Sous la plage les pavés

A proposito della Catalogna

10.15.2017

      Una storia specifica catalana?

      Nazionalismo catalano

      Autonomia” e “indipendenza

      Gli avvenimenti recenti

Abbiamo notato da molti anni che, dalle basi storiche della critica rivoluzionaria, non si impara molto. Comunque, nel 2017, discutere sulla legittimità dell’indipendenza della Catalogna, la regione più ricca della Spagna, o l’autodeterminazione del popolo catalano, è assai inquietante.

Molti di noi sono ancora tentati di credere che i nazionalismi, dopo i pochi danni causati nel ventesimo secolo, siano ormai lontani dai noi. Ma troppo spesso è la realtà a ricordarci che non è così, e che, nelle sue varianti di sinistra o progressive la peste nazionalista ha ancora un brillante futuro davanti. Non ha mai smesso di essere una forza attiva di prim’ordine e di appellarsi al popolo e a molti individui, inclusi quelli che desiderano vivere in modo diverso.

E così i “rivoluzionari” sostengono oggi la cosiddetta autodeterminazione del cosiddetto popolo catalano e invitano a unirsi al movimento catalano su basi autonome che in qualche modo non avrebbero seguito il gioco dei politici che lo dirigono. Come se una cosa del genere fosse possibile! Come se, unendosi alle folle mobilitate dietro patriottismo e sciovinismo, tutti ubriachi con il simbolismo delle bandiere, fosse possibile far sentire una voce minoritaria e discordante, portatrice dell’idea di farla finita con tutti gli stati. Come se tutto questo non fosse l’esatto contrario, una totale e definitiva opposizione all’idea di autonomia.

Non torneremo alla critica del concetto di nazione, che può essere solo un principio fondamentale della critica anti-autoritaria. È piuttosto sulla questione catalana che proponiamo qui alcuni argomenti, che ci sembrano utili per la situazione attuale.

Una storia specifica catalana?

Come ogni idea di una nazione, quella di una nazione catalana è sufficiente a farci alzare le sopraccigli circospetti.

Nell’Europa meridionale civilizzata e gerarchizzata da più di duemila anni, che ha visto la nota influenza dell’Impero Romano (si veda la “nostra” concezione del diritto, in Catalogna è uguale), poi della Chiesa cattolica o di diverse civiltà del Maghreb[1], la Catalogna è emersa come una grande potenza dal medioevo.

Il Primo Stato Catalano è nato nel 1162 con l’unificazione di diverse contee in precedenza sotto il controllo dei signori locali. La sua corte ha poi adottato il catalano come lingua ufficiale.

Più tardi, la regione sarà integrato nel Regno di Spagna, mantenendo certi privilegi istituzionali, i fueros, negoziati dalle sue élite per essi stessi, non per i begli occhi dei miserabili, del cui sfruttamento si sostenevano, non senza qualche lusso eccessivo dalle parti di Lérida, Girona, & c.

Questo è ciò che ci riferiamo quando parliamo di nazione catalana. È in questo mitico passato che i catalani di oggi traggono le loro origini.

Alcuni “libertari”, che fantasticano riguardo ad una vecchia autonomia, ovviamente non citano questi dettagli scabrosi. Infatti, nella storia della Catalogna, non mai esistita un’autonomia popolare, se guardiamo al risultato, le conquiste di un’opposizione alle elite, erano piuttosto alcune nelle vicine Provenza o Occitania[2] .

Ovunque le lotte storiche dei contadini o artigiani hanno dovuto affrontare varie fazioni di potere: quello della monarchia, la Chiesa o la nobiltà commerciale, che hanno continuato a rivendicare e negoziare privilegi locali contro il potere centrale, contro la fedeltà verso di questo.

Il superamento di queste relazioni gerarchiche, che erano le prime forme delle società dell’Europa meridionale, è stato il principale ostacolo incontrato dai movimenti insurrezionali del Medioevo e del Rinascimento, che avessero una forma religiosa oppure no.

La Catalogna non è sfuggita alla regola. Nel XV secolo, la rivolta dei contadini catalani contro il loro status di servi della gleba (la remença) , trovò l’appoggio del re Ferdinando II d’Aragona contro la nobiltà catalana!

Anche nei movimenti in cui l’antagonismo con i ricchi era più evidente, come quello dei contadini dal 1640[3], che ha trovato eco nelle città della Catalogna, hanno gridato durante le loro battaglie, “Viva il Re” o “Viva la Santa Madre Chiesa”.

