Dopo la seconda guerra mondiale, nell’insieme dei paesi economicamente sviluppati la religione, in particolare il cattolicesimo romano, aveva dovuto ridurre le sue secolari pretese di dirigere la vita degli uomini nella loro interiorità, la loro sessualità, la loro esistenza sociale e morale. Una larga parte dell’umanità raccoglieva così il frutto delle lunghe lotte anticristiane del XVIII secolo avviate dalla borghesia e riprese con vigore dal movimento operaio, lotte fra le cui eredità più preziose c’erano la laicizzazione della società ed il confinamento della religione alla sfera privata, Si respirava allora un’aria tanto più salubre grazie all’ancestrale corrente messianica che, attraversando la religione cristiana, aveva totalmente disertato le chiese e, abbandonando la trascendenza, aveva influenzato l’insieme delle correnti utopiche degli anni 60, tanto vilipese oggi dai detentori dell’ordine dominante. Del resto il dispositivo di irreggimentazione dell’immaginario, che per più di un millennio era stato monopolio del cristianesimo, era largamente superato nei mezzi e nei metodi dalla società dello spettacolo che andava instaurandosi. A parte il fatto che lo spettacolo, che altro non è che la realizzazione profana della religione, si è guardato bene dal portare a termine la sua opera di superamento del religioso: piuttosto che sopprimere la religione, l’ha conservata a titolo di dramma storico in programma nel suo repertorio. Ed oggi rimette in scena lo stesso dramma.

Con la caduta della burocrazia stalinista ad est e col crollo delle ideologie rivoluzionarie, utili a mantenere l’equilibrio del sistema sociale, il capitalismo si è ritrovato solo davanti a se stesso, nel vicolo cieco del proprio successo. Più unifica il pianeta grazie alla penetrazione forsennata della merce, più le false divisioni gli sono necessarie per dissuadere coloro che sfrutta e a cui devasta l’esistenza dal progetto di affrontarlo direttamente. Certo, non crea queste divisioni di sana pianta, e non v’è bisogno di ricorrere ad una teoria del complotto per spiegare questo processo; è il suo stesso movimento storico — fin negli errori di percorso, come quello che lo ha portato a rafforzare l’islamismo radicale per indebolire il capitalismo di Stato sovietico — a utilizzare ed amplificare le divisioni razziali, etniche, sessuali, religiose e sociali preesistenti. Ecco perché assistiamo oggi al risveglio artificiale di vecchi antagonismi storicamente compiuti, fra una cristianità e un Islam che dell’antica potenza hanno conservato solo il nucleo ideologico religioso e qualche rituale cristallizzato che assicura un più o meno forte infeudamento di spiriti e corpi, soprattutto là dove i religiosi possono appoggiarsi al braccio secolare. Gli uni credono di scoprire uno scontro fra civiltà (allorquando sul pianeta oggi non vi è che un’analoga barbarie dell’hamburger e del cellulare); gli altri, rappresentanti di una piccola borghesia musulmana frustrata che vorrebbe divorare la sua fetta della torta capitalista, credono di vivere un remake delle crociate. A questo sinistro gioco di inganni si sovrappone inoltre lo scontro riattivato fra democrazia occidentale e totalitarismo che ha fatto funzionare così bene il sistema per più di mezzo secolo. Aggiungiamo comunque, nel sottolineare tutte queste false opposizioni, che non tracciamo un segno di abusiva equivalenza fra situazioni quotidiane e sensibili imparagonabili: così come al tempo della guerra fredda era preferibile per tutti, proletari compresi, vivere nel mondo detto libero piuttosto che nel mondo detto comunista, bisognerebbe possedere una singolare cattiva fede per non ammettere che oggi in una società islamica si vive peggio che in quasi ogni altro luogo, anche se non si è donne, omosessuali o atei, per il semplice motivo che bisogna conformarsi agli scandalosi divieti e prescrizioni della morale pubblica.

