Prima edizione: Lettera a Sergej Nečaev, in Michail Bakunin, Opere complete, vol. V, Rapporti con Sergej Nečaev, 1870-1872, tr. it., Catania 1977, pp. 122-158
Prima edizione in opuscolo: maggio 2015
Michail Bakunin
Lettera a Nečaev
Introduzione
Non uno scontro personale, come a volte è stato indicato, ma una lotta all’ultimo sangue con una concezione rivoluzionaria incompatibile con il progetto anarchico.
Bakunin non si ferma alle impressioni personali, non si lascia impaurire dai comportamenti a volte più che discutibili che gli uomini vicini a lui mettevano in atto. Sa che lo scontro sociale, con un nemico irriducibile, non è una semplice dichiarazione di princìpi. Sa che la purezza degli ideali, e perfino la stessa oculatezza nell’impiego delle proprie teorie concrete d’azione, vanno commisurate al problema che si ha di fronte. La vicenda del suo rapporto con Nečaev ha dato vita a ipotesi e speculazioni di ogni genere. Ma la concretezza dei fatti è molto più importante di qualsiasi pruriginosa illazione.
La Russia è lontana, sconosciuta per Bakunin che vi manca da quasi trent’anni. Nečaev è un giovane forte e vitale, ha le sue idee, che sono lontanissime da quelle del vecchio rivoluzionario, il quale si accorge subito delle approssimazioni, delle ignoranze, dei gesuitismi e degli imbrogli del nuovo arrivato. Ma sa anche, nella deprimente e paludosa condizione dell’emigrazione russa, che quello stesso soggetto, con tutte le sue limitazioni, le sue teorie strampalate e ridicolmente estremiste, la sua predilezione per i metodi gesuitici, le sue trame e i suoi doppiogiochismi, costituisce un punto di forza, solo che lo si riuscisse a riportarlo a comportarsi secondo le regole (quelle di Bakunin).
È impressionante non l’ingenuità di quest’ultimo, che non si tratta di ingenuità, ma la sua capacità di guardare oltre, alle qualità recondite di un rivoluzionario, e di certo Nečaev rivoluzionario lo era, e lo dimostrerà fino in fondo, con il suo comportamento nelle segrete della fortezza di Pietro e Paolo. Solo che lo sforzo, e i rischi corsi da Bakunin, non sono stati sufficienti. Nečaev era al di là di qualsiasi discorso fondato sulla coerenza rivoluzionaria.
Purtroppo ho conosciuto anch’io compagni di questo genere: nessuna riflessione poteva intaccarli, non vedevano niente davanti a loro che potesse essere “fatto in un certo modo”, ma tutto poteva essere, sempre e comunque, fatto a modo loro, cioè sulla base del loro personale giudizio. Quando si è giovani, e spesso molto giovani, questo atteggiamento, contrariamente a ciò che si pensa, è più una difesa che un attacco. E come ogni attacco condotto da posizioni di difesa, è condannato a non funzionare. Pensare al governo dell’efficienza da una posizione del genere è morte sicura, per sé e per il proprio progetto rivoluzionario, più o meno coscienti che di quest’ultimo si sia.
Viceversa, è Bakunin la figura su cui bisognerebbe riflettere di più, e in fondo è proprio per suggerire una riflessione sulla sua capacità d’azione, anche in mezzo agli errori e forse alle troppe indulgenze, che pubblichiamo questa lettera che deve essergli costato moltissimo scrivere.
Nessuno è perfetto, nessuno può essere sicuro di agire sempre nel migliore dei modi possibili, nemmeno coloro che tengono sotto braccio il manuale della perfetta coerenza. Meno di tutti perfetto lo è il rivoluzionario.
