Machete (rivista)

Lo sciopero elettorale

aprile 2008

Con sadica gioia e nazionale fierezza, non vedo l’ora che fra qualche giorno si apra il periodo elettorale. Si può persino affermare che lo sia già, che lo è sempre stato e che, visti i nostri costumi parlamentari e i nostri gusti politici, che sono quelli di disprezzarci gli uni con gli altri, questo non modificherà nulla delle nostre abitudini e dei nostri piaceri. Ma ciò che è impossibile prevedere è la sua fine, e se mai avrà una fine.

Dio non voglia!

Non si potrà più fare un passo per strada senza essere sollecitati, adescati, entusiasmati da forti e diverse distrazioni, in cui il piacere degli occhi si mescolerà alle gioie dello spirito, senza veder stagliarsi l’infinita idiozia, l’infinita stoltezza della politica sui muri, sui tronchi d’albero, sui pali indicatori. Ogni casa sarà trasformata in sezione; in ogni pubblica piazza ci saranno raduni urlanti; dall’alto di ogni pulpito, bizzarri personaggi vomitati da chissà quali misteriose casseforti, strappati all’appiccicosa oscurità di chissà quale caverna giornalistica, gesticoleranno, sbraiteranno, abbaieranno e, con gli occhi iniettati di sangue, la bocca schiumante, ci prometteranno la felicità. Da Aosta a Lecce, da Bolzano a Ragusa, per renderci felici tutti si accuseranno di furto, di truffa, di assassinio; si rinfacceranno a vicenda l’incesto, lo spionaggio, il tradimento, l’adulterio; sbandiereranno conti bancari, bilanci di partito, lenzuola da letto. L’Italia intera diventerà un’immensa latrina in cui ignobili ventri riverseranno pubblicamente il flusso pestilenziale delle loro deiezioni. Si camminerà nella spazzatura, immersi fino al collo. E ci rallegreremo di questa posizione. Sì! Che popolo meraviglioso siamo!

Se c’è una cosa che mi meraviglia prodigiosamente è che alle soglie del terzo millennio, dopo essere passati attraverso innumerevoli esperienze, dopo aver assistito a scandali quotidiani, possa ancora esistere nel nostro Bel Paese un elettore, un solo elettore, questo animale irrazionale, inorganico, allucinante, che consenta di distogliersi dalle sue faccende, dai suoi sogni, dai suoi piaceri, per votare in favore di qualcuno o qualcosa. Se ci riflettiamo un solo istante, questo sorprendente fenomeno non è fatto per sconcertare le più sottili filosofie e confondere la ragione? Dov’è il pensatore che ci darà la fisiologia dell’elettore moderno? Dov’è lo scienziato che ci spiegherà l’anatomia e la mentalità di questo incurabile demente? Li aspettiamo.

Io capisco che un truffatore trovi sempre degli azionisti, la Chiesa dei fedeli, la censura dei difensori, la televisione degli spettatori, capisco che un semianalfabeta si ostini a cercar rime; capisco tutto. Ma che un Deputato, un Senatore, uno qualsiasi di quegli strani buffoni che reclamano di possedere una qualsivoglia funzione elettiva, trovi un elettore, ossia l’essere inimmaginabile, il martire improbabile che lo nutra col suo pane, lo vesta con la sua lana, lo ingrassi con la sua carne, lo arricchisca col suo denaro, con la sola prospettiva di avere in cambio di queste prodigalità delle randellate sulla nuca, dei calci nel deretano, quando non delle fucilate nel petto – in verità, ciò supera la visione già molto pessimista che m’ero fatto sin qui della stoltezza umana.

