Emile Armand
I precursori dell’anarchismo
L’antichità
Non è certamente facile sapere esattamente — e d’altronde quali documenti potrebbero informarcene? — quando abbia avuto inizio l’autorità governativa o statale. Non poche sono state le spiegazioni forniteci sulla fondazione e l’affermazione dell’autorità. Dobbiamo credere che i gruppi di uomini, divenendo sempre più numerosi, siano stati costretti ad affidare l’amministrazione dei loro affari e la soluzione delle loro contese ai più intelligenti o ai più temuti — gli stregoni o i preti? O che i raggruppamenti primitivi, mostrandosi in generale sempre più ostili gli uni agli altri, siano stati obbligati a concentrare la difesa del luogo e delle cose nelle mani dei guerrieri — o delle guerriere — più coraggiosi o più abili? Comunque sia, tutto tende a dimostrare che l’autorità sia pre-esistita alla proprietà individuale. È evidente che l’autorità si affermò allorquando i beni, le cose e, in certi casi, i ragazzi e le donne, già erano proprietà dell’organizzazione sociale. Fatalmente, il regime della proprietà individuale (vale a dire, la possibilità per un membro della collettività di accaparrare più suolo di quanto non gli fosse stato necessario per il sostenimento suo e della sua famiglia, e di far sfruttare il soprappiù per altri) non fece che complicare, raffinare e rendere più tirannica l’autorità, sia essa stata di carattere teocratico o di essenza militare.
Vi furono, in quell’epoca, esseri che si ribellarono all’autorità, sia pure rudimentale, che infieriva nei loro raggruppamenti primitivi? Vi furono obiettori e disubbidienti in quei tempi lontani in cui si attribuivano a forze oscure e superiori, ora buone ora cattive, i fenomeni meteorologici, ed in cui la creazione dell’uomo era ritenuta opera d’un ente superiore? Se dobbiamo prestar fede ad alcuni miti tramandatici, dobbiamo convincerci che l’uomo non ha sempre accettato passivamente di essere un giocattolo nelle mani della divinità o lo schiavo dei suoi rappresentanti: i miti di Satana e di Prometeo, degli angeli ribelli e dei titani, ne sono delle prove. Anche più tardi, allorché l’autorità governativa o ecclesiastica si era solidamente insediata, vi furono manifestazioni che, pur restando circoscritte in un quadro pacifico, dimostravano nondimeno che aleggiasse nell’aria uno spirito di ribellione. Fra queste, possiamo classificare le scene e le commedie satiriche, le feste saturnali romane, il carnevale cristiano, e diverse altre. E non pochi racconti circolavano in seno al popolo, che sempre li ascoltava con gioia pressoché puerile, e dei quali il tema era quasi sempre lo stesso: la vittoria del debole, dell’oppresso e del povero, sul tiranno e sul ricco.
Arrivati che siamo all’antichità greca, questa con Gorgia negò tutti i dogmi: con Pitagora fece dell’uomo la misura di tutte le cose; con Aristippo dette vita alla scuola edonistica (per la quale non v’è altro bene che il piacere, e il piacere immediato da qualunque parte esso sgorghi): con Antistene, Diogene e Cratilo di Tebe creò i cinici; con Zenone, Crisippo e i loro successori apportò gli stoici: un insieme di uomini straordinari che criticarono e negarono i valori fino allora accettati e riconosciuti. Proseguendo nella loro meravigliosa ascesa, i cinici, dalla negazione dei valori della cultura ellenica, arrivarono alla negazione delle sue istituzioni: matrimonio, patria, proprietà, Stato. È certo che dietro la botte e la lanterna di Diogene, v’era altra cosa che la semplice beffa e le parole di spirito. Diogene trafiggeva, con i suoi mordaci sarcasmi, i più forti e i più temuti fra coloro che già si contendevano le spoglie di Atene spirante. E Platone, scandalizzato della forma più che popolare delle sue predicazioni, lo aveva soprannominato «un Socrate in delirio». Tuttavia, i cinici, facendo del lavoro manuale l’uguale del lavoro intellettuale, denunciando i lavori inutili, dichiarandosi cittadini del mondo, considerando i generali come «conduttori di asini», mettendo in ridicolo le superstizioni popolari fino al demonio di Socrate, e riducendo lo scopo della vita all’esercizio e allo sviluppo della persona morale, potevano ben ritenersi, al pari del loro maestro, dei dottori dell’anima, degli araldi di libertà e di verità. Sotto l’aspetto sociale erano favorevoli alla comunità, ed estendevano questo principio non solamente alle cose, bensì alle persone: concezione cara a non pochi filosofi dell’antichità.