Trieste, 22 aprile 2014
Alfredo M. Bonanno
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“La maggior parte degli uomini si trova a essere suddita e serva, ridotta a mero strumento. Ed è pur vero che sono sempre vili e deboli coloro che se ne stanno cheti a ungere e mandare fumo, fintanto che possono. Ma sempre rinasce, e tanto più nei giovani, quell’impulso inquieto e retto che occupa un posto così importante dentro di noi. Una strada diritta parte dalle origini e tenta di liberarsi dai vecchiumi che ancora stentatamente sopravvivono, pesanti e nello stesso tempo senza pensieri. In luogo della tutela e della mancanza di scopo essa va in cerca di un vero sostegno che la vuota oppressione e il vuoto opprimente meno di tutti possono dare. Quanto ci ha preceduto e ciò che di esso è rimasto è sufficientemente malvagio, e coloro che là ci hanno condotto tacquero, preferendo obbedire e desiderando potere fare solo questo”.
(Ernst Bloch)
Lettera a Sergej Nečaev
2 giugno 1870. Locarno
Caro amico,
Mi indirizzo oggi a voi e, tramite vostro, al nostro Comitato. Spero, se adesso siete in luogo sicuro e libero dalle piccole seccature e dalle preoccupazioni, che potrete meditare a lungo sulla vostra situazione e sulla nostra in generale, come su quella della causa comune.
Cominciamo col riconoscere che la nostra prima campagna, lanciata nel 1869, è fallita: siamo stati sconfitti. Sconfitti per due motivi principali: in primo luogo, perché il popolo, sulla cui insurrezione avevamo tutti i diritti di contare, non si è mosso. È chiaro che il calice delle sue sofferenze e la misura della sua pazienza non sono ancora colmi. Sembra che la fede in se stesso e nella propria forza non si è ancora accesa, e che non si sono trovati abbastanza uomini che agissero insieme, sparsi per tutta la Russia, e capaci di destare questa fede. In secondo luogo, perché la nostra organizzazione si è dimostrata difettosa tanto nella qualità e nella quantità dei propri membri quanto nella sua stessa struttura. Ecco perché siamo stati sconfitti e abbiamo perso molte forze e molti uomini preziosi.
È un fatto indubitabile, e noi dobbiamo prenderne interamente coscienza, senza giocare d’astuzia, per farne il punto di partenza delle nostre riflessioni, sforzi e azioni future.
Voi e i vostri compagni, avrete certamente capito subito tutto questo, molto prima di quanto non me lo abbiate detto; in realtà, non me lo avete mai detto; ho dovuto indovinarlo da me a partire dalle numerose e manifeste contraddizioni esistenti nei vostri discorsi; ho dovuto finalmente convincermene di fronte alla situazione generale della nostra attività, che cominciava a delinearsi così chiaramente da rendere impossibile [...] il nasconderla perfino agli occhi dei non iniziati. Ne eravate convinto più che a metà quando veniste a casa mia a Locarno [nessuna fonte consente di precisare la data di questa visita], e tuttavia mi parlaste sempre con assoluta sicurezza e nel modo più affermativo dell’imminenza dell’insurrezione. Mi avete raggirato e io, pur sospettando o intuendo l’inganno, rifiutai coscientemente e sistematicamente di crederci; voi continuaste a parlare e ad agire esattamente come se diceste la pura verità. Se, durante il vostro soggiorno a Locarno, mi aveste mostrato le reali condizioni delle cose, del popolo e dell’organizzazione, avrei certo redatto il mio proclama agli ufficiali nello stesso spirito, ma in altri termini, e questo sarebbe stato meglio per me, per voi e soprattutto per la causa. Non mi sarei messo a parlar loro dell’imminenza di un movimento. [Nei proclami redatti nel gennaio 1870 si tratta di un’insurrezione che doveva scoppiare all’“inizio del 1870” o il “19 febbraio 1870”].
Non sono arrabbiato con voi e non vi rimprovero, perché so che anche quando mentite o nascondete e tacete la verità, lo fate senza nessun motivo personale, e soltanto perché pensate che sia utile per la causa. Io e noi tutti vi amiamo fraternamente e vi rispettiamo profondamente, proprio perché finora non abbiamo incontrato un uomo che si dedicasse a tal punto alla causa e che fosse devoto ad essa come lo siete voi.
Ma né questo amore né questa stima possono impedirmi di dirvi francamente che il sistema di mistificazione, che sta diventando sempre più il vostro sistema principale ed esclusivo, il vostro metodo e la vostra arma essenziale, è funesto per la causa stessa.