Il linguaggio, come l’organizzazione sociale, è in gran parte il risultato delle relazioni gerarchiche delle società della “nostra” regione del mondo. Ci sono, naturalmente, peculiarità, pratiche sociali che possono opporsi a determinate forme di potere, o al potere stesso e che si forgiano soprattutto nelle lotte.

Ma questa Europa meridionale non è una regione di “popoli” che avrebbero conservato un modo di vita e di logiche “autonome” rispetto a un potere esterno, come potrebbe esistere in alcune parti del mondo dove vivevano popolazioni tribali che non avevano conosciuto la civilizzazione.

Si tratta di un territorio i cui confini si sono spostati , una regione di cattedrali e castelli, la terra delle Crociate contro i Catari e della Città dei Papi, dell’Inquisizione e del commercio, della colonizzazione.

Catalogna, nella sua storia, non ha nulla che la distingue nettamente dal resto della regione: ha conosciuto l’influenza delle stesse civiltà, quella della Chiesa cattolica, poi il feudalesimo, la cacciata dei mori e degli ebrei, la partecipazione alla Conquista delle Americhe e la graduale transizione al capitalismo moderno.

L’élite catalana, una volta integrata nel Regno di Aragona, ha partecipato in forze alla colonizzazione , contrariamente a quanto alcuni catalanofili vorrebbero far credere . Benché la regione era in declino economico in quel periodo, la marina catalana e preparò molte navi verso le Americhe. Cristoforo Colombo chiamò una delle isole delle Antille Montserrat, in omaggio alla Catalogna. Scelse come capo militare, per la sua seconda spedizione, il catalano Pedro de Margarit. Numerosi catalani hanno goduto della carica di “Viceré del Perù”, come Navarra y Rocafull o Manuel D’Amat i de Junyent. E se fra conquistadores di fama, certamente non si contano tanti catalani quanto baschi[4], la storia ricorda ancora personaggi affini come Joan Orpí i del Pou, ultimo conquistadores del Venezuela, Gaspar Portola in Messico ecc.

Nei secoli successivi, la Catalogna ha parteggiato con gli Asburgo contro i Borboni nella guerra di successione spagnola del 1719, che l’ha portata a perdere i suoi privilegi al trionfo di questi ultimi.

Nazionalismo catalano

Dal XIX secolo, quando la Spagna era una regione povera dell’Europa, devastata dalla avidità delle élite, che sovrasfruttavano da secoli i contadini, i borghesi catalani, a volte “educati” nelle colonie, si lanciarono per primi nello sviluppo industriale. La regione ha vissuto un vero e proprio boom economico, iniziato nell’industria tessile, grazie alla macchina a vapore e all’acqua, che scorre in abbondanza dalle sorgenti dei Pirenei.

Questo periodo è diventato il momento dello splendore degli industriali catalani, alcuni dei quali hanno costruito degli imperi. Si fa riferimento anche alla cultura che lo accompagna sotto il termine Renaixença (“Rinascimento”).

Questa borghesia aveva una logica paternalistica, il culto del Progresso, e dava la priorità sullo sviluppo culturale della sua regione. La Catalogna vide lo sviluppo di un modernismo in architettura, finanziato direttamente dalle donazioni dei ricchi catalani, di cui Gaudì è diventato il rappresentante più famoso.

Si sviluppò in parallelo e in opposizione, un movimento operaio militante, che ha largamente contribuito a porre le basi delle teorie collettiviste e comuniste-libertarie nell’ultimo quarto del XIX secolo. La classe operaia della Catalogna divenne rapidamente una grande forza rivoluzionaria e Barcellona fu, fin dalla fine dell’Ottocento, uno dei principali centri rivoluzionari d’Europa. Sarà chiamata la rosa de foc, la “rosa di fuoco”, tanto le rivolte erano frequenti.

Gli anarchici erano praticamente egemoni, e tutti i riferimenti del proletariato catalano sono legati a questa corrente, dai processi di Montjuic del 1896-1897 alla settimana di sangue del 1910, dalla rivolta del 1917 all’insurrezione del 1932 a Llobregat fino alla rivoluzione del 1936.

Sarebbe un errore semplificare la storia eccessivamente, evitando le sue ambiguità: nelle file della CNT catalana, che era diventata a partire dal 1920 la forza rivoluzionaria quasi egemonica, gli iscritti venivano accolti su una base di classe, alcuni avrebbero potuto aderire alle rivendicazioni autonome e addirittura aderire ai partiti catalanisti. Ma l’organizzazione non ha mai sostenuto l’indipendenza o l’autonomia della Catalogna, contrariamente a ciò che certi ideologhi con interessi propri sono capaci di scrivere dopo gli ultimi avvenimenti[5].