È stato rimproverato ai cinici, e in particolare a Diogene, l’orgoglio del loro isolamento, il fatto di posare in guisa di modelli, e la loro esagerazione per un genere di vita che era la negazione di qualsiasi società organizzata. Diogene aveva già risposto in precedenza: «Io sono simile ai maestri del cori, che forzano il tono per condurvi i propri allievi».
Il primo insegnamento di Zenone — caposcuola degli stoici — molto si avvicinava a quello dei cinici. Nel suo Trattato della Repubblica, egli rigettava i costumi, le leggi, le scienze, le arti, pur domandando, come Platone, la comunità dei beni. L’essenza o il fondo del sistema stoico è questo: che il bene dell’uomo è la libertà, e che la libertà non si conquista se non con la libertà. Il saggio, secondo gli stoici, è sinonimo di uomo libero: egli non deve il proprio bene che a se stesso, e la sua felicità non dipende che da sé. Al riparo dai colpi della sorte, insensibile a qualsiasi cosa, padrone di sé, non avendo altro bisogno che di sé, trova in sé una serenità, una libertà e una felicità che non ha limiti. Non è più un semplice uomo: egli è un dio e più che un dio, poiché la felicità degli Dei è il privilegio della loro natura, mentre la felicità del saggio è la conquista della propria libertà. Zenone negava logicamente l’onnipotenza, la tutela e il controllo dello Stato; perché l’uomo deve servire esclusivamente a se stesso, ed è dall’armonia individuale che dovrà scaturire l’armonia collettiva. L’edonismo, il cinismo e lo stoicismo opponevano al diritto artificiale che fa dell’individuo uno strumento nelle mani dello Stato, il diritto naturale che dà all’individuo il diritto di disporre di se stesso a suo piacimento. Zenone si serviva di questa teoria, come già avevano fatto i cinici, per combattere il nazionalismo esagerato dei Greci e per ammettere un istinto di società, un istinto naturale che spinge l’uomo ad associarsi con altri uomini. Indubbiamente si possono considerare cinici e stoici come i primi internazionalisti.
Il Medioevo
Vedremo come questa idea del diritto naturale, della legge della natura, della religione naturale, sarà in seguita e ripresa da parecchi filosofi. E vedremo anche come il trionfo del cristianesimo non fosse stato così completo come affermano i suoi turiferari. In effetti, non furono pochi gli eretici di quel tempo che ritennero prudente coprirsi con la maschera della religione per poter svolgere la loro propaganda con una certa sicurezza.
Ecco qui, ad esempio, lo gnostico Carpocrate di Alessandria, fondatore della setta dei carpocrati, il cui figlio Epifane riunì tutta la dottrina nella sua opera Della giustizia. La giustizia divina per questo autore si trova nella comunità e nell’uguaglianza di questa. Egli dice: simile al sole che non è misurato a nessuno, ugualmente dev’essere per tutte le altre cose, per qualsiasi piacere. Se Dio ci ha dato il desiderio, è perché noi e tutti gli altri esseri viventi lo possiamo soddisfare completamente, e non perché gli poniamo dei limiti.
Pare che i carpocrati fossero stati sterminati. Tuttavia, ancora verso il secolo VI, si trovavano tanto in Cirenaica che in Africa del Nord, iscrizioni indicanti tendenze carppcrati.
Comunque, distrutti o no, i carpocrati ebbero dei successori. Non sappiamo se gli iniziati delle sette che sposarono le loro concezioni o delle idee ad esse analoghe, avessero soppresso all’interno dei loro gruppi ogni forma di autorità: se non fossero stati «organizzati» alla moda presente. Quello che sappiamo è che il sistema politico allora vigente trovava in essi degli irreconciliabili avversari. Dettero vita ad internazionali, a società segrete in relazione fra loro, i cui membri viaggianti erano accolli fraternamente dalle associazioni corrispondenti. Si insegnava clandestinamente: i numerosi processi intentati a coloro che furono scoperti e che caddero vittime della loro propaganda lo dimostrano sufficientemente. Sfortunatamente troppo spesso, le loro vere opinioni restano a noi sconosciute. Non ci si parla che dei loro crimini (?) e delle loro deviazioni (?).