Tuttavia, prima di tentare e, spero, di riuscire a provarvelo, dirò alcune parole a proposito dei miei rapporti con voi e col vostro Comitato, e cercherò di spiegare perché, nonostante tutti i presentimenti e i sospetti razionali o istintivi che, sempre più, potevano farmi dubitare della veridicità delle vostre parole, ho creduto finora e, fino al mio ultimo viaggio a Ginevra, ho parlato e agito come se ci credessi nel modo più assoluto.
Si può dire che son già trent’anni che sono lontano dalla Russia. Dal 1840 al 1851 sono vissuto all’estero, prima con un passaporto, legale, poi da emigrato. Nel 1851, dopo due anni di carcere nelle fortezze sassoni e austriache, fui consegnato al governo russo che, per altri sei anni, mi tenne incarcerato prima nel bastione di Alessio, nella fortezza di Pietro e Paolo, poi a Schlüsselburg. Nel 1857 fui mandato in Siberia, e rimasi per due anni nella parte occidentale della regione, per altri due in quella orientale. Nel 1861 fuggii dalla Siberia e da allora, ovviamente, non sono più tornato in Russia. Così, in trent’anni, sono vissuto in tutto quattr’anni (nove anni fa), dal 1857 al 1861, libero in Russia, cioè in Siberia. Questo mi diede, è vero, la possibilità di conoscere da vicino il popolo russo, i contadini, i borghesi, i mercanti (soprattutto i mercanti siberiani), ma non la gioventù rivoluzionaria. Ai miei tempi, in Siberia non c’erano altri esiliati politici, tranne alcuni decembristi e alcuni Polacchi. Conobbi, è vero, i quattro petrasevcy: Petrasevskij, L’vov e Tol’; ma questi uomini costituivano una specie di transizione tra i decembristi e la gioventù di oggi – erano dottrinari, socialisti libreschi, fourieristi e pedagoghi. La vera gioventù – quella in cui credo, quella classe declassata, senza focolare, quella falange della rivoluzione popolare, che ho evocato varie volte nei miei scritti –, quella gioventù io non la conosco, e soltanto adesso comincio a poco a poco a conoscerla.
La maggior parte dei Russi che venivano a Londra per salutare Herzen erano gente per bene, letterati, ufficiali liberaleggianti o democraticheggianti. Il primo rivoluzionario russo serio fu Potebnja, il secondo voi. Non dirò nulla di Outin e degli altri emigrati ginevrini. Dunque, fino al mio incontro con voi, la vera gioventù rivoluzionaria russa rimaneva per me terra incognita.
Non mi ci è voluto molto per comprendere la vostra serietà e per credere in voi. Sono sempre stato convinto, e lo sono ancora, del fatto che, anche se gli uomini come voi non sono numerosi, essi rappresentano un’impresa seria, l’unica [impresa] rivoluzionaria seria esistente in Russia; e una volta convinto di questo, mi sono detto che era mio dovere aiutarvi con tutte le mie forze e con ogni mezzo, e legarmi il più possibile alla vostra azione in Russia. Mi era tanto più facile risolvermi a farlo in quanto il vostro programma, perlomeno l’anno scorso, era non solo conforme, ma di fatto assolutamente identico al mio, che è stato elaborato con un [...] costante e con tutta l’esperienza di una vita politica abbastanza lunga. Definiamo a grandi linee quel programma, sulla base del quale ci siamo intimamente legati a voi l’anno scorso, e da cui vi state ora, manifestamente, allontanando molto; questo programma, al quale da parte mia sono rimasto [...] fedele; poiché se le vostre convinzioni e il vostro allontanamento da esso (o da quello dei vostri compagni) dovessero essere definitivi, io mi considererei costretto a troncare ogni stretto legame politico con voi.
