Paul Buckermann
Sulla cibernetica socialista
I sogni accelerazionisti, e gli incubi di Tiqqun
Nikita Krusciov era scettico sul fatto che i computer potessero contribuire a promuovere la storia in direzione del comunismo. Nondimeno, era disposto a fare un tentativo in proposito, ed aveva ordinato un super-computer che supportasse il socialismo sovietico. I migliori e più preparati ingegneri sovietici avevano installato il computer, e gli avevano chiesto di testare subito la macchina. Krusciov, che non era ancora convinto, aveva deciso di porgli una domanda incredibilmente difficile e complessa: «Quando si arriverà al comunismo?» La scatola cominciò a tremare e a fare degli scatti, finché con voce metallica disse: «Fra diciassette chilometri.» Krusciov scoppiò a ridere e ripeté di nuovo la sua domanda, pronunciandola in maniera ancora più chiara. Stavolta, la macchina rispose subito «Fra diciassette chilometri». A questo punto, il compagno cominciò ad arrabbiarsi e chiamò i suoi ingegneri per lamentarsi della stupidità del costoso macchinario. I tecnici si mostrarono sorpresi, dal momento che i test precedenti erano andati tutti sufficientemente bene; per cui chiesero gentilmente al computer di spiegare la sua risposta. La macchina, ferma sul tavolo, senza paura rispose: « Il risultato di diciassette chilometri si basa sui dati provenienti dall’ultimo discorso del compagno Krusciov, durante il quale ha detto che ad ogni piano quinquennale ci saremmo avvicinati di un passo al comunismo».
Questa vecchia barzelletta sovietica indica come ci sia un abisso fra il potenziale tecnologico ed il progresso emancipatorio. La storia ha almeno due diversi possibili finali: o l’immaginario computer viene distrutto in quanto dimostra chiaramente quella che è l’attuale insufficienza della politica sovietica, oppure la potenza del computer viene invece assunta come punto di partenza per calcolare e decidere che cosa fare, anziché dipendere dalle deboli macchine umane e dai loro milioni di pezzi di carta.
Nella speculativa traccia nascosta, si riflette ciò che Slava Gerovitch ha descritto come la differenza fra la «Cyber-crazia» e la «Cyber-burocrazia». In breve, cyber-crazia significa organizzare una società a partire da delle idee, dei metodi e delle tecnologie cibernetiche, mentre la cyber-burocrazia equivale alla tradizionale burocrazia non-cibernetica che però ora ha accesso a singole tecnologie cibernetiche, come i computer o come le reti di comunicazione. La prima costituirebbe una rottura radicale con la storia umana ed un possibile passo in avanti verso l’emancipazione, la seconda sarebbe invece piuttosto un adeguamento di quelle che sono delle tecniche tipicamente moderne volte a stabilizzare lo status quo.
Oggi, le più recenti politiche radicali e speculative cercano anche di affrontare quella che è la relazione fra il cambiamento emancipatorio, da una parte, e le attuali frontiere nell’automazione, nella robotica e nella tecnologia delle comunicazioni. Mentre i sindacati lottano contro la sostituzione robotica del lavoro umano, i cyber-comunisti sognano un lussuoso comunismo completamente automatizzato. I cyber-attivisti lottano contro la sorveglianza online per mezzo di sofisticati strumenti tecnologici; i transumanisti hackerizzano perfino il proprio corpo mentre allo stesso tempo ci mettono in guardia circa i miglioramenti tecnologici volta alla razionalizzazione economica; le femministe discutono l’ectogenesi come se fosse sia una visione liberatrice, sia un sogno maschile di sbarazzarsi finalmente delle donne. Simili discussioni a proposito del potenziale della tecnologia e delle sue minacce, ci fanno fare un passo indietro rispetto alla differenza fra cybercrazia e cyberburocrazia, e ci pongono domande circa in che modo alcune tecnologie possono essere applicate al processo di emancipazione. Una questione specifica di queste discussioni politiche riguarda se la tecnologia cibernetica e l’epistemologia potrebbero rendere possibile il comunismo, o se invece semplicemente aiuterebbero il capitalismo a diventare più forte.
