#title La guerra europea e gli Anarchici #author Luigi Fabbri #SORTauthors Fabbri, Luigi; #date 1916 #SORTtopics anarchismo, guerra, militarismo #lang it #pubdate 2022-05-29T23:47:20 #title La guerra europea e gli Anarchici #author Luigi Fabbri #SORTauthor Fabbri, Luigi #date 1916 #lang it #pubdate 2022-05-16T23:47:20 Il testo di questo opuscoletto era già pronto fino dai primi del mese di aprile, che subito diversi gruppi di compagni sentirono il bisogno di rispondere in modo categorico al manifesto antianarchico dei cosidetti “intellettuali” franco-russi. Purtroppo difficoltà materiali d’ogni genere che i lettori comprenderanno, derivanti dallo stato di guerra che ha soppressa la libertà di pensiero, ci ha impedito di curare la pubblicazione con quella sollecitudine che desideravamo. Nel frattempo, da varie parti si sono sollevate voci anarchiche di protesta contro coloro che a torto son creduti i portavoce delle nostre idee. Senza contare quelle unanimi dei paesi neutrali, registriamo qui con piacere un vibrante articolo di Errico Malatesta comparso nei giornali inglesi, nel *Risveglio di Ginevra* e riprodotto completamente in BIANCO del Libertario di Spezia, una dichiarazione del Gruppo Anarchico Internazionale di Londra, un’altra del gruppo dei *Temps Nouveaux* di Parigi, una terza dei gruppi parigini che avevano per organo il giornale *Le Libertaire*. Purtroppo queste diverse voci han potuto farsi sentire a stento, ostacolate dalla censura. Anche i giornali anarchici, tanto in Italia che in Francia, hanno tentato confutare la prosa del manifesto guerraiuolo, ma invano. La censura ha imbiancati completamente tre articoli di Sebastiano Faure, che nel “Ce u’il aut dire” di Parigi, rispondeva ai sedici firmatari del manifesto; cosi pure soppresse ogni accenno di risposta nel Liberatario di Spezia. Solo “l’Avvenire Anarchico” di Pisa ha potuto pubblicare, benché mutilato, il manifesto del gruppo internazionale londinese. Per tutto ciò crediamo lo stesso utile, malgrado il ritardo determinato anche dalla maggiore ampiezza di questo scritto, la pubblicazione di questo opuscolo che vuol essere, più che una risposta ai nostri recenti avversari, una affermazione ragionata delle nostre immutate convinzioni. Gli Editori TORINO, GIUGNO 1916 * * * * * *** I Mentre con la primavera su tutti i fronti della guerra europea s’è intensificato il macello reciproco dei popoli e il sangue si versa a torrenti, mentre un senso di sgomento stringe i cuori e rende pensose le menti, noi anarchici abbiamo sentita con profondo dolore levarsi una voce contro la pace: la voce vostra, o uomini che amammo perché per le idee che ci sono care avete lottato, lavorato e sofferto, ma che oggi queste idee dimenticate o posponete a vane quanto pericolose illusioni. Voi temete una pace “prematura”; e non v’accorgete, nel ferire si crudamente il sentimento attuale più vivo delle classi oppresse d’ogni paese, che il prolungarsi della guerra non rende l’esito di questa più sicuro in un senso o nell’altro. D’altra parte la pace potrà sempre sembrare prematura ora agli uni ed ora agli altri dei belligeranti; sicché una sola certezza v’è: che il logoramento reciproco, prolungandosi sempre più, aggraverà fino all’esaurimento l’attuale tragica situazione di tutti i popoli. Nel manifesto parigino voi dite di “non condividere le illusioni di alcuni compagni sulle disposizioni pacifiche di quelli che dirigono le sorti della Germania.” Ma quale anarchico può mai nutrire illusioni cosi sciocche? Noi, pur dissentendo profondamente da voi, abbiamo la vostra medesima pessima opinione del governo tedesco e d’una pace dettata da lui. Ver’è che non abbiamo una opinione molto diversa su tutti gli altri Stati! Siete invece voi che, vittime della illusione a noi erroneamente rimproverata, avete il grave torto d’esservi in certo modo fatti mallevadori d’una pace statale a più lontana scadenza che, anche se dettata dai governi cui siete favorevoli, sarà sempre una pace bugiarda irta d’ingiustizie e gravida di minacce di nuovi conflitti per l’avvenire. La pace che sarà prima o poi conclusa dagli Stati non sarà la pace nostra, la pace vera dei popoli. Niun congresso internazionale di laboratori, per quanto numeroso, potrebbe avere influenza alcuna su ciò che sarà esclusivamente definito dalla diplomazia; i lavoratori ne sapranno qualche cosa quando tutto sarà finito, prima ancora che abbiano rattenuta la libertà di riunirsi e d’esprimere la propria opinione. Sì, grave errore è il vostro di solidarizzarvi con degli Stati, per la guerra; ma un errore simile noi non commetteremo, perché agli Stati non accorderemo mai solidarietà, fiducia o tregua neppure per avere la più sollecita pace. Che se la pace invochiamo, per solidarietà con l’umanità straziata, e dai popoli che la aspettiamo, non dai governi. Voi —firmatari del manifesto— mentre temete come il maggior danno che il desiderio di pace abbia prematuramente a imporsi, dichiarate che, pur essendo anarchici ed antimilitaristi, vi siete schierati con quelli che resistono e che combattono. Di chi intendete parlare, dei governi o dei proletari? Certo dei governi, poiché solo da un punto di vista borghese e statale e possibile cotesta arbitraria distinzione fra difesa e resistenza. E bene il vostro torto, giudicare gli avvenimenti da questo erroneo punto di vista! Che se poi intendete parlare, non dei governi ma della massa dei proletari che si battono nel vero senso della parola, ci sembra per lo meno superflua la vostra dichiarazione d’essere con loro, quando essi (parliamo della generalità) non hanno alcuna libertà di fare diversamente. Sarebbe più interessante sapere, piuttosto, se quelli che combattono sono d’accordo con voi, o non piuttosto deplorino che alla forza materiale che li spinge al fuoco si sia aggiunta la forza morale del vostro consentimento. Forse con loro ci siamo più noi che voi! Voi dichiarate che non avete voluto separarvi dal rimanente della popolazione! ...Ma per non separarvi dal resto della popolazione non c’era bisogno d’assumere il vostro atteggiamento strano; forse anzi sareste più vicini al suo sentimento se, elevandovi più in alto, le parlaste parole più in armonia col vostro passato e con le idee che dite di professare. Che voi certo scambiate per sentimento e per volontà popolare la artificiale pubblica opinione creata da una stampa bugiarda, che sola ha la libertà di farsi sentire. Cosi questa stampa può coprirvi oggi di fiori [1] e servirsi proprio dei vostri nomi per vituperarci con maggiore accanimento! Badate! l’elogio dei nemici e quasi sempre una prova che si batte falsa strada. *** II Voi siete su falsa strada. Potremmo dimostrarvelo con le medesime parole di alcuni di voi, sfogliandone i libri, gli opuscoli e i giornali. Nel vostro manifesto si accenna alle responsabilità che gravano sullo Stato germanico, per la guerra attuale. In ciò avete tutte le ragioni; il vostro torto comincia quando vi limitate a vedere soltanto tali responsabilità, senza accorgervi che responsabilità identiche hanno tutti gli altri Stati, compresi quelli da voi difesi. Da ciò deriva tutto il conseguente vostro erroneo atteggiamento. Lo Stato tedesco ha certo, in più degli altri, la responsabilità d’aver cominciata per primo la guerra e d’aver commesse tutte le infamie inerenti a tale fatto. Ma l’averla resa possibile, l’averla preparata, provocata, fatta sempre più inevitabile, il non averla veramente e sul serio voluta impedire, sono colpe collettive di tutti gli Stati belligeranti. La Francia e la Russia non erano preparate, si dice. E’ vero; ma si andavano preparando, e se non volevano le guerra per 1914, annunziavano che sarebbero state pronte per più tardi. La complice Inghilterra s’associava ad esse e le spronava, paurosa degli appetiti coloniali ed espansionisti della Germania, mentre l’Italia, inconscia, aveva acceso da tre anni il primo focherello in Oriente da cui doveva a poco a poco generarsi l’incendio. La politica aggressiva da alcuni anni era fatta dalla Francia come dalla Germania; tutti ricordano le mene belligere di Delcasse , e fin dall’elezione di Poincare a presidente