Questo programma può essere espresso chiaramente in poche parole: distruzione totale del mondo statalista-legalitario e di tutta la cosiddetta civiltà borghese, per mezzo di una rivoluzione violenta, popolare, spontanea, diretta non da una dittatura ufficiale, ma da una dittatura collettiva, impercettibile e anonima dei partigiani di una liberazione completa del popolo da ogni oppressione, fermamente uniti in una società segreta, che agiscano ovunque e sempre in vista del medesimo scopo e in base a un programma unico.
Tale l’idea e tale il piano in base ai quali mi sono legato a voi e per la realizzazione dei quali vi ho teso la mano. Voi sapete fino a che punto io sia rimasto fedele all’unione sigillata dalla mia promessa. Sapete fino a che punto abbia avuto fiducia in voi, una volta convinto della vostra serietà e dell’identità dei nostri programmi rivoluzionari. Non vi chiesi né chi fossero i vostri compagni, né quanti fossero; non ho controllato la forza che rappresentate, e vi ho creduto sulla parola.
L’ho fatto per debolezza, cecità, balordaggine? Voi stesso sapete che non è così. Sapete bene che in me non c’è mai stata una fede cieca, e che già l’anno scorso, nelle nostre conversazioni a due, come pure una volta da Ogarëv e in sua presenza, vi dissi chiaramente che non dobbiamo credervi, perché non vi costa nulla mentire quando pensate che la menzogna possa essere utile alla causa; che, di conseguenza, non abbiamo altra garanzia della verità delle vostre parole se non la vostra serietà, che non può essere messa in dubbio, e la vostra fedeltà incondizionata alla causa; garanzia importante, che tuttavia non vi impedisce di commettere errori, e non ci libera da possibili colpe se ci affidiamo a voi ad occhi chiusi.
Malgrado questo sentimento, di cui vi ho parlato varie volte, mantenevo tuttavia il nostro legame, e vi aiutavo dovunque e finché potevo; volete sapere perché lo facevo? In primo luogo, perché fino alla vostra partenza da Ginevra per la Russia i nostri programmi erano realmente identici. Ho potuto convincermene non solo nel corso delle nostre conversazioni quotidiane, ma anche perché tutti i miei scritti, concepiti e pubblicati davanti a voi, suscitavano in voi una grande simpatia proprio a causa di quei punti che meglio e più chiaramente di altri esprimevano il nostro programma comune, e perché i vostri scritti, pubblicati l’anno scorso, avevano questo stesso carattere.
In secondo luogo perché, riconoscendo in voi una forza reale e instancabile, dedizione, passione, [...] ponderatezza, vi ritenevo e vi ritengo sempre capace di riunire intorno a voi, non per voi ma per la causa, delle forze reali, e io mi dicevo, e ripetevo a Ogarev, che se esse non sono ancora riunite, lo saranno di sicuro in futuro.
In terzo luogo, perché fra tutti i Russi che io conosco, è in voi che ho visto l’uomo più capace di realizzare questa impresa, e mi sono detto, e l’ho detto anche a Ogarev, che non dobbiamo più aspettare un altro uomo, che noi siamo vecchi e probabilmente non incontreremo più un uomo simile, più devoto e capace di voi. Ecco perché, se vogliamo legarci alla causa russa, dobbiamo legarci a voi e a nessun altro. Non conosciamo il Comitato né tutta la vostra Società; possiamo farcene un’idea soltanto in base a quello che abbiamo saputo da voi. Se voi siete serio, perché i vostri compagni presenti e futuri non dovrebbero esserlo? La vostra indiscutibile serietà era per me la garanzia, da una parte, che non avreste ammesso nella vostra cerchia persone futili, e dall’altra che non sareste rimasto solo, ma avreste cercato di creare una forza collettiva.