Accenniamo ad altri. Nel 1022, il sinodo d’Orleans condannò al rogo undici catari (Albigesi) accusati di aver praticato l’amore libero. Nel 1030, a Monforte presso Torino, degli eretici furono accusati di essersi dichiarati contro le cerimonie e i riti religiosi, contro il matrimonio, contro l’uccisione delle bestie e in favore della comunità dei beni. Nel 1052, a Goslar, un certo numero di eretici furono bruciati per essersi pronunciati contro l’uccisione di qualsiasi essere vivente: vale a dire, contro la guerra, contro l’assassinio e contro l’uccisione di animali. Nel 1213, dei Valdesi furono bruciati a Strasburgo per aver predicato l’amore libero e la comunità dei beni. E non si trattava né di letterati, né di sapienti, come sovente avveniva in quel momento, bensì di semplici artigiani: tessitori, calzolai, muratori, falegnami, ecc...
Fu verso quell’epoca che numerosi «settari», fondandosi sul passaggio dell’epistola di San Paolo ai Galati — «Se voi siete trasportati dallo spirito, non siete più sotto la legge» — posero l’essere umano, la personalità, al disopra della legge. Uomini e donne condividevano idee molto vicine a quelle dei carpocrati, sfocianti nella pratica a una specie di comunismo libertario: vivevano come loro era possibile in colonie più o meno clandestine, sotto la minaccia di repressioni inesorabili in caso di scoperta.
Nel secolo Xll Amaury o Amalric de Bène, dei dintorni di Chartres, professò queste idee alla Sorbona. Ebbe discepoli più energici di lui, fra i quali Ortlieb di Strasburgo, che fecero conoscere la sua dottrina anarchico-panteista in Germania, dove incontrarono partigiani entusiasti e convinti che agivano sotto il nome di Bruder und Schwestern des freien Geistes (Fratelli e sorelle di spirito libero). Max Beer, nella sua Storia del Socialismo, tratta questi «fratelli» da anarchici individualisti, essendosi posti al di fuori della società, delle sue leggi, dei suoi costumi e delle sue abitudini, e che la società organizzata in contraccambio combatteva senza pietà.
E d’altronde, come avrebbe potuto essere altrimenti? Figuratevi voi, che per Amalric de Bène e i suoi continuatori, Dio si trovava in Gesù, come nei pensatori e nei poeti pagani: ha parlato per la bocca di Ovidio come per quella di Sant’Agostino. Tali uomini, eran forse degni di vivere?
Fra le diverse specie di eresie conosciute, è necessario fare alcune distinzioni. È necessario, ad esempio, distinguere fra il panteismo-anarchico amalrico — i cui aderenti si consideravano come particelle dello Spirito Santo, rigettando ogni forma di ascetismo, qualsiasi costrizione morale, e ponendosi per così dire al di là del bene e del male — e gli eredi dello gnosticismo manicheo, con gli Albigesi asceti la cui aspirazione tendeva a vincere la materia. DeI resto, malgrado gli sforzi, non è sempre facile fare una distinzione esatta. Lo storiografo cattolico Doellinger, che ha studiato a fondo la storia di tutte queste sette, non esita a dire che se esse avessero vinto — parlando specialmente dei Valdesi e degli Albigesi — «ne sarebbe risultato uno sconvolgimento generale, un completo ritorno alla barbarie e all’indisciplina pagana».
Nel primo gruppo panteista-anarchico riuniremo l’eresia di Tanchelin di Anversa, quella dei Kloeffers della Fiandra, degli Hommes de l’lntelligence, dei Turlupins, dei Picardl o Adamiti (che avevano affiliati fin nella lontana Boemia), dei Loisti, anch’essi di Anversa. Dappertutto erano sorti uomini o associazioni che intendevano reagire al sistema dominante, rappresentato specialmente dal cattolicesimo, i cui alti dignitari conducevano un’esistenza delle più scandalose, mantenendo la prostituzione, sfruttando case di piacere e case da gioco, che portavano armi e si battevano come guerrieri di professione.