della repubblica si sapeva e diceva da tutti che essa significava la guerra a breve scadenza. Gli e che la guerra sorda, non ancora militare, era da un pezzo cominciata in Africa ed in Oriente fra i grandi ladri; i vari imperialismi commerciali e politici europei si contendevano i mercati coloniali, gli sbocchi commerciali, le concessioni ferroviarie e portuarie, le cosiddette zone d’influenza, ovunque: nel Marocco e in Persia, nei Balcani ed in Mesopotamia, in Turchia e in Cina, dal Mediterraneo al golfo Persico. La Germania, ultima venuta, ricca d’industrie e d’armi ma povera di colonie, cercava a gomitate di farsi largo per poter…rubare un po anche lei; ma i suoi affaristi coloniali (secondo uno di voi stessi) incontravano dovunque un formidabile rivale, l’Inglese, che sbarrava loro la via [2] per arrestarne lo sviluppo marittimo e lavorare diplomaticamente a preparare la guerra. E la guerra e venuta, tutt’altro che imprevista. Il compagno Domela Nieuwenhuis fin dal 1911 ne parlo come di cosa certa e cosi pure i sindacalisti Merrheim e Delaisi; la stessa invasione del Belgio, di cui molti nel 1914 sembrarono sorpresi, era considerata da essi come sicura. [3] L’impero germanico non ha aspettato che i suoi nemici si fossero preparati, che la Francia ottenesse il rendimento della legge dei tre anni, che la Russia costruisse le corazzate promesse e le ferrovie strategiche polacche, etc. Esso, ch’era per momento il più forte, avrebbe potuto cercare di definire altrimenti le vertenze in corso, ottenere altrimenti assicurazioni per l’avvenire, tentare insomma tutte le vie per evitare la guerra. Non l’ha fatto, ed e la sua condanna. Volle invece snudare la spada! Noi abbiamo tutto il diritto di maledire il sinistro imperatore tedesco ed il suo criminale stato maggiore, perché han precipitato gli eventi, mentre forse era possibile che una rivoluzione popolare potesse nel frattempo, da una qualsiasi delle nazioni europee, imprimere un altro indirizzo al corso della storia. Noi, soltanto noi abbiamo tale diritto, perché partiamo da un punto di vista non statale, ma rivoluzionario. I governi ed i loro partigiani, no, non han diritto di scagliarsi contro il governo tedesco, perché son tutti complici di questo, perché sul losco terreno della diplomazia statale anche l’infame Stato germanico può accampare la sua parte di ragione contro di loro. Se nell’infernale scala delle responsabilità, l’Impero tedesco occupa il primo e più odioso posto, e anche vero che nessuno Stato può, di fronte ai suoi sudditi, dire d’aver fatto tutto il possibile per evitar loro la fattura della guerra. I trattati segreti delle alleanze hanno avuto il sopravvento. Noti scrittori han dimostrato ciò, specie in Inghilterra; noi ci risparmiamo di ripetere tale dimostrazione che potrebbe esser fatto anche sulla scorta dei soli documenti ufficiali e diplomatici, perché l’argomento ci porterebbe troppo per le lunghe. Basti ricordare l’ assassinio di Giovanni Jaures, e le parole da lui dette poco prima sulla guerra; tale assassinio e già un atto che implica una responsabilità diretta, non soltanto lontana ma anche immediata, non solo negativa ma anche positiva, dell’alta finanza e del nazionalismo francese nella guerra attuale. Quando adunque voi dite che bisogna sconfiggere “il partito che in quarantacinque anni ha fatto dell’Europa un vasto campo trincerato,” avete perfettamente ragione; ma per essere più chiari—e per evitare lo scorno dei plausi del Figaro e del Corriere della Sera—dovevate aggiungere (ripetendo ciò che qualcuno di voi disse [4] prima che la guerra scoppiasse) che cotesto partito esiste ed ha i suoi centri e le sue reciproche ramificazioni in in ogni paese, ovunque potente e dovunque oggidì vittorioso contro il popolo. Che poi la banda di malfattori di Berlino fosse, nel 1914, più preparata di quelle d’ altre parti, non diminuisce di queste ultime la responsabilità. Forse l’ aumenta, giacche si potrebbe chieder loro che cos’han fatto dei miliardi succhiati al popolo col pretesto della preparazione militare. Ma non insistiamo su ciò, che esorbita dal nostro punto di vista e ci porterebbe fuori del nostro terreno. Del resto la guerra non e un torneo d’armi da sala di scherma, in cui si comincia la lotta sol quando tutti sono pronti! *** III Tutte queste cose si sanno e si sapevano da gran tempo. I fatti che si svolgono sotto i nostri occhi sono stati molte volte, dai nostri avversari e da noi stessi, prospettati come ipotesi assai verosimili; e voi e noi ne abbiamo più volte, nel corso della nostra propaganda, anticipata la interpretazione nel senso più sopra accennato. E’ la interpretazione più realistica, quale scaturisce dalla nostra concezione libertaria e rivoluzionaria della vita e della lotta. La guerra e la naturale conseguenza dell’ordinamento capitalistico e statale della società. Cinquant’anni fa il militarismo e la reazione in Europa erano o sembravano impersonati in Napoleone III, oggi lo e o sembra in Guglielmo II, fra cinquant’anni sarà o sembrerà impersonato nel capo dello Stato più forte di quella delle due coalizioni che vincerà la guerra attuale. Solo con la fine dello sfruttamento padronale e dell’oppressione statale potrà cessare questa altalena del prepotere militare da uno stato all’altro; solo allora non ci sarà più militarismo prussiano o francese e non ci saranno più guerre. “Ah! non avete voluto saperne del socialismo? ebbene avrete la guerra, la guerra di trent’anni, di cinquant’anni!” diceva Herzen dopo il 1848. E noi l’abbiamo; se il cannone cessa un istante di tuonare nel mondo, e per riprender fiato, per ricominciare peggio in un altro punto, mentre la guerra europea—la mischia generale dei popoli—ci minaccia da dieci anni…[5] Uno di voi parlava cosi trentatré anni orson, ed aveva ragione, come l’aveva Herzen. In tutti questi anni la minaccia di guerra non ha cessato che a brevi intervalli di pesare sull’Europa come la spada di Damocle—e voi, finché potevate con serenità giudicare le cose, dicevate quello che noi oggi repetiamo. Finita questa guerra, chiunque vincerà, noi potremo ripetere l’avvertimento di Herzen. La guerra si riprodurrà, rinascerà dalle sue ceneri, se —prima che siano pronte nuove generazioni per nuovi macelli e prima che l’orrore di questa guerra sia obliato— i popoli non saranno divenuti padroni dei propri destini, fondando l’unica pace durevole, possibile sulla giustizia, sulla libertà e sulla uguaglianza. Ma voi che ieri parlavate questo medesimo nostro linguaggio, oggi sembrate aver accettato la stessa interpretazione dei fatti superficiale e retorica, che da venti mesi ci viene imbandita in tutti i loro discorsi dai vari ministri dell’Intesa e dai loro commessi viaggiatori più o meno socialisti, —la medesima, con applicazione diversa, dai ministri austro germanici e dai loro fedeli socialdemocratici scodellata ai sudditi di la del Reno. Cosi voi date la massima importanza a questa distinzione fra guerra di offesa e guerra di difesa, come se tutte le guerre non siano, nel fatto materiale immediato, sempre di offesa da una parte e di difesa dall’altra! Noi abbiamo visto come questa distinzione sia superficiale. Spesso quello che appare aggredito non e che l’aggressore più debole o meno fortunato; spesse quello che appare l’aggressore non e che chi sta per essere aggredito e si difende preventivamente attaccando per primo. Quasi sempre poi ogni stato, tanto l’aggressore che l’aggredito, ha argomenti validi, dal punto di vista dei suoi interessi nazionali, per sostenere d’aver agito per difendersi. In realtà tutti hanno ragione e torto nel tempo stesso, e non v’ e fra loro che una differenza, di misura di più o di meno, su cui non spetta a noi di giudicare—poiché son tutti nostri nemici ugualmente—e se anche volessimo, ce ne mancherebbero gli elementi. Che ne sappiamo infatti noi? La conoscenza dei trattati segreti, dei misteri della diplomazia e della finanza potrebbe rovesciare ogni attuale ipotesi. Prescindendo dalle diverse simpatie e preferenze, riteniamo quindi supremamente erroneo, in contrasto con le ragioni fondamentali delle idee anarchiche e con le