Certo, esiste in voi, un punto debole che mi ha colpito sin dai primi giorni del nostro incontro, ma al quale confesso di non avere accordato sufficiente attenzione: è la vostra inesperienza, la vostra mancanza di conoscenza delle persone e della vita, accompagnata da un fanatismo che rasenta il misticismo. L’ignoranza delle condizioni sociali, delle abitudini, degli atteggiamenti, dei pensieri e dei sentimenti del cosiddetto mondo istruito vi rende ancora adesso incapace di intervenirvi con successo, seppure con lo scopo di distruggerlo. Ancora oggi voi ignorate i mezzi per acquistarvi influenza e forza, e ciò vi condanna inevitabilmente a commettere errori ogni qualvolta le necessità della causa vi mettono in rapporto con quel mondo. Questo apparve evidente in occasione della sfortunata iniziativa di pubblicare il “Kolokol” in condizioni impossibili. Ma del “Kolokol” parleremo più avanti. Il fatto di non conoscere la psicologia delle persone vi porta inevitabilmente a commettere degli errori. Nello stesso tempo, pretendete troppo, vi aspettate troppo da loro; le incaricate di compiti al di sopra delle loro forze, credendo che tutti gli uomini debbano essere imbevuti della stessa vostra passione mentre, al tempo stesso, non avete nessuna fiducia in loro; di conseguenza non contate sulla passione destata in loro, sul loro attaccamento, sull’onestà intrinseca delle loro aspirazioni verso il vostro scopo; di conseguenza cercate di sottometterli, di spaventarli, di legarli a voi con mezzi di controllo esteriori, quasi sempre insufficienti, di modo che una volta caduti nelle vostre mani non possano mai più svincolarsene. Eppure se ne liberano sempre e continueranno a liberarsene finché non cambierete sistema, finché non cercherete in loro stessi il motivo principale della loro unione con voi. Vi ricordate quanto vi arrabbiavate con me quando chiamavo voi abrek [montanaro caucasiano bandito dal proprio clan o avente fatto voto o giuramento di vendetta sanguinosa. In un senso più largo: combattente maturato per il coraggio della disperazione], e il vostro catechismo un catechismo da abreki; dicevate che tutti gli uomini devono essere fatti così, che l’abnegazione totale di sé e la rinuncia a tutti i bisogni personali, a tutte le soddisfazioni, a sentimenti, affetti e legami, devono essere lo stato normale, naturale e quotidiano di tutti, senza eccezione. Della vostra stessa crudeltà verso voi stesso piena di abnegazione, del vostro estremo fanatismo, di questo volete fare, perfino oggi, una regola di vita della comunità. Ciò che voi volete è assurdo, impossibile, è la negazione totale della natura, dell’uomo e della società. Un simile desiderio è funesto, poiché vi porta a spendere invano le vostre forze, e a fallire nei vostri tentativi. Nessun uomo, quale che sia la sua forza, e nessuna società, per quanto perfetta sia la sua disciplina e potente la sua organizzazione, potrà mai vincere la natura. Soltanto i fanatici religiosi e gli asceti possono pensare di vincerla; per questo ero stupito – ma non troppo e non a lungo – di trovare in voi una specie di idealismo mistico, panteista. Collegandolo con le vostre inclinazioni caratteristiche, ciò mi sembrò assolutamente chiaro, benché assolutamente ridicolo. Sì, caro amico, voi non siete un materialista come noialtri, poveri peccatori, ma un idealista, un profeta, una specie di monaco della rivoluzione; il vostro eroe non deve essere Babeuf e neanche Marat, ma un qualsiasi Savonarola. Col vostro modo di pensare siete più vicino a Mecenate, [il nome, indecifrabile, probabilmente è stato mal ricopiato], ai gesuiti, che non a noi. Siete un fanatico, questa è la vostra forza enorme di carattere, ma anche la vostra cecità; e la cecità è una debolezza grande e funesta; l’energia cieca va a tentoni e inciampa, e più è potente, più grandi e inesorabili sono i suoi errori. Siete sommamente privo di spirito critico, e con un simile difetto [...] l’esatta valutazione degli individui, delle situazioni, dei rapporti esistenti tra i mezzi e lo scopo [...] è impossibile.
Capivo tutto questo e me lo dicevo già l’anno scorso. Ma l’equilibrio si ristabiliva in vostro favore per due considerazioni. In primo luogo, riconoscevo e riconosco tuttora in voi una forza enorme, e si può dire assolutamente pura, senza nessuna mescolanza di egoismo né di vanità, una forza tale che non ne ho incontrato una simile in altri Russi. In secondo luogo, mi dicevo e mi dico sempre che siete ancora giovane, [tutto d’un pezzo] e talmente immune da ogni accecamento e da ogni capriccio personale ed egoistico, che non potete sbagliare strada a lungo né perseverare in un errore funesto alla causa stessa. Ne sono tuttora convinto.