Perciò, di cosa stiamo parlando esattamente? Il termine Cibernetica descrive un insieme influente di ipotesi e termini che sorgono dopo la seconda guerra mondiale. Gli interessi cibernetici di base si focalizzano sulla comunicazione, l’informazione e il controllo di organismi e macchine che si auto-regolano (come avviene nell’innovativo lavoro di gruppo di Norbert Wiener). Concetti e metodi cibernetici vengono applicati a varie discipline ed aree di ricerca, quali il linguaggio, i gruppi sociali, l’educazione, la funzione cognitiva, i regimi politici, l’ecologia, e i computer (per una breve panoramica si vedano le famose conferenze di Macy). Equipaggiata con i metodi cibernetici, un’intera economia potrebbe essere concepita come un sistema, costantemente in grado di adattarsi e di essere regolato per mezzo di flussi di informazione forniti attraverso cicli di feedback.
All’interno e nel quadro del discorso emancipatorio, c’è una questione piuttosto pragmatica: quali sono i limiti politici che devono essere considerati in modo che il progresso emancipatorio venga facilitato per mezzo della tecnologia informatica e della complessa modellizzazione del sistema? Ci sono due posizioni emancipatorie che aiutano a cogliere quella che è l’immensa gamma di politiche radicali contemporanee che si confrontano con la cibernetica e con le tecnologie più aggiornate: sono l’Accelerazionismo e l’Ipotesi Cibernetica di Tiqqun. A partire da due tentativi storici concreti, il Progetto Cybersyn cileno e la Cibernetica sovietica, si possono quindi dedurre i meccanismi problematici delle strutture politiche. Queste intuizioni possono aiutare ad identificare quali sono gli ostacoli fondamentali ad un’applicazione emancipatrice di complesse tecnologie epistemiche. Anche se questi casi richiedono investigazioni più profonde, suggerisco in maniera conclusiva alcune brevi domanda a proposito di un’ulteriore organizzazione politica dentro e al di là dell’attuale ordine tossico.
Il pensiero cibernetico può essere usato come sfondo esplicativo per organizzare fenomeni complessi, in generale, e l’intera società, in particolare. In casi simili, la cibernetica e le «macchine del comunismo» delle tecnologie informatiche, sono una potenziale strada verso un coordinamento emancipatorio capace di iper-complessità? Oppure sono solo le prossime tecniche di governo per potenziare lo sfruttamento capitalistico, la sorveglianza e l’oppressione? Il collettivo radicale francese Tiqqun analizza le strutture del potere contemporanee ponendo una forte enfasi sulla tecnologia e le sue logiche. Il potere di oggi – sostiene Tiqqun – è guidato da ipotesi cibernetiche, le quali assumono che i modelli biologici, fisici e sociali sono programmabili e programmati. I presupposti di base e l’etica politica dell’ipotesi cibernetica punta al controllo, alla previsione e alla sorveglianza basata su un’enorme raccolta di dati radicata in un’estesa infrastruttura di rete. Per Tiqqun, «la cibernetica è un’arte bellica» e Internet «è una macchina da guerra»: tutto ciò che viene prodotto, venduto o consumato, ogni cosa che viene detta e fatta può essere ridotta ad un’informazione binaria nel contesto di una fitta rete costituita da modelli di feedback che attivano protocolli di governo sparsi. Nel navigatore centrale, non c’è alcun vertice, non c’è nessuna testa o singola autorità assoluta. Le forme della politica, del discorso e dell’oppressione sono analoghe a quelle delle strutture della moderna rete informatica, conosciuta per esempio come «Internet», e il controllo si diffonde e si disperde dentro i grandi assembramenti tecno-umani. Tiqqun propone una strategia di resistenza e di lotta contro la politica dell’ipotesi cibernetica: «Il panico rende panici i cibernetici» – questo perché le situazioni caotiche fanno implodere gli equilibri e limitano il pensiero prognostico. Le macchine binarie di elaborazione delle informazioni dovrebbero essere eluse per mezzo della produzione di rumore (il vecchio acerrimo nemico della cibernetica e delle teoria informatica). La pratica di attaccare, sabotare o sovraccaricare le infrastrutture può essere vista come una forma di resistenza. Tiqqun predica una doppia strategia di sabotaggio e di lenta persistenza, che essi propagano distruggendo macchine ed evitando che vengano prodotte informazioni processabili. Entrambe le tattiche devono far parte della «politica del ritmo», il che significa accelerare quello che è lo standard tecnologico di rovesciare e rallentare ogni genere di movimento di informazioni, di persone e di merci. Ciò dovrebbe essere accompagnato dalla produzione di nebbia o di interferenza, dal momento che l’opacità delle azioni e delle motivazioni è essenziale ai fini di una rivolta contro un’ideologia di trasparenza. Tiqqun vuole costruire dei «black bloc all’interno della matrice cibernetica di potere» che vengono assemblati da dei piccoli gruppi che costituiscono una «nuvola di propagazione del panico». Per Tiqqun, la cibernetica costituisce una forma specifica di potere della conoscenza e di tecniche di governo. Essi identificano la cibernetica con un’ideologia di trasparenza, e con una specifica forma di controllo basata sull’informazione.