Concludendo, dirò che personalmente condivido pienamente il parere di Max Nettlau, e cioè che negli ultimi anni del medioevo, il Mezzogiorno della Francia, i paesi degli Albigesi, una parte della Germania estendentesi fino alla Boemia, le regioni bagnate dal Reno inferiore, fino in Olanda e nella Fiandra, nonché alcune parti dell’Inghilterra, dell’Italia e della Catalogna, formavano un terreno di elezione per le sette che combattevano il matrimonio, la famiglia e la proprietà, attirando su di esse una repressione terribile.
E non era soltanto in Europa che stavano sviluppandosi dei movimenti anti-autoritari. Nella storia d’Armenia di Tschamtschiang (Venezia 1795), si parla di un eretico persiano, tal de Mdusik, che negava «qualsiasi legge e ogni forma di autorità». E nel supplemento letterario dei Temps Nouveaux (Paris, vol. II, pp. 556-557) si trova un articolo dal titolo «Un precursore anarchico», nel quale il dottore turco Abdullah Djevdet presenta un poeta siriaco del secolo XV: Ebr-Ala-el Muari.
Il Rinascimento
Giunti al Rinascimento, dobbiamo arrenderci all’evidenza, la più cruda: i cattolici, aiutati dallo Stato secolare, sono riusciti a distruggere o a ridurre all’impotenza gli eretici panteisti-anarchici. Pure i protestanti non si sono mostrati molto più teneri verso gli anabattisti: sorta di comunisti autoritari che fanno capo all’antico Testamento. La dittatura di Giovanni di Leida a Münster è passata come un lampo. Il vecchio mondo è stato obbligato a piegare la testa sotto l’onnipotenza dello Stato, ora più fortemente servito e centralizzato di quanto non lo fosse nel medioevo.
Pertanto la scoperta dell’America infiamma lo spirito dei pensatori e degli esseri originali, la cui mentalità non è stata completamente spianata dal laminatoio dell’organizzazione politica. Si parla di isole felici, di Eldoradi, di Arcadie. Sebastian Münster ha descritto, nella sua Kosmographey (1544), la vita delle nuove isole: «dove si vive liberi da ogni autorità, dove non si conosce né il giusto né l’ingiusto, dove non si puniscono i malfattori, e dove i genitori non dominano i propri figli. Nessuna legge: libertà assoluta di rapporti sessuali. Nessuna traccia né di un Dio, né di un battesimo, né di un culto qualsiasi».
È probabile tuttavia che le sue aspirazioni verso la libertà, non fossero che una derivazione dell’apparire della Massoneria e dei diversi ordini di illuminati.
Uno dei più brillanti geni del Rinascimento, François Rabelais, con la creazione dell’abbazia di Thélème (Gargantua) può essere ugualmente considerato come un precursore dell’anarchismo. Elisée Reclus lo disse «nostro grande antenato». È vero; descrivendo il suo ambiente di libertà, poco tenne conto del fattore economico, ma non è affatto improbabile che fosse molto più attaccato al suo secolo di quanto egli stesso non dubitasse. Nondimeno ci ha dipinto il suo maniero raffinato con lo stesso spirito con cui Tommaso Moro dipinse l’Inghilterra idealizzata nella sua Utopia, e con cui Campanella dipinse la sua repubblica italiana teocratica nella Città del Sole. O come l’autore del Royaume d’Antangil (la prima utopia francese, 1516) dipinse la sua monarchia costituzionale protestante. Ciò non impedì a Rabelais di dipingerci la vita dell’abbazia esente da qualsiasi forma di autorità.
