrirli ad un parente di cui si ha stima, darne a quelli che non ne hanno, o affidare una bambina a una donna che ha soltanto figli maschi e viceversa un maschio ad un uomo che ha soltanto figlie femmine: la funzione educativa e l’attaccamento affettivo non sono necessariamente associati alla funzione riproduttiva. Infine, se consideriamo l’inseminazione post mortem, troviamo pratiche aventi lo stesso effetto: ad esempio l’istituzione del matrimonio-fantasma tra i Nuer.

Ci rendiamo conto che tutto questo potrebbe minare “le tradizionali solidarietà tra generazioni” di cui tanto si preoccupa l’autore. Ci permettiamo di sottolineare che naturale non fa rima con tradizionale, e che artificio non fa rima con tecnologia. E ci permettiamo anche di sottolineare, qui con più vigore, che tradizione è un termine reazionario, e che accostato a naturale è esattamente un concetto fascista.

Siamo o non siamo animali, che ogni tanto pensano, e che sono abilissimi costruttori di sistemi simbolici, psichici, di manufatti, di artifici di ogni sorta?

Molti anni fa, un rivoluzionario chiamato Giorgio Cesarano ha scritto un libro assieme a Gianni Collu, nel quale – tra le molteplici proposte e via di fuga al capitalismo e al suo dominio reale – l’immaginario simbolico, e il linguaggio in particolare, venivano considerati strumenti di cattura da parte del capitale, di sottrazione e annientamento della nostra naturalità di specie. Probabilmente il tratto meno memorabile della riflessione rilevantissima di Cesarano, ma utile (per noi) a spiegare che quando si vuole ragionare su temi simili, lo spessore, la chiarezza degli obiettivi, la delimitazione di termini, temi e contenuti, è indispensabile per creare anche lettrici e lettori critici radicali, non per sedurre, impaurire, indirizzare folle, masse o lettori ignari.

Siamo soliti diffidare profondamente da chi ama mettere il naso e gli occhi negli organi sessuali e tra le coperte degli altri, e soprattutto da chi fa obiezione a qualcosa di cui non conosce né le premesse filosofiche né giuridiche.

L’autore propone la de-regolamentazione dell’adozione per tutti e tutte? A parte che nel mondo del capitale, oggi adottare significa comprare un bambino o una bambina, e non si indignino le anime belle perché sfidiamo chiunque a dimostrarci che non è così. Quindi se il problema è la compra-vendita di bambini, l’adozione non è certo l’eccezione che conferma la regola, ma regola stessa. Ma anche sorvolando su questo, l’autore per l’ennesima volta dà per scontato, o si dimentica di chiarire (a se stesso?) che esiste in ogni società – anche non capitalistica – la distinzione tra ruoli sociali (la filiazione di Pater e di Mater) e le funzioni fisiologiche di genitor/genitrix – ovvero la distinzione tra filiazione e generazione. Peccato che questa distinzione, oltre a dare fondamento giuridico all’adozione, offre lo stesso fondamento giurdico anche alla PMA. E non stiamo sostenendo la giustezza o meno di quest’ultima, semplicemente ci interessa spiegare che le questioni, purtroppo, richiedono maggiore serietà di quella (in)esistente nel libro.

Per essere definitivamente chiari, non possiamo che rifiutare una qualsiasi analisi che non chiarisca senza appello che la premessa per riflettere su temi come questi è sgombrare il campo dal dominio del capitale, dello stato e dei vari moralismi (che si distingono dalla morale che è presente solo in presenza di un individuo che conosca i propri gusti, estetici ed etici, e che non è auto-imposta da pregiudizi o leggi imposte da altri, da religioni o teologie).

Un’ultima considerazione – non meno importante per noi e connessa a quanto appena scritto – riguarda la frequentazione da parte di Escudero di letture e personaggi che amiamo chiamare con il loro nome: reazionari.

Jean Claude Michéa, per restare al più citato nel libro, è un ex-stalinista di epoca sessantottina, che ancora oggi racconta con le parole dell’allora Pcf cosa è stato il Maggio francese, che oggi scopre il situazionismo ma ritiene che la gioventù rivoluzionaria dell’epoca abbia eletto De Sade come mentore per distruggere la famiglia (qualcuno gli spieghi come si chiamava la prima opera da regista di Guy Debord).