Sotto il (più vecchio) termine di accelerazionismo, recentemente è emerso un approccio relativamente nuovo alla politica e alla tecnologia progressista. Intendo l’accelerazionismo, principalmente, come intervento nella politica di sinistra. Soprattutto il Manifesto per una Politica Accelerazionista, di Alex Williams e Nick Srnicek, ha incoraggiato e favorito un nuovo discorso circa quali siano per la sinistra contemporanea le prospettive di un cambiamento radicale. Io intendo l’accelerazionismo visto principalmente come un intervento nella politica di sinistra contemporanea. Il Manifesto per una Politica Accelerazionista e i lavori successivi (Soprattutto “Inventing the Future” di Srnicek e Williams) rifiutano il feticismo di sinistra per quella che viene chiamata «politica popolare»: organizzazione democratica piatta, spazialmente limitata, decelerazione romantica e localismo folkloristico. La politica di sinistra dovrebbe piuttosto confrontarsi con il capitalismo globale ed i suoi complessi circuiti governativi ed economici. A tal proposito, gli accelerazionisti sollecitano educazione e mappatura cognitiva al fine di una speculazione realistica e manipolazione produttiva. Riguardo questa comprensione della speculazione e della manipolazione produttiva, può essere osservata un’implementazione nella politica di sinistra, quella che è una nuova comprensione del futuro. Il futuro dev’essere riguadagnato in quanto tale, e dev’essere pensato, anziché seguire i sindacati non-visionari e difensivi, e i movimenti sociali delle ultime proteste di Occupy. Quando guarda indietro partendo proprio da questo futuro aperto, Armen Avassenian sottolinea come il presente possa essere visto come contingente ed aperto alla manipolazione e alla navigazione politica. Riguardo questa comprensione produttiva di quelle che sono la navigazione politica e la manipolazione strategica, l’accelerazionismo concepisce anche l’accelerazione attiva del progresso tecnologico.
Questo tipo di politica implica, da un lato, il superamento dell’analfabetismo tecnologico per larghe parti della sinistra contemporanea. D’altra parte, l’accelerazione tecno-politica dovrebbe procedere da dentro il capitalismo esistente. Da un punto di vista accelerazionista, non dovremmo solo aspettare che il progresso sociale venga “naturalmente” facilitato dal progresso tecnologico. Le tecnologie sono da intendere come strumenti e come condizioni per pianificare, pensare e fare. Una conseguenza della politica accelerazionista è che l’infrastruttura, le tecnologie della comunicazione, la medicina, i metodi matematici, ecc., tutti quanti sviluppati e prodotti sotto il regno del capitalismo, non debbano essere distrutti ma devono essere applicati in maniera differente, devono essere ricostruiti e hackerati.
Srnicek e Williams offrono inoltre alcuni suggerimenti pratici per navigare verso futuri radicali. In generale, propongono un strategia contro-egemonica che include gruppi di riflessione radicale, propaganda, economia alternativa, organizzazioni gerarchiche, cultura pop utopica e tutti i tipi di sperimentazioni tecnologiche. Srnicek e Williams propongono che i partiti rappresentativi debbano lavorare insieme ai movimenti di massa, e che lo Stato dovrebbe essere convertito in un importante strumento per le persone. Gli autori citano brevemente il Cybersyn cileno e la cibernetica sovietica, i quali vengono analizzati nella successiva sezione, lodandoli in quanto eccezionali esempi positivi e vedendo nei loro vincoli tecnologici e politici i motivi del loro fallimento. Voglio offrire un approfondimento relativo a questi decisivi problemi legati alle strutture burocratiche in cui le innovazioni sono state implementate.