È vero che tra alcuni anarchici catalani, possa essere esistita l’idea che ciò che distingue i Catalani dal resto degli spagnoli è la loro cultura, la loro concezione progressiva della morale o delle relazioni sociali, la loro civiltà. Questa identificazione con i valori della borghesia è essenziale nel sentimento nazionalista e ampiamente diffusa in Catalogna.

Ci sono diverse testimonianze di questi pregiudizi. Essi stupirono, per esempio l’internazionalista Kaminski, che ha raccontato nel suo libro sulla rivoluzione spagnola Quelli di Barcellona (1937), lo sfogo altamente sciovinista e reazionaria della discutibile Federica Montseny, anarchica divenuta ministro, e che poi fu nominata 9 volte per cariche ufficiali:

“Qui non siamo in Andalusia […] In Catalogna, le donne sono sempre state il centro della famiglia. Non abbiamo mai sperimentato questo ordine feudale in cui la donna occupava l’ultimo gradino… ”

”Il significato della maternità è tra le donne catalane così forte che non rinunciano alla gioia di essere madri che in casi molto gravi.“[questo a riguardo dell’aborto, del quale le attribuita la legalizzazione durante il suo mandato negli uffici ministeriali!].

Anche gli anarchici Catalani che si oppongono a qualsiasi idea di indipendenza, come José Peirats (che sarà anche aspramente criticato nel 1977, durante la ricostruzione della CNT, perché apertamente opposto a ciò), hanno, a volte, fatto loro questo disprezzo per gli spagnoli arretrati. Così leggiamo nella Figuras del movimiento Obrero Espanol, una raccolta di ritratti di anarchici del suo tempo, che la CNT era riuscita a vincere “la battaglia di iscrivere nelle sue fila questo fiume di Andalusi e Murciani sottosviluppati[6]“.

Felipe Alaiz, penna di talento dell’anarchismo spagnolo, scriveva nella vecchio stile Hacia Una Federación de Autonomías Ibéricas nel 1945, alcuni passaggi ancora molto attuali sul tema del sentimento nazionalista catalano. Essi dimostrano che la questione non ha mai smesso di agitare le menti, nonostante la sua influenza molto più debole al momento.

“La Catalogna ha avuto uomini fermamente convinti che la sottomissione al tipico centralismo di Madrid sia una sottomissione degradante […] Ma ci sono stati, e molti, catalano o no, che trovano degradante la sottomissione del punto di vista individuale, e non specificamente catalano. Come possiamo credere che solo i catalani esprimono seri dissensi nei confronti del governo centrale? Ciò sarebbe approvare un esclusivismo.”

“Che cosa importa ai milioni di castigliani senza patria, a quelli che la patria fa male e fa sanguinare, che un catalano si lamenti amaramente che al Palazzo di giustizia, alla dogana o sui giornali del maledetto patriottismo spagnolo, viene negata la sua patria? ”

“Lo spagnolismo è una cosa così ottusa che non puoi combatterla con le lamentele. Quindi, liberiamoci tutti dalla nostra patria e passiamo ad altro! ”

“Siate separatisti dall’ingiustizia! Affermate il pieno diritto all’indiscutibile autonomia che inizia in voi stessi, non in un ufficio, o ai piedi della vergine di Núria.[7]

Esiste in Spagna un discorso abbastanza forte di rivendicazione delle cosiddette identità locali, e i nazionalismi si appoggiano a questi localismi o regionalismi. È in Catalogna e nei Paesi Baschi, le due regioni dal più forte sviluppo industriale storico, che queste rivendicazioni sono state in grado di svilupparsi e diventare veri nazionalismi.

Il Paese Basco ha sperimentato tutti gli episodi storici che abbiamo menzionato, ma diversamente dal catalano, la lingua basca è profondamente unica e le sue origini sono estranee alla penisola iberica.

In Catalogna, il sentimento e l’ideologia nazionalista catalana hanno questa specificità di richiamarsi ad un passato glorioso e moderno, in opposizione al sottosviluppo del resto del paese. La borghesia catalana assimilò rivoluzionari e immigrati provenienti da altre parti della Spagna, e usò il termine sprezzante di murciens per descriverli.

Fino agli inizi del XX secolo, questo sentimento era ancora nell’ordine dello sciovinismo regionale, che otteneva poche ricadute: il progetto rivoluzionario univa gran parte del proletariato spagnolo al di là delle identità; le migrazioni interne ai centri urbani, e a Barcellona in primis, ​​erano imponenti, e le esperienze di rivolta e d’insurrezioni culminarono nella rivoluzione del 1936.