necessita prossime e remote della rivoluzione, il farsi guidare nel giudizio e nell’atteggiamento di fronte alla guerra dal criterio semplicista che distingue l’aggressione dalla resistenza, che divide i belligeranti in angioli e demoni e agli uni da tutte le ragioni e agli altri tutti i torti. Se si accettasse il vostro criterio, tutta la nostra propaganda internazionalista ed antistatale di quarant’anni sarebbe sbagliata—poiché in nessuna guerra gli anarchici avrebbero potuto tenere un contegno unico, fraterno, internazionale, visto che ci sarebbe stata sempre una nazione aggredita col governo della quale gli anarchici avrebbero dovuto rendersi solidali. Il criterio vostro odierno e appunto quello sostenuto fino a ieri dai socialisti democratici dei vari paesi, i quali si sono opposti ad ogni idea di sciopero generale in caso di guerra, ad ogni azione concreta comune, proposta prima da noi anarchici e poi dalle loro minoranze più rivoluzionarie appunto perché sostenevano che ogni popolo aggredito doveva pensare prima di tutto a difendersi e che i socialisti avevano il dovere d’associarsi all difesa. Noi abbiamo sempre detto loro che questo era opportunismo, che avrebbe fatto crollare la loro solidarietà internazionale al primo soffio di vento E prevedevamo giusto. Purtroppo i socialisti di alcune nazioni—i Guesde, i Sudekum, i Vanderwelde, gli Adler—all’ atto pratico hanno spinto tale opportunismo assai più in la e più in contraddizione coil loro principi di quel che si prevedesse; ma la loro incoerenza meraviglia assai meno della vostra. *** IV Abbiamo detto già che non ci facciamo alcuna illusione sulle intenzioni pacifiche del governo tedesco; e che, se anche esse fossero tali, non riporremmo in loro alcuna speranza di bene, ne vorremmo occuparcene od immischiarcene. Non c’ e pericolo quindi che noi facciamo—secondo una poco simpatica espressione del vostro manifesto—il giuoco di Bülow e dei suoi agenti, come non vorremmo certo fare il giuoco degli agenti di Briand. I due giuochi si equivarrebbero. Siete voi, piuttosto, che per i primi in mezzo a noi discutete delle ipotetiche condizioni di pace tedesca, prospettate da un giornale svizzero. Noi vi accenniamo soltanto perché ne avete parlato voi; e non abbiamo punto difficoltà a convenire ch’esse sono grottesche e partigiane. Ma se parecchie vostre preoccupazioni in proposito sono comprensibili e giuste, l’errore vostro consiste nel non vedere che la guerra non ve ne libererà, se non per procurarvi altre preoccupazioni altrettanto gravi dal vostro punto di vista. Poiché, anche se vinceranno gli stati per quali voi propendete niuno de problemi più importanti oggi in giuoco (delle nazionalità, del militarismo o disarmo, ecc.) sarà risolto, sia perché la guerra e un mezzo che non risolve le questioni più serie, ma le complica, le inasprisce, le sposta o le rimanda a più tardi per un’altra guerra. Che sotto ogni rapporto gli stessi Stati de quali siete partigiani vi preparino molte delusioni lo dimostrano gli stessi errori nella condotta della guerra, che or non e molto i vari governi si sono reciprocamente rimproverati per mezzo della loro stampa ufficiosa. Le rivalità anglo-russe intorno ai Dardanelli, le animosità italo—greche e specialmente l’imbroglio balcanico culminato nella guerra serbo—bulgara, han rivelato nell’opera dei vari stati un substrato egoistico, affarista e imperialista, che per essere meno brutale non e meno evidente di quello della condotta germanica. Sono istruttive in proposito le dichiarazioni che ogni tanto si scambiano i ministri delle due parti belligeranti. Un ministro tedesco parla a Berlino? subito dopo gli risponde un ministro da Londra! Tutti vogliono dare la pace all’Europa, naturalmente. E’ inutile dimostrate quanto cinica e bugiarda sia la voce che viene da Berlino; tutta la stampa dei nostri paesi e piena della sua confutazione, e del resto su ciò siamo della stessa opinione. Ma voi ascoltate con animo diverso la voce che viene da Londra, che vi seduce benché non si tratti di sirene. Ultimamente il ministro Asquith protestava di voler solo assicurate con la vittoria la tranquillità europea, di voler soltanto debellare il militarismo prussiano, e non attentare all’esistenza nazionale germanica o immischiarsi nell’esercizio del suo lavoro pacifico. Ottimi propositi! ma ecco che il giorno dopo [6] alla Camera dei Lords d’Inghilterra, il [Eyre] Crowe, rispondendo ad una interrogazione, amplia cosi a nome del governo il concetto della guerra al militarismo prussiano: “…che non sia permesso alla Germania in avvenire di continuare la stessa politica commerciale di prima…E’ impossibile far distinzione fra commercio tedesco e militarismo prussiano.” E allora…distruggiamo il commercio tedesco! Che cosa ne dite, o firmatari del manifesto, voi che vi preoccupate che una pace tedesca possa significare soggezione economica? Non e la stessa cosa che si minaccia ai tedeschi con una pace inglese? E’ una nuova guerra che si va preparando in seno alla guerra attuale. Lo dimostrava a Firenze, in una conferenza di cui in Italia s’è molto parlato, lo scrittore inglese Richard Bagot la sera del 12 aprile scorso. Egli fra l’altro ha dimostrato che, dopo la pace, incomincerà la guerra commerciale, che sarà secondo lui la vera guerra—anche quella, si capisce, per la civiltà, la libertà ecc. ecc. Noi non sappiamo quanta considerazione possa meritare il Bagot; ma quel ch’egli dice non sembra punto improbabile, se si osserva il lavorio dei ceti finanziari internazionali, tanto nell’un campo che nell’altro. Già qualche mese addietro s’è parlato di conciliaboli dei pescecani dell’industria e della banca di Germania ed Austria Ungheria; da un po di tempo si organizzano convegni di carattere economico anche per dopo la guerra, di avvoltoi dell’alta finanza inglese, russa, francese ed italiana. Queste mene tenebrose del capitalismo ci sembra debba preoccupare gli anarchici quanto l’aperta violenza del militarismo prussiano. Vediamo invece che voi nel vostro manifesto vi preoccupate piuttosto delle colonie belghe e francesi e della sorte dei diciotto miliardi, che la Francia presto alla Russia per soffocare la rivoluzione del 1905 e per rifornirsi d’armi. Ci pare inverosimile che voi crediate valga la pena di continuare la guerra —cioè profondere in essa, in un con le vite umane, quegli stessi miliardi che temete si perdano— sotto la spinta di preoccupazioni simili, che non hanno alcun rapporto con la causa della civiltà e della libertà! Ma non crediamo nostro compito qui discutere, neppur con voi, le basi d’una pace fra i governi, che i governi concluderanno senza di noi e senza di voi, contro di noi e contro di voi. *** V La vostra asserzione che “il popolo tedesco sostiene il suo governo nelle sue brame di conquista” non significa nulla. Ciò si può dir sempre, per tutti i popoli, per tutti i governi, per tutte le conquiste anche le più ignobili! Voi sapete che le maggioranze, purtroppo — in tutti i paesi, e non soltanto in Germania — si adattano facilmente al fatto compiuto, e sono o sembrano del parere del più forte, di chi ha in mano il comando e la ricchezza — finché le minoranze d’opposizione non riescono a cambiare l’ambiente. Per noi, dunque, sono le minoranze d’avanguardia che contano; e verso di loro che dobbiamo tener rivolto lo sguardo, per giudicare delle tendenze intime e profonde di un popolo. Ad ogni modo, per essere giusti verso il proletariato tedesco [7], non e male ricordare che fino al primo scoppio delle ostilità, — fino cioè a quando lo stato di guerra non soppresse ogni libertà — in tutte le città germaniche si son tenuti centinaia di comizi contro la guerra col consenso ed il concorso di milioni di persone. Poi la voce popolare fu soffocata dalla reazione militare e dalla stampa ingannatrice, con la complicità dei capi socialisti alleatisi al governo; i proletari, costretti ad ubbidire in silenzio, furono spinti al macello. Ciò dimostra ch’essi eran troppo deboli e impotenti ad impedire il delitto del loro governo; dimostra anche l’errore enorme del legalitario e dell’autoritarismo con cui era condotta in passato