Le questioni relative al calcolo economico e al controllo cibernetico nell’Unione Sovietica del secondo dopoguerra, vengono valutate positivamente. All’inizio degli anni ’50, sia la cibernetica che la teoria dell’informazione – emerse negli Stati Uniti dalla ricerca militare – venivano definite come pseudo scientifiche, reazionarie e idealistiche. Come abbiamo visto nel lavoro di Tiqqun, tuttavia la cibernetica è stata concepita anche come la più potente arma ideologica e tecnologica del nemico. Gli accademici sovietici tradizionali hanno combattuto l’idea di acquisizioni disciplinari , e i commenti dei media hanno immaginato il sorgere di robot-soldati senza coscienza di classe. Dopo la morte di Stalin, avvenuta nel 1953, il discorso cambiò. Nikita Krusciov riconobbe la cibernetica come una nuova forma di tecnica di governo e come un modo per superare la debole situazione economica dell’era post-stalinista. Nel 1957, l’Accademia Sovietica delle Scienze aveva richiesto uno sviluppo accelerato ed un uso più ampio dei computer e delle statistiche per la pianificazione. In quest’era il cosiddetto “cyberspeak” aveva guadagnato un’aura di oggettività, e nell’Unione Sovietica la cibernetica era diventata un potente paradigma scientifico. Anche l’economia sovietica era stata concettualizzata a partire da idee cibernetiche, e la pianificazione era intesa come un sistema di controllo con vari anelli di retroazione. Era soprattutto l’ingegnere Anatolii Kitov, vice direttore del Computation Center e n°1 del Ministero della Difesa, che voleva ridurre il personale, l’inefficiente elaborazione dati e la ridondanza amministrativa costruendo grandi reti di computer che collegassero produzione economica e modelli decisionali politici. Kitov scrisse a Krusciov nel 1959 che l’informatizzazione «rende possibile utilizzare appieno i principali vantaggi economici del sistema socialista: economia pianificata e controllo centralizzato. La creazione di un sistema di gestione automatizzato [...] assicurerebbe una vittoria completa del socialismo sul capitalismo.»
Ben presto, Kitov perse la sua posizione accademica e l’appartenenza al partito a causa di motivazioni formali legate al potere, dopo che aveva proposto una rete che venisse usata sia dal settore militare che da quello civile. Le autorità militari criticarono pesantemente Kitov, dal momento che non erano interessate ad alcuna associazione che fosse potenzialmente debole economicamente. Le autorità politiche erano preoccupate per la loro perdita di controllo diretto e per la mancanza di ideologia nella gestione automatizzata.
Nel 1961, nel corso del 22° congresso, il Partito Comunista aveva adottato la terza versione del programma, incluso il seguente passaggio:
L’automazione avverrà su larga scala, con un’enfasi crescente sui negozi e sulle fabbriche completamente automatizzate, che garantiscano un’alta efficienza tecnica ed economica. [...] La cibernetica, i computer elettronici e i sistemi di controllo verranno ampiamente applicati ai processi produttivi nell’industria, nella costruzione e nei trasporti, nella ricerca scientifica, nella pianificazione, nella progettazione, nella contabilità, nella statistica e nella gestione.
All’interno di questo nuova politica di Partito, Viktor Glushkov era stato contattato da degli ufficiali e aveva comunicato a lavorare a delle nuove idee (a tal proposito, si vedano anche i ricordi personali di Glushkov). Il suo progetto per una rete di computer che monitorasse il lavoro, la produzione e la vendita al dettaglio in tutta l’Unione Sovietica, avrebbe dovuto integrare una serie di infrastrutture informatiche esistenti ed avrebbe incluso più di cento nodi di rete interconnessi per mezzo di canali a banda larga, nonché oltre ventimila centri di calcolo informatici. In più, la struttura avrebbe fornito anche una banca dati distribuita che sarebbe stata accessibile dovunque. Quest’idea di raccolta dati, archiviazione ed elaborazione, poi precisata insieme a Nikolai Fedorenko, è stata fondamentale a fini della concezione nel suo insieme, ed avrebbe significato un importante cambiamento nella burocrazia sovietica.
Anziché raccogliere dati economici grezzi e da riversare poi in differenti canali amministrativi, Glushkov e Federenko avevano pensato ad una singola archiviazione in banche dati centrali, che poi sarebbero stati resi accessibili per tutti i diversi tipi di utilizzo. Ma i piani di Glushkov miravano ancora più in alto: riorganizzare l’intera burocrazia e, per esempio, abolire il denaro materiale.
L’opposizione contro simili proposte crebbe rapidamente. I progetti vennero criticati a partire da tre posizioni. In primo luogo, burocrati e dirigenti di fabbrica non si sentivano attratti da una maggior osservazione e da un controllo standardizzato su ciò che era il loro lavoro quotidiano e l’efficienza complessiva. In secondo luogo, gli economisti più liberali vedevano in questo un nuovo incremento di centralizzazione ed un’estesa pianificazione dall’alto. E infine, in terzo luogo, la costruzione di una rete dati informatizzata doveva confrontarsi con la resistenza dei vertici politici che volevano preservare lo status quo amministrativo.