Ben inteso, sto parlando dell’elettore accorto, convinto, dell’elettore teorico, di colui che pensa – povero diavolo! – di compiere un atto da libero cittadino, di ostentare la sua sovranità, di esprimere le sue opinioni, di imporre (o ammirevole e sconcertante follia!) dei programmi politici e delle rivendicazioni sociali. Non parlo certo dell’elettore che «se ne intende» e che se ne fa beffe, di chi nei «risultati della sua onnipotenza» vede solo una indigestione nella pizzicheria reazionaria, o una baldoria al vino progressista. È nel vero, perché solo questo gli interessa e se ne frega del resto. Sa quello che fa. Ma gli altri?

Ah! Sì, gli altri! I seri, austeri, il popolo sovrano, quelli che si sentono invadere dall’ebbrezza quando si guardano e si dicono: «io sono elettore! Niente si può fare senza di me. lo sono la base della società moderna. Grazie alla mia volontà, Tizio fa leggi a cui sono sottoposti milioni di esseri umani, e Caio pure, e Sempronio anche». Come possono ancora esistere simili campioni? Per quanto testardi, orgogliosi, paradossali, com’è possibile che dopo tutto questo tempo non siano ancora scoraggiati e vergognosi delle loro attività? Com’è possibile che da qualche parte – persino nelle lande più desolate della Padania, o nelle più inaccessibili caverne dell’Aspromonte – si incontri un brav’uomo così stupido, così irragionevole, così cieco a quanto si vede, così sordo a quel che si dice, da poter votare verde, bianco o rosso, senza essere costretto da qualcuno, senza essere pagato per farlo?

A quale strano sentimento, a quale misteriosa suggestione può obbedire questo bipede pensante, dotato di una volontà (perlomeno presunta) e che, fiero del suo diritto, sicuro di aver adempiuto a un dovere, se ne va a deporre una scheda in una qualunque urna elettorale? Dentro di sé, deve pur dirsi qualcosa che giustifichi o che almeno spieghi il suo atto stravagante. Che cosa spera? Perché infine, per acconsentire a donarsi a padroni avidi che lo derubano e lo accoppano, è necessario che egli si dica e che speri in qualcosa di straordinario che noi non supponiamo. È necessario che, grazie a potenti deviazioni cerebrali, le idee del deputato corrispondano per lui a idee di scienza, di giustizia, di lavoro e di probità. È necessario che egli scopra una magia speciale nei soli nomi di Veltroni e Berlusconi, non meno che in quelli di Rutelli e Fini, e che attraverso un miraggio veda fiorire e schiudere in Casini e Bertinotti delle promesse di futura felicità e di sollievo immediato.

E questo è veramente spaventoso. Niente gli funge da lezione, né le commedie più burlesche, né le tragedie più sinistre. Ebbene, nel corso dei secoli in cui il mondo dura, in cui le società si svolgono e si succedono, simili le une alle altre, un fatto unico domina tutte le storie: la protezione per i grandi, l’oppressione per i piccoli. Non riesce a capire che ha una sola storica ragione d’essere: pagare per un mucchio di cose di cui non godrà mai e morire per combinazioni politiche che non lo riguardano affatto. Che gli importa se è Tizio o Caio a pretendere denaro e prendergli la vita, dal momento che è obbligato comunque a privarsi dell’uno e a dare l’altra? Ebbene no! Tra i suoi ladri e i suoi carnefici, ha delle preferenze e vota per i più rapaci e i più feroci. Egli ha votato ieri, voterà domani, voterà sempre. Le pecore vanno al mattatoio. Non dicono niente, loro, e non sperano niente. Ma per lo meno non votano per il macellaio che le ucciderà, né per il padrone che se le mangerà. Più bestia delle bestie, più pecora delle pecore, l’elettore elegge il suo boia e sceglie il suo padrone. Ha fatto delle Rivoluzioni per conquistare questo diritto. O buon elettore, indescrivibile imbecille, povero diavolo, se invece di lasciarti prendere dagli assurdi ritornelli che ogni mattina ti spacciano per due soldi giornali grandi e piccoli, azzurri o neri, bianchi o rossi, e che sono pagati per avere la tua pelle; se invece di credere alle chimeriche adulazioni con cui si accarezza la tua vanità, con cui si circonda la tua penosa sovranità inginocchiata; se invece di fermarti, eterno curioso, davanti alle pesanti frodi dei programmi; se leggessi di tanto in tanto Nietzsche e Max Stirner, due filosofi che la sapevano lunga sui tuoi padroni e su di te, forse impareresti qualcosa di sorprendente e utile. Forse, dopo averli letti, avresti meno fretta di indossare la tua aria greve e il tuo bel cappotto per correre poi alle urne omicide dove, qualsiasi nome metterai, indicherai il nome del tuo più mortale nemico. Da veri conoscitori dell’umanità, essi ti diranno che la politica è un’abominevole menzogna, dove tutto è il contrario del buon gusto, della bellezza e dell’etica.