In precedenza, alcuni avevano tentato delle convergenze con catalanisti, come il futuro ministro della CNT García Oliver con Francesc Macià, leader del Parti Estat Català[8]: lascio il Congresso di Marsiglia del 1926 di fronte a una disapprovazione della sua organizzazione.

La corrente politica catalanista ha conosciuto un certo sviluppo a partire dagli anni 20, e diverse formazioni politiche si formarono, evolvendo nel tempo. In principio c’era la Lega Regionalista, di destra e conservatrice, poi più tardi le organizzazioni di sinistra, democratiche, con la maggior parte di coloro che si richiamavano al marxismo in Spagna.

Tra queste ci fu soprattutto la sinistra repubblicana della Catalogna (ERC) che ebbe un importante successo negli anni Trenta. Durante la Seconda Repubblica, l’ERC e Estat Català sono stati integrati nel governo catalano. Gli escamots, gruppi paramilitari di Estat Català, furono usati per spezzare gli scioperi e per assassinare gli anarcosindacalisti. Il capo della polizia Miguel Badia, di Estat Català, diventò il nemico numero degli anarchici dei gruppi di azione, che finirono per ucciderlo nel 1936 con il fratello, un altro noto reazionario.

Estat Català e altri catalanisti di tutte le tendenze proclamarono la formazione di uno Stato Catalano durante la Repubblica spagnola nel 34. Il loro primo passo fu quello di attaccare gli uffici di Solidaridad Obrera. Il governo centrale spazzo via il movimento, i leader più attivi trovarono rifugio all’estero, per esempio nell’Italia fascista.

Tra questi, Josep Dencàs, che si definisce come “nazional-socialista ” o Daniel Cardona, leader si Nosaltres sols ( “Noi soli”), l’ala fascista del Estat Catalì, che non cessò mai di avere legami con l’Italia fascista.

Questi ideologi svilupparono un’ideologia razzista ispirata Gobineau e sostenevano la necessità della guerra delle razze in terra spagnola . Le loro teorie erano in continuità col razzismo scientifico, che si sviluppò molto presto in Catalogna. Enric Prat de la Riba pubblicò La questione catalana nel 1898, finanziato dal francese Jules Guerin della Lega Antisemita. In seguito ci furono un gran numero di opere che svilupparono il concetto di una razza catalana specifica dal punto di vista biologico, come quelle di Pompeu Gener (vicino lla rivista Joventut , portavoce di un movimento culturale influente – Gener frequento Picasso), e altri, che hanno avuto un’influenza non trascurabile sui leader politici catalanisti.

Nel luglio 1936, i catalanisti che non sostenvano Franco ( come la Lega Regionalista ) entrarono nel governo e gradualmente guadagnarono influenza avvicinandosi ai democratici o agli stalinisti. Essi si opponevano del tutto alla rivoluzione sociale in corso, sia che fossero l’ERC, i repubblicani di sinistra, le piccole formazioni politiche nelle campagne[9] o il PSUC, fermo sostenitore della borghesia catalana contro la collettivizzazione, e il cui nemico giurato era il POUM[10], marxista, che osava criticare l’URSS. Il PSUC accusò i suoi membri di essere agente di Franco e fecce di tutto per sbarazzarsene.

Infine, Estat Català, che aveva lasciato l’ERC prima di luglio, e il cui leader era sempre Dencàs, prese con sé diversi gruppi catalanisti, partecipò a tutte le trame contro il CNT e rivoluzionari, e si trovò nel barricate nel maggio 37 al fianco degli stalinisti. Alcuni dei suoi membri fomentarono un colpo di stato a proclamare l’indipendenza della Catalogna, che non ebbe successo. Più tardi, cercarono di negoziare la resa della regione con Mussolini, trattando per una protezione concessa da l’Internazionale Fascista, le cui truppe combattevano i rivoluzionari in Spagna[11]

Autonomia” e “indipendenza

È stato soprattutto dopo il regime di Franco, che vietò la lingua catalana, che il progetto di autonomia e l’indipendenza della Catalogna è riemerso, con più vigore di prima. Esso sarà utilizzato principalmente dall’elite locale per polarizzare le intense lotte di classe che allora avevano luogo dappertutto, specialmente nelle fabbriche, sul tema dell’identità, e negoziare con il governo centrale lo status di una specifica “autonomia” politica.