Negli anni ’60, con un occhio allo statunitense ARPANET, Glishkov aveva sviluppato e promosso OGAS, un progetto cibernetico per il controllo di tutta la produzione civile e di tutta la vendita al dettaglio dell’Unione Sovietica. OGAS includeva i precedenti piani di centinaia di centri di calcolo, la connessione di reti per l’automazione e l’installazione di una potente agenzia di supervisione. Mossa dal desiderio di conservare l’equilibrio tra potere ed autorità, le cui competenze fossero tenute strettamente separate, l’idea cibernetica generale dell’OGAS rimase frammentata in strumenti tecnologici separati. Dopo il 24° Congresso del Partito nel 1971, diversi ministri, agenzie, il Partito e i militari incrementarono, per le loro esigenze particolari, quella che era la loro implementazione individuale di reti e di tecnologia informatica. Si concentrarono tutti sugli aspetti tecnologici, e trascurarono i modelli di gestione cibernetici complessivi. I differenti programmi non erano compatibili fra di essi, sia a livello di hardware che di software. Insieme ai sistemi segreti e non trasparenti del settore militare, esistevano reti singole ed incompatibili, i quali erano stati costruiti per l’aviazione, le banche, le previsioni metereologiche, così come per gli organismi statali e di partito.
Quel che voglio sottolineare è una particolare intuizione che è centrale per il progresso dell’approccio cyber-comunitario. Le insufficienze tecnologiche e scientifiche non erano il problema principale si fini della costruzione di un sistema cibernetico generale per l’economia sovietica. Sono stati, piuttosto, i meccanismi politici del potere, l’esclusività delle informazioni e le schermaglie fra le competenze, ad impedire un ri-coordinamento cibernetico dell’economia tecnologicamente rafforzato. Le divisioni politiche, accademiche e militari mostravano una tendenza ad applicare solo alcune parti di quelle che erano applicazioni su larga scala, e che venivano destinate solo alcuni scopi particolari. La tecnologia informatica, le reti e soprattutto la modellazione cibernetica sono per definizione idee generali applicabili a vari problemi. Le autorità militari, economiche, politiche e scientifiche avevano anticipato alcuni benefici per quelli che erano i loro particolari bisogni relativi alla Guerra Fredda. In Unione Sovietica, per esempio, un problema era la mancanza di standardizzazione e di coordinamento per le reti di computer. Negli Stati Uniti e nel mondo occidentale, i protocolli generali di comunicazione, come il TCP/IP, o i sistemi di indirizzamento, come il DNS, erano stati largamente implementati nel corso di il periodo che aveva attraversato gli anni ’80. Senza tali standard per la comunicazione digitale, e a causa di hardware e software che erano incompatibili fra di loro, il mucchio selvaggio delle differenti reti sovietiche non era mai stato realmente connesso. Ciascuna rete era protetta e resta velata a causa della mancanza di trasparenza e della paura di perdere i privilegi già ottenuti.
L’America Latina presentava uno sforzo di politica socialista che incontrava le frontiere della cibernetica e dell’informatica piuttosto diversa. Oltre le differenze, evidenzierò le somiglianza con il caso sovietico. In tutto il mondo, ci sono stati diversi tentativi di politica socialista che erano distanti dall’Unione Sovietica, e il governo di Unidad Popular, in Cile, dal 1970 al 1973, è durato abbastanza poco, ma rimane un caso intensamente dibattuto. Il presidente Salvador Allende ha guidato un’alleanza multipartitica che spaziava dal Partito Comunista ai Cristiano Socialisti. La presidenza e la vita di Allende sono finite insieme al colpo di Stato l’11 settembre 1973, e dopo questo, e fino al 1990 il Cile divenne una brutale giunta militare guidata da Augusto Pinochet. Nel breve lasso di tempo fra il 1970 ed il 1973 la cosiddetta «via cilena al socialismo» è stata seguita dalla nazionalizzazione delle banche, della terra e delle industrie; dalla ristrutturazione del sistema giuridico ed educativo; dai diversi programmi alimentari ed abitativi; e dall’aumento dei salari.
