#title Sul buon uso del razzismo antireligioso #author Machete (rivista) #LISTtitle Sul buon uso del razzismo antireligioso #SORTauthors Machete (rivista) #SORTtopics Machete n. 2, religione, razzismo, antirazzismo, anticlericalesimo #date aprile 2008 #source Consultato il 26 marzo 2018 su [[http://digidownload.libero.it/guerrasociale.org/machete2.pdf][digidownload.libero.it]] #lang it #pubdate 2018-04-03T23:53:35 È su Internet, nella primavera del 2000, che si è sviluppata in Europa la prima campagna di disinformazione mirante ad accreditare un razzismo antireligioso. Essa ha contribuito fortemente al *voltafaccia* di alcuni militanti di sinistra e di estrema sinistra. Questi militanti hanno rinunciato senza esitazione ad un progetto, un pensiero e una lingua radicati in tre secoli di lotte rivoluzionarie. Il rifiuto della loro storia in nome dell’anticolonialismo non si spiega che con l’abbandono dell’universalismo anticlericale di questa storia. Non difendono più una causa per convinzione, avendo la padronanza delle loro scelte, ma la causa che altri hanno scelto per loro. Perché dovrebbero mettere in dubbio, in maniera inconsueta, le ragioni della loro solidarietà? Questo mondo è davvero cambiato? Le forme di dominio non sono dappertutto le stesse? Il capitalismo non è ormai da molto tempo una pura negatività immutabile? Leziosi nelle loro certezze, essi giudicano incontestabile la propria rettitudine morale. Come all’epoca vittoriana, hanno i loro poveri e hanno trovato una volta per tutte i veri colpevoli. Giudicano perfino sospetti, ovvero reazionari, quelli che nelle loro critiche non risparmiano le pratiche sociali, culturali e religiose delle vittime di cui essi si dichiarano immancabilmente i difensori. Come potrebbero ammettere che il loro sostegno *sistematico* facilita gli interessi assai specifici di certe *vittime* che ambiscono a diventare nuovi padroni? In fin dei conti, quel che bisogna capire è *come* il linguaggio di questi militanti sia stato falsificato al punto di far loro confondere l’anticlericale e il religioso; *perché* ad esempio sono stati trascinati dal sostegno alla causa palestinese alla difesa di associazioni musulmane, passando dalla denuncia di aggressioni razziste e violenze poliziesche nei ghetti urbani a quella di un razzismo anti-musulmano? In nome di una «*ridefinizione etnica della cultura*», il relativismo è diventato un concetto guazzabuglio che consente di qualificare come razzista ogni rimessa in discussione della tendenza integralista delle religioni, oppure ogni critica *specifica* del destino riservato alle donne nei ghetti urbani. In un mondo al rovescio, la critica della religione non è più il preludio ad ogni critica, ne è addirittura nemica. Si possono misurare gli effetti d’un tale mutamento teorico dalle misere riflessioni d’una scrittrice, di sinistra e postfemminista: «Quando il livello economico è corretto e la mescolanza sociale è assicurata, non pesa nessuna minaccia — reale o fantasmatica, le religioni sono rispettate e assumono la forma più inoffensiva, rientrando da sole a cuccia». Non è facile indicare cosa ci sia di più costernante in una simile affermazione: la cattiva fede, l’idiozia o la flagrante assenza di memoria storica. In questo modo tanto naturale di ripetere frettolosamente le peggiori contro-verità, si riconosce l’efficacia di coloro che hanno *tutto il tempo di pensarle e di diffonderle*. Vista l’eccellenza del risultato, si può temere che l’integralismo religioso abbia d’ora in poi tutti i mezzi per trasformare la società *in base alla propria convenienza*. Analizzare la religione in termini di relativismo culturale e differenzialismo; negare che la tendenza naturale di ogni religione è l’integralismo, significa rendere inattaccabile la religione e le sue *prevedibili* conseguenze. La lotta *per* la libertà è sempre stata condotta *contro* la religione, contro la sua volontà conclamata di controllare la società e imporre con la violenza i suoi usi e costumi. È attraverso lotte *senza pietà* che in Europa le religioni sono state accantonate nella sfera della vita privata; che la libertà di blasfemia ha potuto prefigurare il rifiuto di ogni censura; che l’opposizione