La Catalogna ha ottenuto il suo parlamento, i suoi ministri, il riconoscimento della lingua catalana come lingua ufficiale nel 1978 attraverso accordi firmati dopo il Patto Moncloa del 1977, che hanno santificato la “transizione democratica”. La maggior parte degli anarchici e dei ribelli erano logicamente opposti a questo accordo tra la borghesia e lo Stato, anche quelli in Catalogna. La CNT catalana organizzo una manifestazione in ottobre, con l’UGT e le Commissioni Operaie della regione, per opporsi; riunì 400.000 persone per le strade di Barcellona.

Non si può comprendere la recente esplosione dell’indipendentismo catalano senza considerare la pacificazione importante che ha seguito le rivolte degli anni ’60 e ’70, e inoltre la caduta di intensità generale della lotta di classe in Europa.

Ma sarebbe sbagliato limitarsi a questo, poiché delle lotte sporadiche hanno continuato ad agitare la Spagna, ed è solo di recente, che, favorito dalla crisi, il modello cittadinista spagnola ha trionfato.

Il movimento largamente riformista del 15-M del 2001 ha portato a un forte pratica assembleare nei quartieri di Barcellona, ​​la città ammiraglia del movimento squat (gli okupas). Sono queste dinamiche, che hanno lottato per trovare un contenuto radicale, che hanno portato ad ampio sostegno alle formazioni politiche cittadiniste, come Podemos o le coalizioni catalaniste.

Podemos, grazie alla sua politica di alleanze locali, ha beneficiato di questo sostegno e ha trionfato nelle elezioni regionali e generali del 2015 sulla promessa di una riforma generale del sistema politico spagnolo. Questo non era altro che un riformismo classico, che prosperò per la naïveté, la confusione e le aspirazioni dei giovani aspiranti classe media, in un’epoca che gli aveva privati di questa opportunità.

A Barcellona, ​​è Ada Colau, di sinistra, ex militante anti-globalizzazione, che ha partecipato ad alcuni squats alternativi a Barcellona, ​​contrari alla gentrificazione, che sarà eletta sindaco della città.

Carlos Puigdemont, attuale Presidente della Generalitat (governo catalano), che rappresenta la destra indipendentista catalana, che ha preso l’iniziativa di spingere la rivendicazione di indipendenza fino agli avvenimenti delle ultime settimane. I partiti della sinistra indipendentista si sono ovviamente uniti a questo progetto che sono i primi a difendere.

Al di là di ciò che appare differenziare tutte queste formazioni politiche, il fenomeno che si osserva è una forte polarizzazione attorno al cittadinismo e delle formazioni politiche, che nella palude politica non si escludono a vicenda, ma si fanno eco: la democrazia è la possibilità di passare da una all’altra come si cambiano i vestiti. Seguire il gioco delle alleanze, in particolare su questioni come la gestione delle acque, è particolarmente rilevante, in quanto queste vengono fatte e sciolte a seconda dei periodi!

Questa polarizzazione è confermata se osserviamo il notevole declino delle lotte nelle diverse regioni spagnole dal 2011, e ancor più dopo il trionfo di Podemos nel 2015.

Il contesto è anche quello di una Catalogna che non è emersa indebolita dalla recente “crisi”: la sua economia va piuttosto bene (nel 2016, il suo PIL supera quelli dei migliori anni prima della crisi), Barcellona attrae investimenti esteri, turisti e giovani manager dinamici da tutto il mondo, e anche il processo di gentrificazione ha recentemente raggiunto il suo picco[12].

Sappiamo che le “crisi” sono anche periodi di riaggiustamento del capitale, permettendogli di liquidare ciò che ostacola la sua crescita, mentre si assicura che chi paga sia protetto. Questo ha funzionato, in quanto è in gran parte il discorso politico sulla gestione della crisi che ha attirato molti catalani alle formazioni così popolari oggi e rafforzato il senso dell’identità allo stesso tempo.

Il discorso politico ha fortemente insistito sul fatto che il resto della Spagna era responsabile della “crisi”, che non ha impedito e gestito, e i Catalanisti spinsero l’argomento, costantemente martellato nei media, che la Catalogna paga troppe tasse per le altre regioni di Spagna.

Con il successo di questa propaganda populista che misura quanto il realismo economico faccia dei prodigi: fa dimenticare che siamo tutti e tutto sottomessi agli imperativi del capitalismo e del controllo statale, e credere che Catalogna e Spagna vivano in sfere economiche separate!

Un altro aspetto di questo populismo, il discorso vittimista degli indipendentisti catalani, che gioca sul registro emotivo dell’oppressione centralista, principalmente con il richiamo al divieto del catalano durante il franchismo, come una negazione della cultura catalana da parte dello Stato ” castigliano “.