Si ricorderà che Gargantua non volle che vi fossero «muri all’intorno». «Vedere, approvava il monaco, e non senza motivo: ché dove vi sono muri davanti e di dietro, forzatamente vi sono mormorii, invidie e mute cospirazioni». I due sessi, che assieme coabitavano, non si guardavano affatto di traverso... «tale simpatia vi era fra gli uomini e le donne, che ogni giorno vestivano tutti nella stessa guisa». «Il loro sistema di vita non era sottoposto né a leggi, né a statuti, né a regole: era solo guidato dalla loro volontà e dal loro libero arbitrio. Si alzavano quando loro faceva piacere; bevevano, mangiavano, lavoravano e dormivano, quando ne avevano voglia. Nessuno li svegliava, nessuno li obbligava né a bere, né a mangiare, né a fare qualsiasi altra cosa. Così aveva stabilito Gargantua. La loro regola consisteva nella clausola fai quello che vuoi, poiché la gente libera, ben nata, bene istruita, conversante in oneste compagnie, ha per natura un istinto e uno stimolo che sempre la spinge a fatti virtuosi, lontani dal vizio, che essi chiamano onore. Ché, coloro che per vile costrizione o intimidazione, cadono in uno stato di completa depressione e di assoggettamento, abbandonano la nobile idea di liberarsi dal giogo della servitù a cui tendevano per naturale virtù; giacché per natura noi tendiamo sempre ad intraprendere cose proibite e ad aspirare a quanto ci è negato... Questa grande libertà creò in essi la lodevole emulazione di fare tutti quanto ad uno piacesse. Così, se qualcuna o qualcuno diceva: “beviamo”, tutti bevevano; se diceva: “giochiamo”, tutti giocavano; se diceva: “andiamo a divertirci nei campi”, tutti vi accorrevano».
Rabelais, come vediamo, è naturalmente piuttosto un utopista.
Un altro precursore — e questo famoso — è, senza alcuna tema di obiezione, La Boétie. Etienne de La Boétie, nella sua opera principale: Contr’uno o Della servitù volontaria (1577) fonda l’idea centrale sul rifiuto da opporre al servizio del tiranno, la cui potenza trova la sua sorgente nella servitù volontaria degli uomini. «Il fuoco scaturito da una piccola favilla si rafforza e si estende bruciando tutto il legno che può trovare e raggiungere. Senza che vi si getti sopra dell’acqua per spegnerlo, è bastante che non vi si metta più legna, ché non avendo più niente da bruciare si consuma da se stesso, resta senza forma e non è più fuoco. La stessa cosa è dei tiranni: più saccheggiano, più esigono, più rovinano e distruggono, più si dà loro e più si servono, e più si rafforzano e meglio si trovano nelle condizioni di imporsi e di distruggere tutto. Ora, se non si dà loro più niente, se più non si ubbidiscono, e se più non combattiamo per essi, restano nudi e disfatti riducendosi a niente, simile alla radice che, non avendo più linfa né alimenti, diventa un ramo secco e morto... Siate risoluti a non servire e sarete liberi».
La Boétie non preconizza alcuna organizzazione sociale definita. Tuttavia parla della natura che ha fatto gli uomini della stessa forma e, si direbbe, sulla stessa forma... «essa non ha inviato i più forti e i più accorti come dei briganti...», per maltrattare «i più deboli: piuttosto è da credere che, facendo ad alcuni le parti più grosse e ad altri più piccole, abbia voluto far posto ad un’affezione fraterna, dando a questa l’occasione di manifestarsi, gli uni avendo più possibilità di offrire un aiuto ed altri di riceverne...». «Se dunque questa buona madre ha dato a tutti una figura più o meno rassomigliante; se essa ha accordato a tutti, senza distinzione alcuna questo grande regalo della voce e della parola per permetterci di metterci in rapporti fraternizzando maggiormente, e perché con l’abitudine e il mutuo scambio dei nostri pensieri facessimo comunione delle nostre volontà; se essa ha cercato con tutti i mezzi che stringessimo sempre più fortemente i nodi della nostra comune alleanza in società; se essa ha dimostrato in tutte le cose di volerci fare nello stesso tempo tutti uniti e tutti simili; se così è, non c’è affatto da dubitare di non essere tutti dei compagni, e nessuno può pensare che la natura abbia messo qualcuno in servitù, poiché ci ha posti tutti in compagnia».
Come vediamo, da tutto ciò potremmo trarne tutto un sistema sociale.