al feticismo religioso ha preceduto l’attacco al feticismo mercantile. Simulacro democratico, il preteso miglioramento del livello di vita non liquida per nulla la questione religiosa e l’esempio degli Stati Uniti ne fornisce quotidianamente la prova. La cosìddetta “società laica” non ha motivo di rinegoziare la separazione che ha *imposto* fra la Chiesa e lo Stato, né di dialogare con le religioni *in nome* della religione. Difendere gli esclusi identificandosi in una religione centralmente totalitaria, è sottomettere la società ad un attacco dalle conseguenze fatali: la sua dissoluzione. È in nome del diritto alla differenza, della parità fra tutte le culture, che si è trasformata ogni critica alla religione in crimine razzista. Si è così giunti a far credere che il rifiuto del velo islamico sia assimilabile alla xenofobia o a una nostalgia coloniale, non alla critica di una religione che opprime le donne. Si possono misurare gli effetti attesi dalle sorprendenti dichiarazioni di alcune postfemministe, per le quali «la facilità con cui le donne europee fanno all’amore fin dal primo incontro può aggredire le donne di altre culture per le quali il dono del proprio corpo è una esperienza spirituale e irreversibile». Questa improvvisa tolleranza culturale implica di fatto un vassallaggio culturale e una condanna per difetto della libertà sessuale che non sarebbe più così una conquista universale. Essa ci istruisce su una certa ambiguità fondamentale nei riguardi della questione religiosa. La svalorizzazione delle posizioni atee prepara il terreno, attraverso un opportuno martellamento mediatico, ad un *insistente* ritorno ai valori morali. La blasfemia, quando se la prende con il Papa, è considerata una «pratica desueta», mentre quando attacca il profeta dell’Islam diventa un’aggressione coloniale. Si vede come e attraverso quali tipi di «decostruzione del discorso» gli immigrati dell’Africa del nord e dell’Africa nera, fino agli adolescenti e ai neonati, siano ridotti alle loro sole origini religiose. Bisogna convincerli che la loro storia e la loro cultura si riassumono in un ruolo passivo di vittime del passato coloniale europeo. Viene così loro intimato di diventare dei fedeli e di sottomettersi ad una nazione musulmana che non esiste da nessuna parte, ma impone ovunque il suo progetto liberticida. La loro unica esistenza «positiva» passa per la religione. Li si tiene lontani da una cultura anti-islamica[1] in terra d’Islam, poiché un simile riconoscimento implicherebbe che l’Europa non abbia avuto il monopolio dei *Lumi*. Per i difensori dell’Islam politico, l’attacco condotto in Francia contro il romanzo di Houellebecq, *Piattaforma* (gli si rimprovera il fatto che uno dei suoi personaggi definisca l’Islam la *religione più stupida del mondo*) ha costituito l’avvio di una campagna che si trova *sempre* ai suoi preliminari, indirizzata principalmente a trasformare la libertà di blasfemia in crimine razziale e a preparare l’opinione pubblica a un nuovo colpo di mano. Segnale di una prima vittoria, i media parleranno da quel momento in poi e unanimemente di razzismo anti-musulmano. Il processo Houellebecq è stato seguito dalla vicenda delle vignette danesi giunta a ricordare ai più scettici la vera posta in gioco di questa guerra semantica. Le altre religioni monoteiste hanno ben compreso dove stava il loro interesse e si sono allineate al fianco degli islamici. In tempi meno vili, Luis Buñuel ha filmato un Cristo sopravvissuto a un’orgia sanguinosa di 120 giorni e l’esecuzione di un Papa; Benjamin Péret ha sputato sui preti; gli acrati spagnoli hanno diffuso in mezzo alla chiesa e durante il periodo della dittatura franchista un volantino proclamante: *Il Cristo è nella merda!