l’opposizione loro contro la borghesia; ma non basta per farli corresponsabili delle infamie statali. La stessa cosa può dirsi per i proletari di tutte le nazioni in guerra. Dovunque i socialisti autoritari son responsabili, in parte, della passività popolare, per l’educazione legalitaria data alla maggioranza del proletariato organizzato nei partiti e nelle unioni di mestiere. Non fa eccezione neppure la Francia, ove la Confederazione del lavoro si era orientata ultimamente verso un corporativismo assai riformista, che qualcuno di voi non manco a suo tempo di notare e lamentare. Dovunque perciò gli Stati sembra abbiano il consenso dei loro popoli in tutti i loro atti anche pessimi, finché la voce popolare non torna a farsi sentire per bocca delle risorgenti minoranze d’opposizione. Questa voce s’è levata già in ogni nazione, in Germania come nei vostri paesi. Voi sapete già che gli anarchici tedeschi sono sempre rimasti contro lo guerra ed i suoi autori, e che la loro opposizione—resa nota in un manifesto pubblicato molto tempo fa—non ha potuto esplicarsi, solo a causa della loro scarsità numerica e delle persecuzioni poliziesche per cui tutta la loro stampa fu soppressa e molti compagni imprigionati; cosi sapete pure che molti compagni imprigionati; così sapete pure che molti di essi sonosi rifugiati in Svizzera e in Danimarca per non andare alla guerra. [8] La stessa cosa all’incirca può dirsi per sindacalisti rivoluzionari dell’Unione Libera dei Sindacati tedeschi. Purtroppo gli uni e gli altri costituiscono una minoranza troppo debole per influire sui fatti, ma noi anarchici abbiamo il dovere di non dimenticarli. Cosi non dobbiamo dimenticare la condotta di Carlo Liebknecht, ne dissimularcene, malgrado il nostro antiparlamentarismo, l’importanza e la sincerità. Un significato diverso ha l’opposizione parlamentare della minoranza dei deputati social-democratici tedeschi che s’è venuta creando da circa dieci mesi. Noi sappiamo, oggi, che un terzo circa dei centodieci deputati socialisti sono contrari al governo, benché soltanto una ventina abbiano osato staccasi dalla maggioranza, rompere la cosiddetta disciplina e passare all’opposizione. Non vogliamo discutere la loro buona fede ma non dobbiamo neppure dimenticare l’ essenza elettorale del loro socialismo. Se l’opportunismo parlamentarista li piego a votare per la guerra il 4 agosto 1914 o a tacere il proprio dissenso, e certo che la loro opposizione odierna si deve sopratutto allo sviluppo dello spirito d’opposizione tra quelle masse da cui derivano i loro mandati. Infatti sappiamo che in parecchie città tedesche delle assemblee socialiste hanno approvato il loro contegno, come altre assemblee approvarono il contegno di Liebknecht. E’ questa parte di popolo che fu rappresentata dai delegati tedeschi alla Conferenza Socialista Internazionale di Zimmerwald, nel settembre dell’anno scorso. Voi avete torto dunque di dire che cola mancasse una rappresentanza di lavoratori tedeschi e di lasciar capire che tutta l’opposizione di questi si riduca a qualche tumulto per rincaro dei viveri. A Zimmerwald dei rappresentanti di operai tedeschi hanno dichiarato di volere proprio ciò che voi credete ch’essi non vogliano: una pace senza annessioni, senza indennità di guerra, senza asservimenti economici. [9] Vedete dunque che, contrariamente a quel che dite voi, non mancano i sintomi di risveglio in mezzo al popolo tedesco. Voi obiettate che la maggioranza dei social-democratici e degli operai organizzati tedeschi—malgrado tutto quel ch’abbiam detto—sta col suo governo. Ciò significa che avevamo ragione noi e voi, in passato, a crollar le spalle quando ci si vantavano i milioni e milioni di organizzati e votanti socialisti tedeschi. Ora abbiamo la prova di quel che dicevamo noi un tempo: ch’essi non erano, nella maggior parte socialisti, ma solo degli irreggimentati per l’unico fine dell’utilità materiale immediata. La guerra li ha ricacciati tra la maggioranza passiva della popolazione, che vota, ubbidisce e paga. I David, i [Carl] Legien, i [Albert] Sudekum sono i loro degni pastori…per ora. Perché non e detto che anche questa massa incosciente non possa, sotto la sferza degli avvenimenti, ingrossare a poco a poco l’opposizione e cambiarla in rivoluzione. E’ la speranza vostra—e la nostra! Ma, tra lo scatenamento degli odi nazionali causato da questa guerra, il vostro linguaggio non e certo il più adatto per farvi ascoltare dai lavoratori tedeschi, cue pure vi rivolgete coi vostro manifesto. Anzitutto esso assomiglia troppo al linguaggio dei vostri connazionali patriotti; e voi capirete che, patriottismo per patriottismo, gli operai tedeschi preferiranno dar retta a quello di casa propria. Un danno invece che un vantaggio! Forse ciò non era nella vostra intenzione; ma quale fosse il tono del vostro manifesto ve l’han detto i vostri adulatori del giornalismo nazionalista e conservatore. È bensì vero che una rivoluzione potrebb’essere in Germania provocata dai dolori e dai mali d’una sconfitta; ma se voi vi mettete accanto a coloro che questi mali e dolori arrecheranno al popolo tedesco come possono essere da lui ascoltate le parole vostre incitanti all’opposizione o alla rivolta? Il vostro atteggiamento partigiano lungi dal favorire in Germania lo sviluppo dell’opposizione, può metter questa in imbarazzo ed esserle d’ostacolo, come nuocerebbe alla nostra causa un incoraggiamento alla resistenza contro i governi dell’intensa venuto da quei socialisti patriotti tedeschi che di continuo fanno voti—con un linguaggio assai simile al vostro—per la sconfitta francese, russa o inglese. Tanto meno poi, col vostro sistema, potrete facilitare ai lavoratori tedeschi il farsi ascoltare dai propri governanti—anche se quest’ultima vostra ipotesi non fosse, come ci sembra, assai poco ammissibile. Insomma, i consigli che voi—un po’ dall’alto, come i profeti del popolo eletto al popolo idolatra di biblica memoria—date ai lavoratori tedeschi, possono essere buoni in se, ma hanno il torto di non esser dati sopra un piede d’uguaglianza. Per dir loro con efficacia di combattere il proprio governo bisogna che non vi rendiate solidali col vostro. Dovreste invece rivolgervi ai nostri compagni anarchici, rimasti cola fedeli alle nostre idee; dovreste rivolgervi alle minoranze d’opposizione, che hanno la possibilità di trascinare prima o poi le masse in mezzo a cui vivono, ma non fingendo d’ignorarle o cercando di sminuirne l’importanza, sibbene prendendo atto lealmente delle loro intenzioni e delle loro idee, e rendendovi conto delle difficoltà in cui si dibattono. Inoltre, le infamie inaudite commesse dal governo tedesco coi suoi eserciti, non vi facciano dimenticare quelle degli altri governi, e che questi avrebbero fatto altrettanto se fossero riusciti a battersi in territorio nemico, se avessero dal nemico intercettate le vie del mare, ecc. Basta ricordare le guerre passate, tutte, per persuadersi che le convenzioni sancite dagli Stati in tempo di pace sono una stupida ipocrisia; in tempo di guerra solo i deboli le invocano, mentre i più forti le calpestano o le rispettano appena entro i limiti del proprio tornaconto. Quante volte non l’abbiamo detto, in passato, mettendo in ridicolo i congressi interstatali, pacifisti e umanitari? Che tutti gli Stati abbiano la stessa capacità a delinquere e che solo le circostanze esteriori possano far sembrare gli uni meno force degli altri, lo prova il ricordo delle guerre civili (Parigi, rammenta il tuo 1848 ed il tuo 1871!), lo prova per questa guerra il ricordo dell’invasione russa in Prussia e in Galizia, lo prova specialmente tutta la storia delle guerre coloniali, nelle quali ogni Stato senza eccezione ha fatto orrendo strazio dell’umanità e della civiltà. Potete star certi che se nel Congo, nel Madagascar, in Tripolitania, ecc. non si sono distrutte delle cattedrali o delle università, come a Reims e a Lovanio, e solo perché non ce n’ erano! *** VI Perché noi pensiamo e diciamo tutto questo—tutto quello, cioè, che abbiamo detto per quaranta anni,—la diffamazione giornalistica borghese ci denunzia come partigiani dei tedeschi. Malgrado