Il Michéa di oggi è vicino alla Nouvelle Droite di De Benoist, e scrive roba del tipo: “Il popolo non si riconosce più in una sinistra che ha sostituito l’anticapitalismo con un simulacro di antifascismo, il socialismo con l’individualismo radical chic e l’internazionalismo con il cosmopolitismo o l’immigrazionismo, prova solo disprezzo per i valori autenticamente popolari, cade nel ridicolo celebrando al contempo il meticciato e la diversità, si sfinisce in pratiche civiche e in lotte ‘contro tutte le discriminazioni’ (con la notevole eccezione, beninteso, delle discriminazioni di classe) a solo vantaggio delle banche, del Lumpenproletariat e di tutta una serie di marginali. Non è sorprendente nemmeno che il popolo, così deluso, si volga frequentemente verso movimenti descritti con disprezzo come populisti (uso peggiorativo che manifesta un evidente odio di classe)”.

A noi tutta la serie di marginali, il Lumpenproletariat (tanto disprezzato da Marx, ma non da Bakunin), i migranti piacciono, e ci piacerebbe che insorgessero contro la reazione impaurita dell’ex-stalinista Michéa, ora tendente al rosso-bruno.

Escudero si crede molto furbo, come Michéa che ha copiato in più passi del libro, quando crede di convincerci che tutta la sinistra è liberale, tutta la destra è liberale, quindi il superamento destra-sinistra è necessario. Poi aggiunge che la sinistra è cosmopolita, che è a favore dei migranti ma non dei nativi, che è a favore dei “diritti civili” (ah, lo stato…mon amour) ma non per la lotta di classe e via separando, da bravo prete moralista. Chissà quali valori, Escudero, dovremo portare in sintesi del superamento destra-sinistra…

In via di provvisoria conclusione, ci permettiamo anche un altro pensiero, riguardante la contrapposizione proposta nel testo tra i “belati egualitari” (sic!) e la differenza biologica.

Anche qui, l’autore crede di essere molto furbo.

Questo è il suo capzioso passaggio logico: i transumanisti capitalisti hanno rinnegato la vera eguaglianza, imponendo che tutti siano uguali ad un identico, e cancellando le differenze biologiche per un identico biologico indifferenziato. Per questo l’unico modo per contrastare l’assalto conformista è ribadire l’unica differenza, quella biologica tra i sessi.

A Escudero piace vincere facile, ma noi non siamo gli sciocchi lettori che evidentemente vuole meritare.

In primo luogo, non solo non tutti i capitalisti sono transumanisti, ma non tutti i conformismi partono dalla soppressione della differenza biologica. Potremmo fare molti esempi, per restare al femminismo si può citare il mainstream Pensiero della Differenza, le cui vestali italiani e francesi hanno costruito conformismi a palate sui corpi delle donne a partire dall’idea unica di Donna fondata sulla differenza biologica. Ma di questo Escudero non dice, non sa, preferisce semplificarsi la vita.

Un altro problema è che al capitalismo è indifferente l’appartenenza biologica del consumatore/proprietario/lavoratore, l’importante è che ogni sua “soggettivazione” abbia un posticino di mercato. Più conformismi differenziati, o anche più differenze conformiste. Biologiche, non biologiche, non ha importanza: anche il Queer è un fiorente ambito di mercato oggi, con buona pace di chi non vuol farci i conti.

Forse riflettere sulla capacità del potere di recuperare le differenze, invece di affidarsi a Madre Ontologia Differenza Biologica, sarebbe stato utile a un pensiero autenticamente radicale.

Ma in ogni caso, e concludiamo su questo, noi abbiamo l’ambizione di voler un mondo meno angusto di quello delimitato e recintato da ontologie e metafisiche reazionarie, che a parole dicono di voler lottare contro un dover essere imponendone un altro con relativo catechismo annesso, che dicono di voler lottare contro la transumanizzazione girando la testa all’indietro – come ogni pensiero reazionario – assumendo la parte dei corpi senza testa nella guerra alle teste senza corpo.

Noi non abbiamo mai pensato di poter sognare senza un corpo, perché è da questo che vogliamo partire, per non dover tornare mai più su questo schifo di mondo.

La rivoluzione parte dal corpo, ma che questo non diventi il suo cappio, transumano o umano che sia.


Consultato il 21/11/2021 su informa-azione.info
Scritto in risposta a La riproduzione artificiale dell’umano di Alexis Escudero, a cura del collettivo Resistenze al Nanomondo, Ortica Editrice, 2016.