I tempi moderni
La monarchia stava divenendo sempre più assoluta. Luigi XIV aveva ridotto la metà de l’intelligence allo stato di mendicità, obbligando l’altra metà a ricorrere ai torchi tipografici olandesi. In Les soupirs de la France esclave qui aspire à la liberté (1689-1690) e in altre opere dello stesso genere apparse ad Amsterdam, non si trova alcuna traccia di anarchismo. Bisogna attendere fino a Diderot per sentire enunciare questa frase, che, essa sola, contiene tutto l’anarchismo: «Non voglio dare né ricevere leggi». Nella conversazione di un padre con i suoi figli (Opere complete, vol. V., p. 131) Diderot aveva dato la precedenza all’uomo della natura su quella del legislatore. Ognuno ricorda la frase della Marescialla, in Colloquio d’un filosofo con la Marescialla: «Il male è semplicemente ciò che apporta più inconvenienti che vantaggi, al contrario del bene che apporta più vantaggi che inconvenienti». E quella degli addii al vecchio, in Supplément du voyage de Bougainville: « Voi siete due figli della natura: quali diritti hai tu su di lui che egli non abbia su di te?». Stirner, più tardi, non dirà niente di meglio.
Nella Revue Socialiste del settembre 1888, Benoît Malon dedica una decina di pagine a tal Don Deschamps, benedettino del secolo XIII, precursore dell’Hegelismo, del Trasformismo e del Comunismo anarchico.
Ed eccoci giunti a Sylvain Maréchal, poeta, letterato, bibliotecario (1750-1803), che per primo manifesta apertamente delle idee anarchiche, per quanto macchiate leggermente di arcadismo. Sylvain Maréchal era un poligrafo che trattò tutti i soggetti. Cominciò con delle Bergeries (1770) e delle Chansons anacréontique (1779). Nel 1781 trovò la maniera di fare uscire i suoi frammenti di un Poème morale sur Dieu, le Pibrac moderne.
Nel 1782 edita L’âge d’or, un insieme di racconti pastorali; nel 1784 il Livre échappé au déluge ou Psaumes nouvellement découverts. Nel 1788, sotto bibliotecario alla biblioteca Mazarine, pubblica il suo Almanach des honnêtes gens, in cui ha sostituito i nomi dei santi con quelli di uomini e donne celebri, e dove ha posto Gesù Cristo in mezzo a Epicuro e Ninon de Lenclos. Così che l’almanacco è condannato ad essere bruciato per mano del carnefice, e il suo autore inviato al Saint Lazare per scontarvi quattro mesi di carcere. Nel 1788 escono anche i suoi Apologues modernes à l’usage du dauphin.
È qui, in questo libro, che si trova la storia del re che, in seguito a un cataclisma, rinvia tutti i suoi sudditi alle loro case, ordinando che d’ora innanzi ogni padre di famiglia sarà re in casa propria. Ed è pure qui che è esposto il principio della Grève génèrale (sciopero generale) come mezzo per instaurare una società in cui la Terra sarà proprietà comune di tutti gli abitanti, e dove regneranno «la libertà e l’uguaglianza, la pace e l’innocenza». Nell’altra sua opera, Le Tyran triomphateur, immagina un popolo in lotta che abbandona la città alla soldatesca per rifugiarsi sulle montagne dove, diviso in famiglie, vive senz’altro padrone che la natura e senz’altro re che i propri patriarchi, rinunziando per sempre a ritornare nelle città da esso costruite con tante fatiche, le cui pietre sono tutte bagnate delle sue lacrime e macchiate del suo sangue. I soldati, inviati per riportare questi uomini nelle loro agglomerazioni cittadine, si convertono alla libertà, restano con coloro che dovevano ricondurre in servitù, rinviano le loro uniformi al tiranno, che muore di rabbia e di fame divorando se stesso. L’idea è indubbiamente una reminiscenza della Servitù volontaria di La Boétie. Continuando, nel 1790 pubblica l’Almanach des honnêtes femmes, adornato di un’illustrazione satirica sulla duchessa di Polignac. Sulla scorta dell’Almanacco della gente onesta che aveva pubblicato due anni prima e che, come abbiamo detto, gli era costato oltre tutto quattro mesi di prigione, qui sostituisce ogni santo con una donna conosciuta. Queste donne celebri sono divise in dodici classi, secondo il loro «genere» (una per classe: gennaio, Fricatrices; febbraio, Tractatrices, e così di seguito: Fellatrices, Lesbiennes, Corinthiennes, Samiennes, Phoeniciennes, Siphnassiennes, Phicidisseuses, Chaldisseuses, Tribades, Hircinnes).
Questo almanacco, oggi rarissimo, si trova solo nell’Inferno della Biblioteca Nazionale.