la intenzione calunniosa, ciò ci lascia indifferenti, come un ateo può restare indifferente se qualche beghina pensa d’offenderlo chiamandolo ebreo o amico degli ebrei. A voi possiamo pero aprire l’animo nostro e dire che invece la guerra suscito in noi sentimenti assai simili ai vostri. Tutti, quando la violenza bruta germanica stava nel 1914 per giungere a Parigi, avemmo un momento d’ansiosa trepidazione. Anche trascurando altri elementi più o meno inconsci che potevano agire in noi, la prepotenza stessa dell’invasione e gli orrori commessi nel Belgio e nel nord della Francia bastavano a farci odiare in quel momento, più di tutto, il mostro militarista prussiano. Tale stato d’animo non contrastava affatto con le nostre convinzioni ideali—di noi che in passato non lesinammo mai la nostra simpatia alle nazionalità oppresse e spesso denunciammo il pericolo militarista costituito dalle istituzioni politiche della Germania. Ma subito ci accorgemmo come il sentimento naturale e spontaneo dei più fosse ad arte sfruttato dai nemici della rivoluzione e della libertà, per deviarlo verso fini diametralmente opposti. Perfino in parecchi socialisti, sindacalisti ed anarchici, tale sentimento, esasperato ed eccitato, e giunto a sostituire l’impressione viva ma superficiale del momento alla visione sintetica della realtà. Esso faceva loro dimenticare il passato e trascurare l’avvenire, degenerando in conclusioni contrastanti con tutta la nostra propaganda passata e col fondamento stesso delle nostre idealità rivoluzionarie e libertarie. Gli uni, scordando Bakounine e Marx, invocavano Vittor Hugo e Mazzini per riabilitare l’idea di patria; gli altri separavano e subordinavano la questione sociale a quella nazionale, preoccupandosi dell’Alsazia e Lorena, di Trento e Trieste, ecc. Qualcuno, almeno in Italia, giungeva ad aderire ai propositi espansionisti della borghesia. C’era che chiamava l’attuale una guerra di liberazione, che addirittura una guerra rivoluzionaria! Parecchi partigiani della guerra soffiavano con rabbia negli odi nazionali e di razza, che fino a pochi mesi prima deploravano. E nei paesi neutrali ci sono stati di quelli che si sono assunta la triste responsabilità di spingere essi stessi il proprio governo alla guerra! Non sappiamo se voi approvate l’opera e condividete le idee di tutti costoro, che pure si fregiano dei vostri nomi e si vantano della vostra solidarietà nella loro propaganda. Amiamo credere di no. Ma voi dovete comprendere che non potevamo tacere di fronte a tutto ciò. Col pretesto del Belgio o della Francia, sotto il manto d’un sentimento nobile e comune a tutti, abbiamo visto che si andava creando dovunque uno stato di cose e di animi del tutto reazionario, militarista, tirannico. Voi stessi vi contribuite, malgrado ogni vostra intenzione contraria, con un atteggiamento che vi pone automaticamente a fianco di quasi tutti i nostri nemici e vi allontana dalla maggior parte dei compagni di tutto il mondo. Di qui l’assoluta necessita—senza smentire ne attenuare il nostro sentimento primitivo—di reagire contro le deviazioni ed esagerazioni di questo sentimento. Il fatto che anche uomini come voi abbiano potuto essere trascinati fuori di strada ci ha fatto sentire, insieme ad un profondo dolore, più forte il bisogno di far argine a tendenze che minacciano di compromettere l’avvenire e travolgere le nostre idee. Tale minaccia non e meno pericolosa di quella del militarismo prussiano. Osservate intorno a voi come ogni forma di reazione spirituale e di dispotismo rinasce e si rafforza a causa della guerra, e ricordate che nessuna schiavitù e più duratura e tenace di quella che e sostenuta da un più o meno tacito consentimento dei sudditi. Ma, potrebbe dirci qualcuno di voi, per non tollerare i danni morali e le forme dispotiche dello stato di guerra, dovevamo consentire a lasciarci opprimere e massacrare dagli ulani del Kaiser? Siamo in grado di rispondervi con le vostre parole di altri tempi, quando ad una medesima obiezione dei giornalisti borghesi voi opponevate un programma assai chiara: Cominciare la rivoluzione e difenderne il territorio per continuarla. Fare la rivoluzione e correre alle frontiere. Prendere il fucile, MA NON COME SOLDATI DELLA BORGHESIA, sibbene come soldati della rivoluzione [10]…Aprire, SOTTO PENA D’IRRIMEDIABILE DECADIMENTO, una situazione rivoluzionaria contro l’alta finanza [11]…Essere audaci e MOSTRARE AL POPOLO CHE INGAGGIANDO LA GUERRA A PROFITTO E SOTTO LA DIREZIONE D’UNA OLIGARCHIA SI VA INCONTRO A NUOVI DISASTRI…una epurazione rapida, alcune grandi misure sociali decise ed applicate di primo slancio, e nel tempo stesso continuare l’organizzazione della difesa, la situazione cambia aspetto; e il preludio della rivoluzione sociale. [12] *** VII Purtroppo, ciò non e stato possibile, perché lo Stato e risultato più forte in ogni dove—in Germania come in Francia, nel Belgio come in Italia, in Russia come in Austria—e perché i rivoluzionari ancora una volta furono sorpresi dagli avvenimenti con delle ottime idee nel cervello ma senza alcuna preparazione pratica e materiale. Ma il non poter fare una cosa non significa giustificare e fare proprio tutto il contrario!…Del resto oggi a fatti compiuti, si può dire quel che non era bene dir prima,—quando ciò poteva sembrare una scappatoia per esimersi dall’agire, o un motivo di scoraggiamento per deprimere l’altrui spirito d’iniziativa—che l’occasione d’una guerra, pur non escludendo che si debba tentar di profittarne malgrado le circostanze sfavorevoli, e la peggiore che si possa immaginare per fare una insurrezione vittoriosa. [13] Voi stessi dite nel manifesto che “avreste preferito che la popolazione avesse rivendicata a se stessa la cura di difendersi; ma ciò essendo stato impossibile, non rimaneva che subire quel che non poteva essere cambiato.” E infatti, se, sconfitti sul terreno nostro rivoluzionario e libertario, vi foste limitati a “subire” gli avvenimenti, noi non avremmo oggi nulla da dire. Ma voi avete non solo “subito,” sibbene anche accettato il fatto compiuto fino alla collaborazione coi nostri nemici in un’opera giornalistica, che in qualche luogo come l’Italia ha contribuito non poco a impedire che avvenisse proprio ciò che un tempo voi preconizzavate. Oggi non vi curate più del fatto che quelli che si battono sono soldati delle borghesia e non della rivoluzione; e avete dichiarato senz’altro d’essere con loro. Rovesciando come un guanto la spiegazione delle cause delle guerre che davate fino a due anni fa, avete preso partito per dei belligeranti che si difendono sotto la direzione e a profitto d’una oligarchia: cosa che una volta prevedevate disastrosa e cagione d’ irrimediabile decadimento per noi. Siete giunti fino alla pubblicazione dell’ultimo manifesto, il quale (a parte gli errori che abbiamo tentato di confutare) dice soltanto quello che ai nostri nemici fa piacere e li difende non tanto contro i nemici esterni, quanto contro l’ opposizione socialista e libertaria che si delinea all’interno. Ciò, forse, e contro la vostra intenzione; poiché voi credete d’usare semplicemente del vostro diritto di dire il vostro pensiero. Nessuno vi nega questo diritto; noi possiamo tutt’al più lamentare di non poterne usare nella stessa misure, sol perché pensiamo diversamente. Infatti, in Italia come in Francia, la censura ci impedisce di confutare alla luce del sole le idee vostre con le nostre—come ci ha impedito di confutare il vostro manifesto. Il che dimostra assai chiaramente che l’atteggiamento, di cui il vostro manifesto e l’espressione, non e quello di chi soltanto subisce ma quello di che si adatta fino ad una vera e propria collaborazione. Moltissimi dei nostri sono stati costretti dalla violenza statale e dalle circostanze ad agire contrariamente alle proprie idee…Tutto ciò e umano; essi hanno subito gli effetti della nostra sconfitta. Noi non ci permettiamo quindi di elevarci a loro censori perché sono stati spinti per forza nella mischia come soldati dello Stato. Per costoro, e sono la maggioranza,—potremmo es servi compresi da un momento all’altro anche noi,—che si battono