In un simile contesto politico, un piccolo gruppo di agenzie governative aveva cominciato a lavorare ad un programma di comunicazione per computer. In questo sforzo, gli obiettivi cruciali erano due: il sistema avrebbe dovuto coordinare il settore statale, fortemente esteso ma debolmente organizzato, e in più doveva essere cercato un modello che fosse adatto allo specifico stile del socialismo cileno. Allende era ansioso di introdurre cambiamenti radicali che rimanessero nei limiti della costituzione, in modo da rafforzare la partecipazione dei lavoratori e da concedere le autonomie civili. Gli sviluppatori cileni avevano trovato un cibernetico inglese, e così aveva avuto inizio la breve ma elettrizzante storia del Progetto Cybersyn. Il cibernetico inglese Stafford Beer era un consulente di successo ed un promoter di modelli gestionali. Il giovane ingegnere cileno Fernando Flores lo aveva contattato nel mese di luglio del 1971. Flores era un manager di alto rango della CORFO, la Production Development Corporation che controllava diversi settori nazionalizzati debolmente coordinati. Due dei concetti teorici di Beer sembravano collimare con l’idea di socialismo che aveva Allende: la «Macchina della Libertà», una rete multimediale di informazioni e decisioni in tempo reale basata su delle Sale di Controllo, e il «Modello di Sistema Sostenibile», una struttura astratta costituita da sistemi e sottosistemi che consentivano un’autonomia parziale e un controllo generale dell’equilibrio (un modello che poteva essere applicato sia al corpo umano che all’intera economia). Queste due proposte teoriche erano la base concettuale del Progetto Cybersyn.
Cybersyn consisteva in quattro componenti centrali. Cybernet, era una rete di comunicazioni composta di macchine Teletype collegate ad un computer centrale che si trovava a Santiago. Nel 1971, in Cile esistevano solo quattro computer mainframe governativi, e per l’elaborazione dati Cybersyn usava un IBM System 360/40. Perciò Cybernet non era una vera e propria rete di computer come ARPANET o come le diverse reti sovietiche, dal momento che includeva un solo computer. La soluzione migliore per poter trasmettere dati dai siti produttivi al centro sembrava essere quella di una rete di telex. La seconda componente del Cybersyn era un software statistico chiamato Cyberstride. I dati venivano raccolti dai manager nei singoli impianti e inviati a Santiago, dove venivano convertite in schede perforate per il mainframe, e quindi calcolate. Sulla base di questi calcoli statistici, le informazioni veniva rimandate indietro ai siti periferici di produzione. Cyberstride avrebbe dovuto funzionare come un sistema di allarme per quelli che erano i problemi di risorse. Non era un rigoroso strumento di controllo o di automazione, in quanto avrebbe dovuto solo segnalare dei potenziali problemi alle fabbriche, le quali erano poi relativamente libere di risolvere il problema. La terza componente era CHECO, un software per la simulazione economica dinamica e per la previsione. Raúl Espejo, ingegnere sistemista al CORFO, aveva scritto recentemente in una sua riflessione personale che Cyberstride era «l’orecchio sul terreno» mentre CHECO veniva concepito come se fosse «l’occhio sul futuro». L’ultimo componente dei quattro, era la sala operativa centrale di Santiago. Tutte le informazioni su Cyberstride e CHECO potevano essere visionate nella Opsroom, la quale era stata progettata per la partecipazione dei lavoratori, degli ingegneri e dei politici. Questa Opsroom è la parte più famosa di Cybersyn, che Claus Piaf definisce come «interfaccia utente» del sistema, ed oggi è un’icona tecno-politica.
A cominciare dall’agosto del 1972, il team aveva costruito una stanza esagonale nel centro di Santiago. Essa conteneva sette sedie girevoli dotate di pulsanti di controllo sui braccioli. Le forme geometriche dei pulsanti servivano per controllare le slide, poiché i futuri partecipanti erano membri del governo o operai di fabbrica che avrebbero potuto non sapere usare correttamente una tastiera. A quei tempi, lavorare su tastiera era una competenza delle segretarie di sesso femminile e i progettisti della stanza miravano ad un controllo diretto da parte degli uomini che si sarebbero trovati nella Oopsroom senza alcuna intermediazione. I diversi display rappresentavano i dati in arrivo, non su degli schermi digitali ma su delle slide fatte a mano e dipinte da un gruppo di giovani studentesse. La proiezione delle slide non era automatizzata, ma doveva essere fatta manualmente dietro la facciata della Oopsroom. Cybernet, cyberstride, CHECO e la Oopsroom erano solo le basi dei progetti di Beer per rendere il Cile un «sistema sostenibile» basato sul pensiero cibernetico. Per esempio, non è mai stato realizzato un Cyberfolk, che sarebbe consistito in migliaia di «misuratori algedonici» [N.d.T.: Algedonica. Termine introdotto da W. Wundt per indicare la dimensione piacere-dispiacere che caratterizza la qualità del sentimento] posti accanto a radio o televisori. Usando questi dispositivi i cittadini dovrebbero essere in grado di esprimere in tempo reale la loro opinione sulla politica, e il governo riceverebbe un feedback diretto circa i suoi piani politici.