Sylvain Maréchal, personaggio curioso, non accettò la rivoluzione del 1789 che con riserve. Il primo giornale anarchico che sia apparso in Francia, L’Humanitaire (1841), afferma che egli diceva che fino a quando vi fossero stati dei padroni e degli schiavi, dei poveri e dei ricchi, non vi sarebbe stata né libertà, né uguaglianza. Maréchal continuò le sue pubblicazioni: nel 1791, Dame nature à la barre de l’Assemblée Nationale; nell’anno II, il Jugement dernier des rois; nel 1794, La fête de la raison. Collaborò alla Révolutions de Paris, a l’Ami de la Révolution, al Bulletin des amis de la Vérité. L’ebertista Chaumette, suo amico, cadde vittima del Terrore, ma egli sfuggì a Robespierre, come riuscì a sfuggire alla reazione termidoriana e alle persecuzioni del Direttorio, malgrado che, come si assicura, avesse collaborato al Manifesto degli Eguali.
Passato il turbine rivoluzionario, Maréchal riprese la penna. Nel 1798, apparve il suo Culte et voix d’une societé d’hommes sans Dieu. Nel 1799, Les voyages de Pythagore, in 6 volumi. Nel 1800, la sua grande opera, Dictionnaire des athées anciens et modernes, della quale l’astronomo Jérôme Lalande scrisse il supplemento. Infine, nel 1807, De la Virtu... opera postuma, che probabilmente fu stampata ma che non apparve mai in pubblico, e della quale Lalande si servì per il suo secondo supplemento al «Dizionario degli Atei». Del resto, Napoleone non permise ancora per molto tempo all’illustre astronomo di scrivere sull’ateismo.
In Inghilterra, Winstanley e i suoi livellatori possono essere considerati fino a un certo punto come precursori dell’anarchismo. Tuttavia John Lilburne, uno di essi, denunciava l’autorità «sotto tutte le forme e tutti gli aspetti»: le sue ammende e le condanne agli anni di prigione non si contavano più. Fu esiliato in Olanda. A tre differenti riprese, la giuria lo assolse: l’ultima volta nel 1613 per infrazione a un suo decreto d’espulsione. Cromwell lo tenne in cattività «per il bene del paese»; e nel 1656, diventato quacquero, fu liberato. Ciò che non gli impedì di morire un anno dopo di etisia galoppante. Non aveva che 39 anni.
Verso il 1650, fece parlare di sé Roger William (colui che aveva iniziato la sua carriera come governatore del territorio che, più tardi, formò lo Stato di Rhode Island, negli Stati Uniti), e più di lui, uno dei suoi partigiani, William Harris, che tuonava contro la immoralità di tutti i poteri terrestri, e contro il crimine di tutti i castighi. Era un visionario mistico, o un anarchico isolato?
Indubbiamente fra i perfetti oppositori dello Stato possono essere annoverati anche i primi quacqueri.
Sempre nell’Europa settentrionale, l’olandese Peter Cornelius Hockboy (1658), l’inglese John Bellers (1695), e lo scozzese Robert Wallace (1761), si pronunciarono in favore di un socialismo volontario e cooperatore. Nei suoi Prospects, Robert Wallace tratta di un’umanità composta di più comuni. La protesta contro gli abusi governativi, contro gli eccessi dell’autorità, si manifesta in tutti i suoi libelli, satire di ogni natura, scritti con una foga e una franchezza di cui oggi abbiamo completamente perso l’esempio. I nomi di Thomas Hobbes, John Toland, John Wilkes, Jonathan Swift e William De Foe, penso che basti citarli.
Arriviamo così all’irlandese Edmond Burke e alla sua Vindication of Natural Society (Giustificazione della società naturale, 1756), la cui idea dominante è questa: qualunque sia la forma di governo non ve n’è uno che sia migliore d’un altro: «Le differenti specie di governi han rivaleggiato mutuamente fra loro sull’assurdità delle loro costituzioni e delle oppressioni che han fatto subire ai loro sudditi... Anche i governi più liberi, in rispetto della loro grandezza e della loro durata, hanno conosciuto più confusione e commessi più atti di flagrante tirannia che i governi più dispotici che la storia conosca».