Ma per coloro che vogliono rimanere seri, l’oppressione dei catalani da parte del governo spagnolo centrale è uno scherzo. Nel mondo industriale e nucleare di oggi, come possiamo credere per un momento che i meccanismi di sfruttamento, oppressione e controllo a cui sono sottomessi tutti gli abitanti della Spagna non siano sostanzialmente uguali?

Un po’ di più e metteremmo allo stesso livello la situazione dei Rohingyas della Birmania o degli Indiani del Brasile e quella dei “catalani”!

La realtà parla da sé: la Catalogna è la regione più ricca in Spagna ed rappresenta anche uno dei pesi massimi europei!

Inoltre, le regioni della Spagna centrale (in particolare Castiglia e Aragona) che i catalanisti criticano sia per la loro presunto sostegno al centralismo di Madrid, sono stati tra i più devastati dal esodo rurale degli anni 1950, che ha fatto della Spagna, in pochi anni, un paese diffusamente urbano.

Anche la questione della lingua catalana è un falso dibattito. Deve essere stato ancora peggio per i catalani vivere l’oppressione franchista senza la possibilità di parlare la lingua che usavano. Ma l’oppressione non si è mai limitata al semplice divieto di una lingua. E il problema è stato sistemato da lungo tempo dalla legge e dalle istituzioni.

Il catalano, come l’Occitano, ha subito il processo di omogeneizzazione necessaria per il consolidamento di qualsiasi progetto politico. Peirats, la cui madrelingua era catalana, lo aveva già riferito nel 1974, ben prima della firma del decreto più importante, quello del 1983.

“Filologi politici micro-nazionalisti sono stati costretti a imporre l’unità tramite decreto (in modo castigliano come la ripugnante accademia centralizzatrice), producendo, con il catalano moderno, una sorta di Esperanto che la gente non sa parlare e difficilmente capisce. »[13]

Nel frattempo, fortunatamente non parliamo solamente catalano in Catalogna. La regione è sempre stata una terra di immigrazione. Molti proletari catalani sono filippini, colombiani, ecuadoriani o marocchini che non si preoccupano molto se vengono mangiati in salsa catalana o salsa spagnola, a quella del centralismo nazionale o periferico, a quella dell’ideologia della Spagna unica ed indivisibile o a quella degli apostoli dell’autodeterminazione per loro stessi.


Gli avvenimenti recenti

I fatti di questi ultimi giorni hanno mostrato la capacità del potere catalano di mobilitare una gran parte dei settori attivi dei movimenti sociali dietro le sue iniziative, contro qualsiasi autonomia delle lotte.

Il codismo di ampi settori pretesi radicali ha raggiunto il suo picco nello sciopero generale del 3 ottobre, chiamato dalla CNT e dai piccoli sindacati per via di un opportunismo puro. Fingendo di agire autonomamente, sapevano che sarebbe un movimento direttamente promosso dal Potere politico e da alcuni padroni, su cui potevano capitalizzare.

Ed è proprio questo il movimento è stato: le società hanno chiuso a sostegno del progetto di referendum lanciato da Puigdemont minacciato dal governo spagnolo. Non c’è nulla da sorprendersi comunque: il CUP, il partito indipendentista della “sinistra radicale” ha ampiamente annunciato che lo sciopero in questione doveva essere usato per spingere l’Indipendenza e la destra non si è opposta.

Ci sono, comunque, abbastanza motivi per essere presi dall’orrore quando si legge la seguente citazione, tratta dalla chiamata allo sciopero generale per il 3 ottobre, a firma di vari gruppi e organizzazioni libertarie:

”ci sarà sempre difendere il diritto all’autodeterminazione dei popoli – a partire con la nostra[14]“.

Ci sono i vecchi cénétisti, che si staranno rivoltando nella tomba, davanti ad un opportunismo così evidente, e all’abbandono di tutti i principi più elementari di autonomia.

Nell’attuale situazione europea, dove le questioni d’identità sono al centro delle manovre politiche e quindi di un vero e proprio potere, il rischio è che questa dinamica si approfondirà e che verrà a minacciare sempre più la buona vecchia domanda sociale, già in disgrazia prima del controllo dello stato, dei suoi relais (come i sindacati) e dell’ideologia dominante.

È dunque di primaria importanza seguire quello che sta succedendo in Catalogna. Non necessariamente per catturare ogni dettaglio di questo politico e processo reazionario, ma perché il suo carattere nazionalista è fondamentale per comprendere le griglie di lettura attuali, e il ritorno dei nazionalismi pretesi più o meno “neutri”, di sinistra e “progressisti” nel discorso corrente.