Se vuoi, sogna pure paradisi di luci e di profumi, di fratellanze impossibili, di felicità irreali. È bello sognare, attenua la sofferenza. Ma non mescolare mai l’uomo al tuo sogno, perché dove c’è l’uomo, là ci sono il dolore, l’odio e l’omicidio. Ricordati soprattutto che l’uomo che sollecita i tuoi suffragi è di per sé un disonesto, perché in cambio della situazione e della fortuna verso cui lo spingi, ti promette un mucchio di cose meravigliose che non ti darà e che del resto non ha il potere di darti. L’uomo che eleggi non rappresenta né la tua miseria, né le tue aspirazioni, né qualcosa di te; rappresenta solo i suoi interessi, che sono opposti ai tuoi. Per confortarti e rinvigorire dalle speranze che saranno presto deluse, non pensare che il penoso spettacolo a cui assisti oggi sia caratteristico di un’epoca o di un regime, e che passerà. Tutte le epoche si equivalgono, e anche tutti i regimi, cioè non valgono niente. Quindi torna a casa, brav’uomo, e fai lo sciopero elettorale. Non hai nulla da perderci, te lo assicuro; e ti potrai divertire per un po’. Sulla soglia di casa, sbarrata ai postulanti dell’elemosina politica, guarderai sfilare la bagarre. E seppur in un angolo sconosciuto esistesse un onest’uomo capace di governarti e di accudirti, non rimpiangerlo. Sarebbe troppo geloso della sua dignità per mescolarsi alla lotta fangosa dei partiti, troppo fiero per ricevere da te un mandato che accordi solo al cinismo, al malaffare e alla menzogna. Te l’ho detto, brav’uomo, tornatene a casa a scioperare.

Votare è lo stesso che abdicare.
Nominare uno o più padroni per un periodo più o meno lungo, è lo stesso che rinunciare alla propria sovranità.
Che diventi monarca assoluto, principe costituiionale o semplice mandatario, il candidato che elevate al trono o alla poltrona sarà sempre il vostro superiore...
Votare è da fessi.

Elisée Reclus

Promemoria

Edgar Allan Poe (1809-1849), noto scrittore, critico letterario e poeta americano, venne trovato privo di sensi fuori da un seggio elettorale di Baltimora il 3 ottobre 1849. Morì in ospedale quattro giorni dopo senza mai riprendere conoscenza.

La causa del suo nefasto malore è stata attribuita a un eccesso di alcool ingerito in un sol giorno. Tutta colpa di un partito politico il quale, per convincerei cittadini ad andare a votare, aveva promesso e poi incredibilmente mantenuto di fornire bevande e cibo gratis agli elettori che si fossero recati alle urne. A Poe fu fatale la sua bassa tolleranza per gli alcolici, che peggiorava ad ogni visita nei diversi seggi elettorali in cui si recò (più volte in un giorno) a votare e a sfamarsi. La morte del celebre scrittore costituisce un monito a tutti gli elettori dei rischi cui vanno incontro nel momento in cui decidano di apporre il loro segno su di un simbolo politico.


Consultato il 26 marzo 2018 su digidownload.libero.it