Edmond Burke, purtroppo, rinnegò più tardi tutto quanto aveva scritto; quando scrisse le sue Reflexions, si elevò contro la Rivoluzione Francese. Un americano, Thomas Paine, deputato alla convenzione, gli rispose con The Rights of Man (I diritti dell’uomo, 1791-92). Ma lo stesso Paine, essendosi rifiutato di votare per la morte di Luigi XVI, fu gettato in prigione e per poco sfuggì alla ghigliottina. Approfittò del suo imprigionamento per scrivere The Age of Reason (L’età della ragione, 1795): «In tutti i suoi differenti gradi la società è sempre un vantaggio, mentre il governo, anche sotto i suoi aspetti migliori, è un male necessario: sotto i suoi peggiori, un male intollerabile... Il mestiere di governante è sempre stato monopolizzato dagli individui più ignoranti e più birbanti che l’umanità ha conosciuto».
Nel 1796 apparve a Oxford un opuscolo intitolato: The inherent Evils of all State Government demonstrated (Dimostrazione dei mali inerenti a qualsiasi governo statale). Questo opuscolo attribuito a A.C. Cuddon è fortemente impregnato di anarchismo individualista, e Benjamin R. Tucker ne fece una nuova edizione nel 1885, a Boston.
A Londra, sotto l’influenza della Rivoluzione Francese, era sorto un gruppo denominato Pantisocracy. Il suo animatore era stato il giovane poeta Southey, che più tardi, sull’esempio di Burke, rinnegò completamente i suoi sogni giovanili. Secondo Sylvain Maréchal — confermato in parte anche da Lord Byron — pare che questo gruppo epicureo avesse intenzione di realizzare un’Abbazia di Thélème mettendo tutte le cose in comune fra i suoi membri, compresi i piaceri sessuali. E — sempre secondo Maréchal — grandi artisti, i letterati più rinomati, e gli uomini più celebri dell’Inghilterra avrebbero fatto parte di questo gruppo, che finì per essere sciolto con un progetto speciale di legge del Parlamento (Dizionario degli Atei, alla voce: Thélème).
Manuel Devaldes invece, nelle sue Figure d’Ingleterre, presenta La Pantisocrazia come un progetto di colonia da essere realizzato in America fra gli Illinois: progetto di colonia, avente per base l’uguaglianza economica e dove due ore di lavoro quotidiano sarebbero state sufficienti per assicurare il nutrimento e le altre necessità ai coloni. Secondo lui pare che, in seguito alla defezione di Southey e alla sopravvenuta morte dei due principali iniziatori, la Pantisocrazia fosse morta prima di nascere.
Intanto in Germania, Schiller ha scritto i Briganti in cui il principale personaggio si eleva contro le convenzioni e le leggi che mai hanno creato un grand’uomo, mentre la libertà ha creato dei colossi e degli esseri straordinari.
Fichte, da parte sua, afferma che se l’umanità fosse stata moralmente perfetta, non vi sarebbe stato assolutamente bisogno di Stati; Wilhelm de Humboldt, nel 1792, difende la tesi della riduzione dello Stato alla sua funzione minima; Vittorio Alfieri, in Italia, scrive Della Tirannide.
Da ogni parte l’autorità, sotto una forma o sotto un’altra, è battuta in breccia. Spinoza, Comenius, Vico, Voltaire, Lessing, Herder, Condorcet, per alcuni lati e alcune forme della loro attività furono dei libertari. Spee, Thomasius, Beccaria, Sonnenfelds, John Howard, Mary Wollstonecrait, Rousseau, Pestalozzi, La Mettrie, d’Holbac, lottando contro i supplizi inflitti agli stregoni, contro la severità dei castighi, contro la schiavitù, in favore della liberazione della donna, per una educazione migliore dei ragazzi, contro tutte le superstizioni e per il materialismo, contribuirono a scalzare le colonne dell’autorità. Necessiterebbe un grosso volume per ricordare i nomi di tutti coloro che sotto differenti aspetti hanno contribuito a scuotere la fede nella Chiesa e nello Stato.
Così ci arresteremo a William Godwin, del quale pensiamo che la sua Indagine sulla giustizia politica e la sua Influenza sulla virtù e la felicità generale (1793) sia la prima opera dottrinaria dell’anarchismo degna di questo nome. È vero che Godwin è un comunista anarchico, ma riteniamo che la sua negazione della legge e dello Stato si confaccia perfettamente a qualsiasi tendenza dell’anarchismo.