* Taslima Nasreen come Salman Rushdie osservano giustamente che la condanna dell’ideologia religiosa restituisce alle donne e agli uomini che aliena il loro statuto, non più di credenti, ma di esseri umani. Difendere oggi questo punto di vista significa rischiare una *fatwa*, come in altri tempi i boia dell’inquisizione. In un mondo in cui si parla sempre più comunemente di Occidente cristiano, in cui la laicità è rivendicata dai politici per preservare, se non rafforzare, i privilegi del cristianesmo, si può ancora far udire il messaggio umanitario e rivoluzionario nell’identificare con chiarezza i propri due nemici: il capitalismo e la religione (due forme d’uno stesso feticismo?). Si può ancora rivendicare la lotta di quelli che considerano il pensiero ateo come una delle forme della lotta emancipatrice; che sperano che il culto dell’uomo sostituisca quello del cielo; che maledicono la sottana perché insegna la sottomissione, mantiene la superstizione e favorisce lo sfruttamento? Sì, la storia dell’Islam e quella del cristianesimo sono fatte di pratiche misogine e crudeli; e sì, la lotta contro la religione è una lotta per la libertà e non l’espressione d’una volontà colonialista d’imporre ovunque il modello dell’uomo bianco. Le ultime generazioni hanno sottovalutato il ritorno del religioso. Per loro, dall’inizio del XX secolo, la questione religiosa era obsoleta e la sua critica, divenuta desueta, senza oggetto. Non solo si è sottovalutata l’influenza islamica, ma si è provato un sentimento di colpevolezza di cui non sempre ci si è riusciti a disfare o a comprendere l’origine. Questo accecamento assomiglia a quello della sinistra “morale”. Per non fare il gioco repressivo della destra e non essere tacciati di xenofobia, cioè di razzismo, si adotta una posizione di principio favorevole agli immigrati e ai giovani delle città rifiutando di analizzare la subordinazione religiosa di molti di loro. Se la violenza contro gli immigrati non tollera scusanti, non giustifica per nulla l’infeudamento religioso ed umiliante della donna che troppo spesso è associato. La sinistra “morale” la si riconosce per la sua scarsa cultura storica: ciò che affronta le sembra sempre nuovo. È convinta che la presenza di credenti in seno ad organizzazioni di sinistra o d’estrema sinistra sia un fenomeno recente, specificamente legato allo sviluppo dell’Islam in Francia. Uno studio superficiale delle pratiche organizzative del movimento proletario della seconda metà del XIX secolo prova il contrario. Così in Spagna i militanti del nucleo fondatore dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori dovevano convincere ed organizzare operai e contadini la cui vita quotidiana era ciecamente sottomessa ai dogmi d’una Chiesa cattolica violentemente reazionaria. Questi militanti, constatando che l’oscurantismo religioso era universale, hanno tranciato radicalmente la questione proibendo ogni manifestazione religiosa all’interno delle organizzazioni proletarie e trasformando tale divieto in una critica quotidiana dell’alienazione religiosa nella vita sociale e negli organismi statali. La loro strategia di sviluppo fu dominata da una pratica culturale ed educativa che, sola, poteva liberare il popolo dalla superstizione. Difficile immaginare i membri dell’AIT partecipare a riunioni dove militanti d’organizzazioni musulmane potevano difendere il dogma coranico; difficile immaginarli consegnare petizioni, preparare azioni in comune con associazioni religiose che escludono la donna dalla vita sociale e politica. Non avrebbero mai tollerato la menzogna, che è durata troppo, d’un razzismo anti-islamico. Ai loro tempi hanno già risposto come noi possiamo rispondere oggi: esiste un razzismo antiarabo che bisogna combattere, ma nessun razzismo anti-musulmano. L’Islam è un’ideologia, e deve essere combattuto come una ideologia, allo stesso titolo del capitalismo, del nazismo, dell’induismo o del cattolicesimo. Ciò che si è conquistato con dure lotte non può essere negoziato con la pace di nessun culto. [1] Si tratti del qadarismo del VIII secolo, il cui rifiuto della fatalità divina portò all’esecuzione da parte dei califfi di Mabad al-Juhani nel 699 e di Ghaylan al-Dimashqi nel 743; o del mutazilismo razionalista del IX secolo con la celebre “Casa della Saggezza” a Baghdad dove il fisico nestoriano Hunayn ibn-Ichaq (detto Joannitius) tradusse *La Repubblica* di Platone e *Le Categorie* e *La Fisica* di Aristotele. Il qadarismo e il mutazilismo vennero giudicati eretici dall’Islam ortodosso e condannati: nel 922 il celebre mistico al-Hallaj fu flagellato, mutilato, appeso a un patibolo, decapitato, e il suo cadavere bruciato.