Infine, vedevo e sentivo che non avevate piena fiducia in me, e che anzi sotto molti aspetti aspiravate a utilizzarmi come strumento per degli scopi immediati a me sconosciuti. Ma questo non mi turbava affatto.
Apprezzavo innanzitutto il vostro silenzio riguardo i membri della vostra organizzazione, convinto come sono che in questo genere di cose perfino le persone più vicine e che godono della nostra fiducia devono sapere soltanto ciò che è praticamente necessario al successo del loro compito specifico. E mi concederete che non vi ho mai fatto domande indiscrete. Anche se aveste menzionato dei nomi (contrariamente ai vostri obblighi), questo non mi avrebbe messo al corrente di nulla, visto che non conoscevo le persone corrispondenti a quei nomi. Sarei stato costretto a giudicarle sulla base del vostro giudizio, e in voi io credevo e credo sempre. A mio parere, un Comitato composto da persone simili a voi e che hanno meritato la vostra completa fiducia merita anche tutta la nostra.
Una questione si pone, questa: la vostra organizzazione è realmente esistita, oppure avevate semplicemente l’intenzione di crearla, in un modo o nell’altro? E se esisteva, era numerosa e rappresentava almeno l’embrione di una forza, oppure tutto ciò esisteva soltanto come speranza? Il Comitato stesso, il vostro sancta sanctorum, è esistito nel modo descritto e con quella estrema coesione che vi lega per la vita e per la morte, oppure avevate soltanto l’intenzione di crearlo? In breve, rappresentavate una forza isolata e solitaria, molto rispettabile, ma individuale, oppure una forza collettiva, già realmente esistente? E [...] se la Società e il Comitato direttivo esistevano realmente (supponendo che ne facessero parte, soprattutto del Comitato, persone fedeli, forti, fanaticamente devote e piene di abnegazione personale quanto voi), un’altra domanda mi si affaccia alla mente: avevano, hanno essi spirito pratico e conoscenze sufficienti, preparazione teorica e attitudini, per comprendere le condizioni e i rapporti che reggono la vita del popolo e delle classi in Russia, di modo che il [Comitato] rivoluzionario non sia insignificante, ma effettivo, e che un’organizzazione veramente potente ricopra tutta la vita russa e penetri in tutti gli strati sociali? Dall’energia ardente dei militanti dipendeva la sincerità dell’impresa; dalle loro conoscenze e dal loro spirito pratico il suo successo.
Per farmi un’idea sia della realtà che delle possibilità della vostra impresa, cioè del suo spirito, vi ponevo di continuo innumerevoli domande, e confesso che le vostre risposte non mi soddisfacevano. Benché tentaste di sottrarvi ad esse e di tergiversare, tuttavia mi informaste involontariamente che se dal punto di vista numerico la vostra Società era abbastanza insignificante, da quello delle forze materiali lo era ancora di più. Quanto a spirito pratico, conoscenze e abilità, siete ancora molto indietro. Ma il Comitato formato da voi è certamente composto da uomini che vi somigliano, e fra loro siete uno dei migliori, uno dei più fermi. Siete il fondatore della Società, e fino ad oggi colui che la dirige. Tutto questo, caro amico, l’ho saputo e l’ho capito già l’anno scorso. Ma questo non mi impedì di unirmi a voi, perché in voi riconoscevo [...] un militante lucido e profondamente devoto, come ce ne sono pochi, e perché ero convinto che foste riuscito a trovare e raggruppare uomini simili a voi; ero ugualmente certo, e lo sono tuttora, che grazie all’esperienza e a sforzi ardenti e instancabili, avreste presto raggiunto le conoscenze, la saggezza e l’abilità senza le quali il successo è impossibile. E poiché non pensavo, e tuttora non credo, che esistesse in Russia un altro gruppo serio quanto il vostro, mi decisi nonostante tutto a mantenere i legami.