Ora, in questa parte nuovamente rappresentata in maniera altrettanto tragica, le stesse situazioni autorizzano i medesimi ricorsi a nauseabonde alleanze tattiche: proprio come all’epoca dello stalinismo trionfante contro ciò che già si definiva liberalismo si stringevano abominevoli accordi come il patto Molotov-Ribbentrop fra la Russia di Stalin e la Germania di Hitler, oggi certe analoghe alleanze emergono fra i critici patentati di un liberalismo riqualificato abusivamente da ultra e i peggiori regimi od organizzazioni islamici. In questi mercanteggiamenti, è ancora in gioco l’abbandono di ogni scrupolo morale a beneficio della peggiore confusione. Sputiamo dunque sull’inetto Chavez che non esita a sostenere il criminale Ahmadinejad considerandosi un esecutore delle volontà di Dio; sputiamo su questi sinistri europei che, confondendo come loro solito la popolazione oppressa con la sua rappresentanza alienata, accordano il loro ridicolo sostegno agli ultrareazionari di Hamas; sputiamo su quei trotskisti inglesi che fanno lista comune con i fascisti verdi alle elezioni municipali; sputiamo su tutti coloro che, con il pretesto di lottare contro l’imperialismo, non sentono sulla pelle tutto ciò che vi è di ripugnante e indegno nel tendere la mano a qualsiasi detentore di un dogmatismo religioso.

Il nostro ateismo non è una presa di posizione filosofica o logica. Come l’ateismo di Sade, è la tonalità di un modo di vita, il fluido sensibile nel quale possiamo respirare e in cui il nostro immaginario può godere dei suoi poteri. L’ateismo di positivisti e altri anticlericali che accumulano prove dell’inesistenza di Dio ci sembra troppo simile al frutto staccato male dall’albero di un monoteismo trasformato sul suo finire in semplice ideologia della trascendenza. Il nostro ateismo è piuttosto l’ateismo solare e gioioso dei Cirenaici o di Lucrezio e, sul piano sensibile, esprime la posizione di immanenza universale che si ritrova in tutti i popoli animisti, per cui il sacro è solo il sentimento della presenza della natura. È per questo che l’idea di un dio unico e onnipotente ci sembra così risibile e noiosa. E non possiamo scordare che questo dio creato sulla peggior immagine dell’uomo — un vecchio maschio un po’ caratteriale — è sempre servito per giustificare la miseria mentale dell’antropocentrismo e il suo vorace dominio sulla meraviglia del mondo. L’immaginazione, per eccellenza sempre portata agli eccessi dell’invenzione poetica, potrebbe mai trarre soddisfazione da un tale triste profilo tracciato sull’orizzonte delle sue problematiche?

Il preteso ritorno del religioso, che lo spettacolo non cessa di ripeterci, non può cambiare un dato fondamentale: Dio è morto, definitivamente morto, già da oltre un secolo; è stato sostituito dalla religione del Capitale, il cui profeta è il denaro. Profeta che, come si vede oggi in Cina, scatena tante più passioni non dovendo imbarazzarsi per una trascendenza religiosa concorrente. Ma per i popoli a lungo assoggettati al monoteismo, qualsiasi esso sia, il fantasma di Dio si aggira ancora, come un otre vuoto che si riempie della risposta illusoria a tutte le frustrazioni, rancori e oppressioni che l’Economia e la classe che ne trae beneficio non cesseranno di generare. E questo spettro pesa come una greve minaccia sull’immaginario collettivo, di cui inquina il linguaggio, confisca le speranze e trattiene gli slanci. Sbarazzarsi di questa minaccia è rischiare la sola avventura che valga, quella della libertà. Affermiamo dunque una volta ancora il carattere intrinsecamente blasfemo, antireligioso, e per ciò stesso liberatore, della parola poetica, e il nostro viscerale irrispetto per ogni sottomissione al pallone gonfiato divino.

Promemoria

Le chiese di Parigi sotto la Comune

Si sputa sui crocifissi; si fa man bassa di ostensori, candelabri e cibori; si svuotano le cassette delle offerte per i poveri; ci si acconcia con gli ornamenti sacri e si fa la parodia dei riti ecclesiastici emettendo singulti da ubriachi e urla da selvaggi. Il barile di vino fa concorrenza al barile di polvere; la bestialità replica all’odio; il parigino del 1871 dà dei punti al cannibale; al punto che i miracoli che deride e sfida si rinnovano in ogni istante in queste chiese dove ci si ubriaca e si fuma in mezzo a montagne di barili di petrolio e polvere da sparo. È miracoloso, sovrannaturale, al di fuori d’ogni previsione e d’ogni verosimiglianza umana, che tutti i preti non siano morti e che tutte le chiese non siano in rovina.

Armand de Pontmartin