negli eserciti regolari, sappiamo spiegarci benissimo come subiscano una situazione non voluta ed a cui non potevano sottrarsi. Ma spiegare la loro condotta, dimostrare magari che non erano in grado di agire diversamente, non implica una solidarietà da parte nostra come anarchici e come rivoluzionari. Anche in tempo di pace dei compagni vanno soldati, e nessuno li accusa se non hanno modo di fare altrimenti; ma nessuno si sogna neppure di rendersi solidale con essi. Noi non possiamo dire—come dite voi—di essere “con quelli che si battono” dal momento che costoro non sono padroni delle proprie azioni e si battono sotto gli ordini di gente che sappiamo nemica, ancor più che dei tedeschi, del proletariato e delle nostre idee d’uguaglianza e di libertà. *** VIII Confessiamo piuttosto che dovunque in Europa siamo stati vinti prima di combattere e costretti a subire la legge del vincitore, ad agire contro le nostre più care convinzioni, a dare il nostro sangue per una causa altrui; ma non vantiamoci di questa nostra azione coatta e contraddittoria quasi fosse anarchica, non cerchiamo per illuderci di cambiare il fratricidio, cui partecipiamo, per la difesa della libertà dei popoli! La retorica ministeriale inglese specula sull’orrore provato da tutti noi per le infamie tedesche nel Belgio, onde incitare alla guerra ad oltranza. Ma se la guerra ad oltranza vittoriosa può appagare in seguito il desiderio di compensi territoriali e finanziari del governo e della borghesia belga, e per lo meno dubbio che l’infelice popolazione non preferisca che la pace si faccia e lo sgombro del paese si ottenga prima che i liberatori franco-inglesi inizino l’avanzata che palmo a palmo dovrà distruggere per necessita di guerra tutto quello che non ha distrutto ancora l’esercito tedesco. Quest’ultima ipotesi, prospettata anche da un uomo politico inglese, non e purtroppo inverosimile, dato il sistema di guerra ormai invalso ed il fatto che il comando germanico ha trasformato il Belgio in un vasto campo trincerato. Su per giù le stesse considerazioni potrebbero esser fatte per tutti i territori che l’uno Stato o l’altro pretende di “liberare”. E noi vi accenniamo, non per farci avvocati presso i governi, che non ci darebbero retta e dai quali non c’è niente di buono da sperare, di una soluzione piuttosto che di un’altra—ma semplicemente per mostrare come il loro linguaggio sia iperbolico e come i loro scopi non coincidano mai con gli interessi e le aspirazioni popolari. Ciò si può dire anche per quel che riguarda le questioni nazionali. S’invoca infatti assai male a proposito oggi la nostra simpatia per le nazionalità oppresse. A parte che in tempo di guerra ogni territorio su cui la guerra si svolge può esser considerato oppresso, sta di fatto che nella guerra attuale nessuna delle due coalizioni in lotta, può dire di volere la liberazione delle nazionalità perché da una parte e dall’altra vi sono. Stati che opprimono ferocemente delle terre di nazionalità diversa dalla loro. D’altra parte la questione, che in molti casi e una controversa questione di confini e modernamente superata, (ad eccezione forse che in Russia) in quanto le rivendicazioni nazionali sono state assorbite dalle rivendicazioni sociali e si confondono con esse [14]. Le libertà nazionali non possono quindi essere rivendicate che insieme a tutte le altre libertà degli individui e dei gruppi, dalla rivoluzione sociale e non per mezzo delle guerre statali. Allo stesso modo le questioni di confini—dovute tanto a ragioni militari e a rivalità statali, quanto alla difficoltà di stabilire un confine preciso dove razze, costumi e lingue si confondono e si incrociano—non potranno esser risolte che dall’intervento diretto dei popoli che renda inutile ogni barriera artificiale, con la soppressione rivoluzionaria dell’autorità statale e dello sfruttamento padronale. Si dice, quando parliamo cosi, che siamo utopisti—come se non fosse assai più utopistico aspettarsi una azione liberatrice dallo Stato borghese cosi utiliatario e tirannico! come se non fosse assai più utopistico, per odio al militarism germanico (odio che noi condividiamo), affidare la funzione di liberarcene, al militarismo franco-russo! Come se non si capisse anche troppo bene che quest’ultimo non riuscirà a schiacciare quello, se non diventando più forte di lui e creando in conseguenza per l’avvenire un pericolo nuovo altrettanto minaccioso che l’antico. Ah! sappiamo bene che questa nostra ferma persuasione, che solo l’azione popolare diretta e rivoluzionaria, può risolvere tutte queste questioni, e scambiata fra che non ci conosce per indifferenza di fronte a tanti strazi, a tante libertà manomesse, a tante minacce per l’avvenire! E non e invece in noi che una maggiore angoscia, non solo perché vediamo altrettante infamie e dolori anche nel campo degli Alleati, ma anche e sopratutto perché non abbiamo neppure il conforto—ingannevole e pericoloso, sia pure—che avete voi, di sperare dalla vittoria degli uni piuttosto che degli altri un bene qualsiasi. Certo noi sentiamo la nostra attuale impotenza assai più di voi, che basate le vostre speranze sugli sforzi di quattro potenti eserciti armati; mentre noi non vediamo altra salvezza che nell’azione di un popolo ancora schiavo, diviso e disarmato… Eppure crediamo d’aver ragione noi, non solo dal punto di vista d’una formale coerenza con le dottrine dell’anarchia, ma specialmente sul terreno della realtà. Crediamo, ad ogni modo, più pericolose per l’avvenire e per la libertà, più debilitanti per il popolo, le vostre illusioni che il nostro passato, dire alla massa popolare: Salvati! solo con le tue forze, solo per opera tua potrai salvarti, e salvare con te l’umanità! *** IX Il nostro pero non e un pessimismo assoluto, sibbene soltanto relativo all’opera dei governi ed ai loro propositi. Ma non escludiamo punto che da tanto male non possa scaturire un motivo e un principio di bene, indipendentemente dalla volontà dei governanti. Gli avvenimenti attuali sono cosi nuovi nella storia e cosi vasti, che anche l’impreveduto potrebbe rappresentarvi una parte importante. Persuasi come siamo che la libertà vera e vano sperare dai governi, ci sembra inutile anche il fare auguri per gli uni o per altri. Ma, dovendo scegliere una linea di condotta nostra senza fare assegnamento sui nemici nostri e senza far calcoli inutili sull’imprevisto, ci pare sia nostro compito regolarci sui fatti conosciuti, su quella che crediamo la verità, per camminare al lume delle nostre idee per la via che ci siamo tracciata quando abbracciammo l’idea anarchica. Restiamo fedeli a noi stessi e alla nostra bandiera. Dalla guerra europea e dal suo prolungarsi, oppure da una pace affrettata, possono sorgere circostanze che potrebbero anch’essere sfruttare utilmente nel senso nostro. Ma perché ciò sia possibile il più importante e non accodarsi a questa o quella coalizione statale, come han fatto tanti socialisti e come avete fatto voi, ma cercare di tener desto lo spirito di opposizione socialista e libertaria in ciascun luogo, tenere più che si può desta la coscienza proletaria e l’amore alla libertà, reagire contro gli odi nazionali e di razza, ostacolare ogni tendenza alla solidarietà fra sfruttatori e sfruttati, difendere le vittime oggi più numerose della reazione civile e militare, ed infine star pronti ed incitar gli altri a prepararsi per profittare degli eventi in qualunque senso si svolgano o precipitino. Questa ci sembra dovesse essere la funzione propria degli anarchici; su questa direttiva dovesse porsi la loro specifica azione di parte, indipendentemente da ciò che ciascun individuo poteva esser costretto a fare personalmente in senso diverso, preso negli ingranaggi di avvenimenti non voluti da lui. Il linguaggio anarchico, quando degli anarchici avessero creduto bene parlare al pubblico, avrebbe dovuto essere improntato a questo indirizzo, in modo da confortare e ravvivare la nostra fede dovunque la sua parola potesse giungere, in modo da rispondere al sentimento intimo e profondo dei compagni di tutti i paesi. Avrebbe dovuto essere, cioè, specialmente nell’ora tragica che