Questo movimento segue anche una certa infatuazione per il movimento nazionalista curdo in Rojava siriano. Nonostante mostri tutti i sintomi evidenti di una lotta per il potere classico, facendo eco di decenni di processi simili, ha tuttavia migliorato in qualche modo l’immagine del nazionalismo di “sinistra”[15] a livello internazionale.

Qualunque cosa accada nel futuro in Catalogna, è ovvio che questo contribuirà a promuovere i disegni nazionalisti e identitari, a scapito della critica anti-autoritaria di tutte le forme di potere.

Gli eventi catalani hanno già portato a mobilitazioni ampio sostegno, in particolare nella vicina Comunità Valenciana, o provocato reazioni di masse di individui favorevoli all’unità spagnola, in grandi cortei, dove la bandiera spagnola sventola come non mai. E abbiamo visto anche riunioni di indecisi partigiani del dialogo tra tutte le parti, come se tale dialogo fosse stato rotto un giorno!

I piccoli arrangiamenti del Potere catalano nei giorni scorsi mostrano la propria esitazione nel suo “progetto” di Indipendenza e la sua disponibilità ad avviare negoziati con lo Stato centrale.

La Catalogna, che pretende di formare uno Stato, non ha ovviamente l’obiettivo di farlo senza legami, economici e politici, con ciò che aspira ad imitare, in piccolo.

Le domande sulla fattibilità economica di una Catalogna indipendente sono un’assurdità che legittima l’economia come disciplina specializzata.

Quello che sappiamo, noi che non siamo né economisti, né scienziati politici è che il funzionamento e il sistema attuale perfettamente valido dal punto di vista dell’economia, non lo sono minimamente per noi.

È ovvio che l’economia è perfettamente in grado di funzionare in Catalogna e che qualunque condizione avrà in futuro, lo sfruttamento continuerà ad essere quello che è oggi.

Il sisalvichipuò di certe imprese nel processo attuale, o la questione del debito, potrebbero “spaventare” alcuni rappresentanti della borghesia … ma possono servire soprattutto a smontare l’assurdità di un simile progetto. Per la borghesia, l’economia catalana attuale va bene, è fattibile.

L’indipendenza della Catalogna è una falsa domanda. Quello che i politici catalanisti perseguono è il rafforzamento della loro base, che può solo rendere più facile loro applicare misure in direzione di uno sfruttamento sempre migliorato e approfondito.

Naturalmente, la moderazione dimostrata attualmente da Puigdemont davanti al suo progetto indipendente (ratificato in parlamento, ma non applicato) può essere politicamente costoso, e, infine, rendere manifeste agli occhi di molte le sue contraddizioni.

Ma, dietro, un intero movimento politico di massa, legalista e cittadinista, è pronto a prenderne vantaggio, e potrà nuotare sull’onda identitaria e onda nazionalista (centrale o periferica) per orientare nella direzione che gli si addice.

Il progressivo abbandono di ciò che costituisce le basi di una critica rivoluzionaria del capitalismo e dello stato è ciò che porta i movimenti a trovarsi per opportunismo sul terreno dei politici riformisti e li conduce a lungo termine, in logiche da cui è sempre più difficile uscire.

I movimenti e gruppi rivoluzionari degli ultimi anni sono responsabili dei limiti che si sono posti, e dell’apertura dei loro discorsi alla difesa di concetti come ambigui come i popoli e le culture(questo termine dalle scienze sociali, ottimo strumento di marketing per la valorizzazione dei territori ) o delle comunità . È naturale che finiscano apertamente nel campo del nazionalismo e della borghesia, pur pretendendo di criticare quest’ultima.

Il nazionalismo e le identità ci disgustano: non c’è niente di peggio, di più meschino di questo attaccamento forzato a quello che si suppone appartenga a noi, di questa ingiunzione di sottomettersi all’esistente.

Perché a dirla tutta sono tutte le relazioni, la realtà sociale nella sua totalità che vogliamo trasformare.

Le identità, e gli altri limiti che mettiamo nei rapporti tra gli individui sono prigioni, catene, ostacoli alla costruzione di una vita completamente diversa che noi aspiriamo a vivere.

Non ci sarà una liberazione vis-à-vis da chi ci opprime, se non superiamo ora questa visione di interesse che ci lega mani e piedi ad una patria o a una nazione, che pretende assimilarci a quelli con i quali dovremmo condividere un’identità (con la quale pertanto dovremmo essere identici ).

È sulla base della unicità degli individui che vogliamo costruire i nostri rapporti sociali (che non comporta la separazione propria della concezione individualistica liberale), e non sull’identificazione con un luogo di nascita o i valori dell’entità che lo comprende.