In Cile, il lavoro di Cybersyn ed i suoi componenti sono andati avanti, nonostante il peggioramento della situazione economica e la pressione politica dell’opposizione e degli Stati Uniti. Ci sono state parti di Cybersyn che hanno giocato nella crisi politica un fondamentale ruolo positivo. Ad ogni modo, nel corso di queste minacce, ci sono state singole tecnologie che sono state estratte dal modello cibernetico. L’incidente principale è stato uno sciopero contro il governo Allende sostenuto da decine di migliaia di camionisti, commercianti, ingegneri, medici e avvocati e che ebbe luogo nel mese di ottobre del 1972. Durante lo sciopero, alti funzionari governativi si riunirono in una stanza e fecero uso della rete telex per ricevere dati e per coordinare i commercianti e i camionisti leali col governo. Usando la rete di comunicazione diffusa, riuscirono a mantenere in funzione la circolazione di merci e lo sciopero ebbe fine. Dopo aver compreso quali fossero i potenziali benefici provenienti dalla nuova struttura di comunicazione in una simile situazione critica, le diverse agenzie governative e i ministeri continuarono ad usare le connessioni telex, ma smisero di lavorare alla modellazione cibernetica dell’intero settore statale.
Parallelamente, si possono descrivere quelli che furono gli sviluppi in Unione Sovietica. Sia l’OGAS che Cybersyn erano basati su una cibernetica sofisticata e miravano ad un fondamentale cambiamento nelle strutture economiche. Pertanto, quello che veniva proposto su larga scala, era l’utilizzo di innovativi computer e una tecnologia di comunicazione. Tuttavia, quando i modelli e la loro implementazione raggiunsero un livello critico di utilizzo potenziale, diverse sezioni statali estrassero componenti individuali – sistemi di telecomunicazione, rete di computer, strumenti per l’elaborazione dati e per l’archiviazione – dalle idee cibernetiche generali. Di conseguenza, l’innovazione tecnologica aiutò a stabilizzare, se non addirittura a rafforzare quelle che erano le esistenti strutture di potere, anziché riformarle radicalmente.
Anche se le circostanze politiche, economiche, culturali e tecnologiche differivano profondamente tra l’Unione Sovietica e il Cile, possiamo trovare tendenze simili a frammentare e a smantellare i massicci piani cibernetici socialisti. In che modo queste scoperte storiche possono oggi servire all’odierna speculazione circa il futuro di una politica di emancipazione? Per essere più precisi: come organizzarsi dentro e dopo il capitalismo?
L’intervento accelerazionista enfatizza una prospettiva non dogmatica riguardo il potenziale tecnologico a partire da una mentalità speculativa circa il possibile futuro ed il presente contingente. Ad ogni modo; Srnicek e Williams si oppongono al contemporaneo dogma di sinistra della politica popolare. Il loro intendere le strategie di navigazione verso i futuri di emancipazione, in cambio promuove una cultura del pensiero utopico e delle reti politiche radicali, comprese le organizzazioni gerarchiche. Srnicek e Williams inseguono un’idea di contro-egemonia all’interno dei sottosistemi ideologici e materiali della cultura, della produzione di conoscenza e delle infrastrutture tecniche. Come abbiamo visto nella storia del cyber-comunismo, si dovrebbe tenere presente che l’implementazione di strutture di rete computerizzate e automatizzate dipende dal processo decisionale multi-livello, così come dall’accettazione di molteplici classi di sviluppatori e di utenti. Organizzazioni come quelle proposte da Srniek e Williams sono assai probabilmente esposte anche a simili limiti strutturali.
Le strutture organizzative formali tendono a generare strutture informali. Questo livello informale a sua volta (in maniera apparentemente paradossale) stabilizza tali gerarchie, oppure offre possibilità di rallentare la comunicazione organizzativa e i modelli decisionali. Queste conclusioni sociologiche fondamentali, vanno considerate quando vengono postulate specifiche richieste organizzative. Soprattutto quando le richieste andrebbero fiancheggiate dall’accelerazione dell’innovazione tecnologica. Per quanto riguarda l’appello, fatto dal Manifesto Accelerazionista, ai gruppi di riflessione di sinistra e ai gruppi politici organizzati, ogni ulteriore indagine deve tenere in mente che ogni cambiamento in delle strutture di potere stabilite è sempre problematico, e verrà contestato nel momento in cui tali strutture dovranno confrontarsi con un’eventuale destabilizzazione sistemica. L’equilibrio fra un minimo di controllo generale, da una parte, e le strutture aperte all’innovazione tecnologica e sociale, dall’altra, rimane una questione che dev’essere affrontata dal pensiero critico. Bisognerebbe speculare se tali organizzazioni, così come sono state anticipate da Srnicek e Williams, mostreranno le stesse tendenze a decelerare e a frammentare le innovazioni massicce nello stesso modo che abbiamo visto negli esempi sovietici e cileni.