attraversiamo, un linguaggio esclusivamente anarchico, rivoluzionario, internazionalista, che non ci dividesse ma ci stringesse in più tenace fascio di cuori e di volontà. Voi invece avete preferito dividervi, differenziarvi. Niuno ve ne contesta il diritto; ma non potete immaginare il danno che ci avete fatto. Quasi nullo, almeno da noi, e stato l’effetto pratico delle vostre parole, in quanto le nostre file non si sono diradate e pochissimi individui vi imitarono. Ma in cambio avete ferito profondamente molti cuori che vi amavano, avete gettato l’amarezza e un motivo di scetticismo fra i più umili e i più fervidi nostri compagni; avete dato ai peggiori e più insidiosi nostri avversari un’arma di più per colpirci, tutta l’apparenza della vostra solidarietà in una campagna di vituperi e di calunnie contro di noi che dura da venti mesi. Ogni volta che abbiamo tentato di difenderci e di ragionare, ci sono stati gettati in faccia come un rimprovero, quasi come un oltraggio, i vostri nomi. Voi non ne avete colpa, forse…; ma ciò e una conseguenza del vostro atteggiamento, che se pure qualche risultato pratico ha avuto, e stato proprio quello da voi non desiderato. Poiché, ammessa per un momento l’ipotesi assurda che possiate aver ragione, credete che gli eserciti degli Stati da voi difesi vinceranno o perderanno di meno, sol perché la nostra piccola minoranza di anarchici la pensa piuttosto a un modo che in un altro? La guerra la fanno i governi e la organizzano gli Stati Maggiori; lo stato di guerra assomma nelle loro mani tutti i poteri, e la loro azione sfugge ad ogni nostro controllo ed anche a quella lontana ed indiretta influenza che potremmo esercitare in tempi normali con la propaganda. Noi non sappiamo della condotta della guerra che poco e a fatti compiuti; non sappiamo la verità neppure sugli avvenimenti più importanti che si abbia interesse a nasconderci. Noi stessi che si voglia o no, dobbiamo andare soldati se la nostra eta lo consente, dal primo all’ultimo! Non siamo padroni di noi stessi, non possiamo dire tutto quel che pensiamo; la diplomazia opera nel segreto, e fara la la pace o continuerà la guerra del tutto indipendentemente da noi, senza curarsi neppure della nostra esistenza e di quel che possiamo pensare. Ebbene, l’intervenire, il dire “ci siamo anche noi!” non vi pare che equivalga all’atto della mosca che, posatasi sulla testa di un bue attaccato all’aratro dicesse pomposamente “ariamo”? Perché rinunciare alla nostra funzione di minoranza—che e una funzione di opposizione—per sposare il punto di vista dei governi, se il farlo danneggia noi soli e la nostra causa? se il farlo danneggia e compromette l’avvenire senza modificare il presente? se, cioè, rafforza i governi soltanto contro i popoli loro soggetti? *** X Si dice di voler con ciò ottenere il meno peggiore dei risultati dall’odierno conflitto. Senza tener conto della nostra impotenza…militare e diplomatica, dobbiamo pensare che anche il “meno peggio” e la cosa più orribile nella tragedia attuale, e che le sue conseguenze saranno lo stesso un enorme cumulo di dolori per il domani. E noi, nell’interesse, della nostra causa, abbiamo bisogno di poterci presentare domani al popolo scevri, come anarchici, di qualsiasi responsabilità morale per risultati dolorosi della guerra. Sarebbe assai strano che dopo aver per quarant’anni evitato ogni contatto che non fosse ostilità coi pubblici poteri, fidassimo in questi proprio quando la loro autorità e più assoluta e arbitraria; che accedessimo al criterio riformista del meno peggio, proprio in una circostanza in cui nulla v’e di più incerto di quale effettivamente sia la soluzione meno disastrosa—mentre di sicuro si sa soltanto che enormi sacrifici tale soluzione costerà al proletariato. Voi fra queste due soluzioni—una pace immediata o la prosecuzione della guerra—vi siete fatti banditori della seconda. Se ciò e perché volete la liberazione delle nazionalità oppresse o la fine del militarismo, vi abbiamo già detto che vi illudete. Ma voi non vi siete ancora accorti che in questa corsa alla morte di tutta Europa, la probabilità maggiore e che nessuna delle coalizioni in lotta riuscirà a schiacciare l’avversaria, che non vi saranno ne vinti ne vincitori in modo definitivo? Possiamo sbagliarci, naturalmente; ma l’errore probabile nostro e senza conseguenze, perché noi non facciamo dipendere il nostro atteggiamento dalle previsioni sul seguito e sulla fine della guerra. Al vostro manifesto per la prosecuzione della guerra noi non rispondiamo con una dichiarazione per la pace immediata, appunto perché non ci vogliamo render complici dei governi neppure—lo abbiamo detto già—in un’opera di pace, la quale, immediata o meno, sancirebbe indubbiamente altre infamie ed altre prepotenze. Il nostro atteggiamento, che non ha niente di comune col pacifismo della filantropia borghese e si differenzia nettamente dal neutralismo dei socialisti autoritari—noi non siamo neutralisti, ma ostili all’una e all’altra alleanza di Stati—e del tutto indipendente dalle due soluzioni, in quanto vuol restare sul terreno dell’azione rivoluzionaria e libertaria contro la borghesia statale, tanto se prosegue la guerra quanto se si conclude la pace. E la nostra forza morale, questo tenerci afferrati con tutta la tenacia della nostra volontà alla nostra intransigente bandiera, per non farci travolgere. Si dirà che ciò ha scarsi risultati pratici; può darsi. Ma mentre materialmente siamo stati vinti dai fatti e legati come schiavi al carro dello stato marziale, la nostra non può essere che una forza morale. Solo serbando questa forza possiamo sperare in una rivincita futura più o meno prossima. Saremmo sconfitti doppiamente se alla nostra adesione materiale forzata alla politica sanguinosa statale, aggiungessimo una qualsiasi adesione morale! Ecco perché il vostro manifesto ci ha addolorati. Esso ci e apparso come una defezione di una parte di noi—una piccola parte, e vero, ma che di fronte al nemico appare assai maggiore e ci faceva quindi più pregiudizio. Voi,—per il vostro nome, per vostro passato, per le vostre opere, per l’affetto di tutti i compagni per voi, per il rispetto di cui eravate circondati dagli avversari,—vostro malgrado e nostro malgrado apparivate agli occhi del publico, nell’assenza di ogni nostra organizzazione stabile, quasi come i rappresentanti della nostra idea e della nostra collettività militante. [15] Non eravate certo obbligati per questo a tacere il vostro pensiero diverso dal nostro; pure il vostro prestigio accresce la vostra responsabilità dinanzi all’avvenire. Pensate alle terribili conseguenze di questa interminabile guerra d’esaurimento, che lascerà esausti vinti e vincitori, e pensate agli unici e veri sconfitti, i proletari di tutti i paesi! Quale cosa triste che i rimasti, i mutilati, le vedove e le madri abbiano allora il diritto di dire “Tre mesi, sei mesi, un anno fa, qualcuno proponeva di smettere; e fra quelli che hanno detto di no c’eran anche degli anarchici!” Ma siete voi forse ancora degli anarchici? Lo ignoriamo. Certo il vostro odierno linguaggio borghese e statale e la negazione più stridente dell’anarchismo. *** XI Non crediate che si voglia fare da noi del sentimentalismo, per ottenere dal cuore vostro o da chi ci legge quel consenso che ci sarebbe negato dalla ragione. Noi abbiamo cercato fin qui sopratutto di ragionare, facendo forza a noi stessi quando, più che l’arido argomento dal nostro animo avrebbe voluto sgorgare la protesta. Sona piuttosto i nostri avversari che, quasi tutti e quasi sempre, sfuggono la discussione. Gli uni vuoti di idee e argomenti, preferiscono supporre in mala fede tutti quelli che non la pensano come loro, e riempiono i giornali di facili ironie e sarcasmi, di trovate spiritose, d’insinuazioni, di bugie, di oltraggi e diffamazioni. Di loro non ci curiamo. Ma ci sono altri, i sinceri e buoni, che si rifiutano di ragionare solo perché la passione in essi offusca l’intelletto, e dei fatti non scorgono che certi particolari e frammenti, che più li commuovono e rendono superficiale e ingiusto il loro giudizio. Gli uni e gli altri, poi, vedono