Non ci sarà liberazione se non scegliamo di riconoscerci in quelli che si ribellano, che lottano in una ricerca della coerenza per esercitare il pieno controllo sulle loro vite. Questi sono quelli che condividono i nostri valori e parlano la nostra lingua.

Solidarietà con gli internazionalisti della Catalogna che nella tormenta presente fanno la scelta di resistere!

Sous la plage les pavés – souslaplagelespaves.noblogs.org

15 ottobre 2017

[1] Queste civilizzazioni Moresche o Quasi-moresche, a cui è attribuito lo sviluppo dell’agricoltura in Spagna (sempre questa visione del Progresso come il motore della storia), erano tuttavia gerarchiche, e la Spagna non divenne in pochi anni, come per miracolo, un paradiso sulla terra ebraica-arabo-spagnola. Questa favola, costantemente diffusa, ignora la realtà sociale del tempo, quella di una società di classe con conflitti, dove le rivalità tra “comunità” erano lontane dal non esistere.

[2] Contrariamente a ciò, cercano di farci credere ai seguaci di una lettura culturale della storia. Vedi opere come Histoire universelle de Marseille, dove tutto è sempre più bello a Marsiglia, anche nel mondo feudale e sotto il capitalismo.

[3] Antoni Simon Tarrés, Catalunya en el siglo XVII, il Revuelta campesina y popolare 1640 .

[4] Alcuni storici stimano che, in proporzione alla percentuale della popolazione spagnola di allora, è dal Paese Basco che la maggior parte dei conquistadores sottomettere vennero a sottomettere i selvaggi delle Americhe e saccheggiare le loro terre! Al di là di speculazioni sui numeri, si ricorda in particolare che lo sviluppo della classe mercantile basca è stato piuttosto rapido, e non era l’unica a trarre vantaggio dalle terra libera all’estero: avevano bisogno di molti uomini, e questo era per alcuni poveri un modo per accedere alla proprietà senza dover rubare ai nobili, piuttosto sanguinari, che regnava su Euskal Herria. Le case costruite dai nuovi ricchi nei villaggi del Paese Basco, anche nelle zone più remote, portano testimonianza di ciò come anche i nomi baschi che molte città e villaggi dell’America latina portano.

[5] La CNT non ha mai adottato risoluzioni del Congresso in questa direzione.

[6] Ediciones Picazo, pagina 90. Tradotto da Spagnolo dall’autore del testo.

[7] Ediciones di Fundación Anselmo Lorenzo. Tradotto da spagnolo dall’autore del testo. La vergine Núria è il santuario omonimo, dove il primo Statuto di autonomia della Catalogna è stato scritto nel 1931. È dal 1983 la patrona degli sciatori catalani!

[8] In esilio al momento, tentò di innescare un’insurrezione e ordì un piano per assassinare il re di Spagna.

[9] Articolo di Antonio Gascón e di Agustín Guillamón Antonio Martín, “Le Durruti de la Cerdagne” ritorna con chiarezza su questa situazione (nonostante i dogmi marxisti che Guillamón difende altrove).

[10] Gli ideologi del POUM non erano chiari sulla questione delle nazioni. I leader di questo partito, frutto dell’alleanza di diverse frazioni che erano tutti ambigui sulla questione del potere politico, provenivano per lo più dalle fila di formazioni catalaniste. Vennero a ritenere che l’indipendenza fosse insufficiente. Questo non impediva a Audreu Nin (che divenne ministro della giustizia di Catalogna per il POUM nel 1936) di riconoscere il diritto all’autodeterminazione delle Catalogna, in una logica politica di passi verso l’emancipazione, come ha scritto in Les mouvements d’indépendance nationale (1935).

[11] Anche l’Aeronautica Militare Italiana intervenne e bombardo la città di Alcaniz, Aragona, 3 marzo 1918, pochi mesi dopo Guernica.

[12] Rimuovere la teppa proletaria dai vecchi quartieri centrali come Raval e il Barrio Gótico , è stato al centro dei progetti borghesia catalana per più di cento anni.

[13] Nell’articolo n ° 40 del Frente Libertario intitolato Macro y micronacionalismos Macro, redato da parte del CEDALL, 2016. Tradotto dallo spagnolo da parte dell’autore del testo.

[14] Per la traduzione, grazie al coordinamento di gruppi anarchici (che fortunatamente coordinano solo loro stessi, il che è già molto).

[15] In testimonianza della popolarità di cui gode in quasi tutti i “movimenti sociali” e nei cosiddetti settori radicali.


tradotto da roundrobin.info