Per comprendere questi trabocchetti dell’innovazione tecnologica, serve una teoria sociologica che possa far luce sulle strutture interne e sui meccanismi della sfera politica autoreferenziale, e delle organizzazioni autoreferenziali che agiscono all’interno di tale sfera. La sociologia politica e la teoria dell’organizzazione può identificare quelle che sono le caratteristiche formali/informali, le dipendenze dal percorso, l’adattamento selettivo e la riproduzione autoreferenziale delle burocrazie statali e dei partiti politici, senza ridurli a conflitti ideologici o motivazioni umane individuali. In una prospettiva simile, è tuttavia altamente discutibile che delle organizzazioni formali sostituiranno la loro libertà con delle decisioni contingenti provenienti da equivalenti funzionali, quali possono essere dei sistemi autonomi tecno-cibernetici.
Quest’ultima riflessione riguarda una società post-capitalista speculativa. In entrambi gli esempi fatti, la riorganizzazione cibernetica verso il comunismo è stata decelerata da parte di uno Stato socialista. Quindi gli Stati agiscono in maniera opposta rispetto a quanto era stato predetto dai socialisti per circa duecento anni. Vorrei evidenziare solo la parte finale di questa famosa citazione di Engels:
Il primo atto in virtù del quale lo Stato si costituirà davvero come rappresentativo dell’intera popolazione – ovvero la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della società – sarà, contemporaneamente, anche il suo ultimo atto indipendente in quanto Stato. La sua interferenza all’interno delle relazioni sociali diviene ora, in tutti i diversi settori, superflua, e quindi esso muore a partire da un processo interno. Il governo delle persone viene rimpiazzato dalla semplice amministrazione delle cose, e dalla conduzione dei processi di produzione. Lo Stato non è “abolito”. Esso semplicemente appassisce.
In particolare, questa «sostituzione» può essere riferita ai sogni cibernetici degli ultimi settant’anni, i quali speravano nella sostituzione di quella che era una politica umana, corruttibile ed ideologicamente confusa, che avvenisse mediante un’autonoma, e basata sull’informatica, «amministrazione delle cose e dalla conduzione dei processi di produzione». Tutto questo può essere facilmente immaginato per mezzo di modelli tecno-cibernetici completi che funzionano senza intoppi e senza inadeguati esseri umani che prendono decisioni. Cybersyn ed OGAS erano infatti intesi come destinati a riorganizzare ed in parte sostituire il «governo delle persone». Ma abbiamo visto che gli Stati gestiti dagli individui non sono riusciti a svanire per mezzo di riadattamenti cibernetici, ma sono diventati ancora più forti attraverso la frammentazione di quelle che erano le possibilità tecnologiche ed epistemiche del cyber-comunismo. Gli Stati socialisti, e in particolare l’Unione Sovietica, in realtà divennero ultra-robusti, mentre avevano già dato inizio ad un sistema politico oppressivo. Il motivo per cui questo sia accaduto, rimane tuttora una questione difficile (e le risposte spaziano dai riferimenti alle circostanze storiche della Rivoluzione d’Ottobre alle analisi a proposito delle radici autoritarie nel leninismo), ma i fatti suggeriscono che gli argomenti provenienti dal materialismo storico andrebbero maneggiati con cura. Srniceck e Williams hanno nuovamente seppellito quella che era l’idea di Lenin per quanto riguardava un partito rivoluzionario esclusivo e la sua rivoluzione, e tuttavia non sono convinto che un’idea di egemonia e di contro-egemonia possano essere storicamente dimostrati come la migliore strategia.
Una questione da porre all’accelerazionismo contemporaneo potrebbe perciò essere: Che cos’è oggi lo Stato, dovrebbe essere abolito, e come dovrebbe invece essere organizzata nel suo insieme una società post-capitalista? Oppure vanno ripetute le formule di Lenin con la radicata speranza di ottenere delle risposte migliori di quelle che conosciamo già: Cosa si deve fare?, e da Dove cominciare?