facilitata la loro propaganda sia dalla interessata parzialità dei governi, sia dalla predisposizione di un ambiente guastato dalla facile e falsa coltura giornalistica di cui si alimentano le maggioranze nei nostri paesi. Da parte loro non potrebbe dunque venire in alcun modo a noi l’accusa di “fare del sentimentalismo”. Potremmo loro rispondere: Medico, cura te stesso! Ma diciamo di più; diciamo che, dopo avere col ragionamento, sulla base dei fatti, con le adire nostre per guida, discusso la questione che ci interessa e dimostrato che data la guerra attuale per opera dei governi niun bene può venire e nessuna diminuzione di male, e che se qualche speranza rimane alla causa del lavoro e della libertà essa riposa esclusivamente o nell’impreveduto o nell’impreveduto o nell’intervento diretto e autonomo della classe operaia,—abbiamo il diritto di far udire anche la voce del sentimento. Abbiamo diritto di chiedere che nella bilancia delle responsabilità, nella valutazione del pro e contro la guerra, si faccia pesare per qualche cosa tutto il sangue che si versa, tutto il dolore che si genera, tutte le vite che si mutilano, tutte le lacrime che nel silenzio forzato si versano dalle spose, dalle madri e dalle figlie delle vittime! Noi siamo rivoluzionari, e quindi non dobbiamo arretrarci dinanzi alla visione del rischio e del sacrificio. Sappiamo anche noi che per una causa buona si deve combattere senza lasciarsi indebolire dal dolore che la lotta genera fra i nostri cari. Ma qui non vediamo alcuna buona causa in giuoco; anzi, la buona causa e danneggiata. Del sangue dei lavoratori e delle lacrime delle loro donne si dispone contro la loro volontà, a danno della loro libertà e dei loro interessi di classe. Abbiamo adunque il diritto di levare il nostro grido di protesta, che e il grido della umanità, straziata nelle carni de’ suoi figli e nelle sue speranze d’avvenire. Pensate che la formula della guerra fino alla vittoria, della guerra fino al raggiungimento dello scopo—quale scopo? siete certi voi stessi di ciò che potete ragionevolmente sperare?—questa corsa dietro una meta che s’allontana sempre, potrebbe significare pei governi, tanto degli imperi centrali che dell’intesa, l’unico mezzo di sfuggire alle terribili responsabilità che si sono create? Forse essi han già compreso che abisso si sono scavato davanti, e cercano evitarlo proseguendo la guerra finché questa non li abbia sbarazzati della parte più giovane e più forte del proletariato. Si risparmiano cosi di “cavar sangue” al popolo più tardi nelle prevedibili repressioni, delle quali del resto non sanno se l’esito potrebbe esser cosi sicuro come nel passato. Proseguire la guerra può insomma significare per gli Stati allontanare il giorno del redde rationem e profittare della forza che hanno in mano per liberarsi dei giudici di domani. E voi osate parlare di errore disastroso, a proposito delle voci di pace! Ma quale errore più disastroso del vostro—possiamo dirvelo, noi che pace ai governi non chiediamo,—quale più pazzo errore di quel che commettete voi, difendendo la politica della continuazione della guerra? Voi parlate con compiacenza della primavera, in cui i governi da voi difesi possono adoperare nuovi eserciti, nuove munizioni, nuove e più potenti artiglierie! Ma non pensate alla primavera della vita stroncata ne’ suoi germogli più belli? Non pensate che degli anarchici ad altri avrebbero dovuto lasciare il compito da voi assunto, per serbarsi il diritto di riparlare un giorno di libertà e di amore, di umanità, di giustizia e di fratellanza? Noi oggi vi comprendiamo cosi poco, che non escludiamo vi siate allontanati definitivamente da noi per aver cambiato del tutto di idee. Se cosi e, non tarderà molto che voi stessi ve ne renderete conto e lo direte apertamente, nella vostra lealtà. Ma se cosi non e, con la medesima lealtà forse un giorno ci ringrazierete di avervi oggi contradetti, di avervi impedito di spaurare all’anarchia le vie dell’avvenire. Italia, aprile 1916 UN GRUPPO DI ANARCHICI [1] In Italia tutta la stampa reazionaria, dal Giornale d’ Italia di Roma al Corriere della Sera di Milano han fatto grandi elogi del manifesto parigino. Quelli democratici, poi, se ne son serviti, per dir male degli anarchici italiani nel modo più stupido. Sappiamo che anche in Francia e avvenuta la stessa cosa [2] P. Kropothine — *La science moderne et l’anarchie* [3] La Vie Ouvrière, revue, Parigi. — Articoli “La guerra anglo-allemande vue de Hollande” di Domela Nieuwenhuis (5 Iuglio 1911). — “L’approche de la guerre” di Merrheim (5 e 20 gennaio e 5 e 20 febbraio 1911. — Opuscolo “La guerre qui vient” di Delaisi (Edit. “La guerre sociale” — Parigi) [4] P. Kropotkin — *“La science moderne at l’anarchie”* — Oggi esiste in ogni Stato una classe, o meglio una cricca, infinitamente più forte degli industriali, la quale, anch’essa, spinge alla guerra. E l’alta finanza, etc… [5] P. Kropotkin — *Paroles d’un révolté* [6] Da un telegramma della Stefani da Londra il 12 aprile sera (pubblicato nei giornali italiani il 13) [7] Qui ci occupiamo delle sole manifestazioni proletarie e socialiste ma per essere giusti completamente bisognerebbe anche ricordare che v’e in Germania un movimento d’opposizione spirituale assai simpatico fra gli intellettuali più giovani, del quale parlo a lungo Romain Rolland in qualcuno dei suoi articoli famosi, poi raccolti in libro. Vedi il suo Au dessus de la Melee (Edit. Ollendorff, Parigi), specie da pag. 124 a pag. 150. — Negli ambienti borghesi tedeschi v’e poi una corrente notevole contraria alle annessioni territoriali dopo la guerra; una specie di manifesto degli antiannessionisti fu pubblicato nell’Humanite di Parigi l’anno scorso per parecchi numeri di seguito. [8] I giornali, specie fino ad un anno fa, hanno più volte parlato perfino di vere e proprie sommosse collettive di soldati tedeschi. Ma potevano essere anche voce messe fuori ad arte e prive di fondamento. Pero vale la pena di riportare una di queste notizie, di fonte non sospetta, dalla Libre Federation di Losanna, periodico che rispecchia le idee di alcuni firmatari del manifesto parigino: “Una signora che viene da Bruxelles, ci ha assicurato, orsono quattro mesi, che nella capitale belga 200 soldati tedeschi eran stati fucilati in una volta sola, per essersi rifiutati di recarsi sul fronte occidentale contro le truppe belghe.” — (Libre Federation, No. 1 del 2 ottobre 1915) [9] Abbiamo accennato obiettivamente alla conferenza di Zimmerwald ed ai suoi deliberati, perché il Manifesto dei sedici (come lo chiamano in Francia) l’ha nominata, e perché effettivamente tale manifestazione ebbe un alto valore morale ed umano. Noi ci diffondiamo oltre su ciò; la conferenza non fu anarchica e niun anarchico vi partecipo, e quindi non spetta a noi illustrarne la innegabile importanza internazionale. Ma se da essa avrà origine una nuova internazionale questa farà naufragio come la precedente se non si rinnoverà su basi libertarie e rivoluzionarie. [10] P. Kropotkine — Antimilitarisme et revolution — Giornale “Les Temps Nouveaux” di Parigi — no. 26 e 27 del 28 ottobre e 4 novembre 1905. [11] Ch. Malato — De la Commune a l’Anarchie (1894) — pag. 243. [12] Ch. Malato — Philosophie de l’Anarchie (1897) — pag. 266 e 267 [13] E. Malatesta. — A propos d’insurrection. Rivista “Le Mouvement Anarchist” di Parigi. n. 6-7 di gennaio-febbraio 1913. [14] Il tentativo di rivoluzione in Irlanda — scoppiato dopo che era già stato scritto quanto sopra — è una dimostrazione di fatto che noi siamo nel vero in tutto e per tutto. Non sappiamo ancora completa la verità su quel movimento, ma l’adesione ad esso delle organizzazioni operaie sindacaliste di Dublino e un indice abbastanza eloquente, su cui richiamiamo l’attenzione dei lettori. Benché di carattere nazionale, quel movimento appunto perché rivoluzionario e popolare, merita la nostra simpatia al pari delle insurrezioni passate della Polonia di [poco chiaro], di Cuba e del Messico. [15] I giornali borghesi italiani hanno quasi tutti parlato del manifesto parigino, come d’una emanazione dei dirigenti del movimento anarchico.