Non mi ero affatto irritato per il vostro continuo tentativo di esagerare ai miei occhi l’importanza delle vostre forze: questa è l’abitudine inevitabile, spesso utile e a volte audace, di ogni cospiratore. Ma è anche vero che gli sforzi che facevate per ingannarmi erano per me la prova che non capivate gli uomini. Tutte le nostre conversazioni avrebbero dovuto farvi capire, mi sembra, che, per attirarmi, non era necessario darmi le prove di una forza operante, ma soltanto quelle della vostra saggia e incrollabile volontà di crearne una. Ho anche capito che presentandovi a me come il rappresentante, e in qualche modo l’emissario, di un’organizzazione esistente e sufficientemente forte... [frase incompleta]. In questo modo, vi pareva di essere in una posizione tale da permettervi di impormi le vostre condizioni a nome di una forza grandissima, mentre presentandovi come qualcuno che stia cercando di raccoglierne una, sareste stato costretto a parlarmi da pari a pari, da uomo a uomo, e a sottoporre al mio [...] il vostro programma [...] di azione.
Questo non rientrava nei vostri piani. Eravate troppo fanaticamente attaccato al vostro programma e al vostro progetto per sottoporli alla critica di chicchessia. E, in secondo luogo, non credevate abbastanza nella mia dedizione alla causa e nella mia comprensione per farmi conoscere lo stato reale della vostra impresa. Eravate, non senza ragione, scettico verso tutti gli emigrati; nei miei riguardi avevate un atteggiamento forse meno scettico che verso altri, perché vi davo numerose prove della mia disponibilità a servire la causa senza nessuna pretesa personale e senza alcuna vanità... Mi reputavate tuttavia un invalido i cui consigli e le cui conoscenze possono a volte essere utili, ma nulla più [...], un invalido la cui partecipazione alla vostra ardente impresa sarebbe stata inutile e perfino dannosa. Me n’ero accorto perfettamente, ma non me ne offendevo. Lo sapevate voi stesso [...] e non potevate incitarmi a separarmi da voi. Non penso sia necessario provarvi che non sono affatto un uomo finito e incapace di partecipare a un’impresa ardente e seria, come a voi sembrava. Lasciavo e lascio che il tempo e la vostra stessa esperienza vi convincano del contrario.
Vi era inoltre una ragione particolare che mi costringeva e mi costringe ancora a mostrarmi prudente verso tutti gli uomini e tutte le faccende russe. È la mia totale mancanza di denaro. Per tutta la vita ho lottato contro la povertà, e ogni volta che ho potuto intraprendere qualcosa di utile, l’ho fatto non a mie spese, ma con i fondi altrui. Questo mi è valso da molto tempo una quantità di calunnie e di condanne da parte della canaglia russa.
Questi signori hanno completamente insudiciato la mia reputazione e paralizzato considerevolmente la mia attività. Senza vantarmi (perché lo so per esperienza), c’è voluta tutta la mia autentica passione e la mia sincera volontà per non lasciarmi abbattere e per continuare ad agire. Anche voi [...] sapete quanto menzognere e vili siano le voci che circolano a proposito del mio lusso personale e del mio desiderio di ingrassare a spese altrui. Nonostante questo, la gentaglia fra gli emigrati russi – Outin e compagnia – osa chiamarmi venditore di fumo e avido sfruttatore, io che, da quando divenni cosciente delle mie azioni, non ho mai vissuto né voluto vivere per il mio piacere, e ho sempre aspirato alla liberazione degli altri. Non [...] questo per vanagloria – lo dico a voi e agli amici, perché provo il bisogno, e ne ho il diritto, di dirvelo una volta per sempre.
È evidente che devo avere dei mezzi di sostentamento per potermi consacrare interamente al servizio della causa. Sto diventando vecchio; otto anni di reclusione hanno provocato in me una malattia cronica; la mia [...] rovinata esige cure e condizioni di vita tali da permettermi di servire utilmente la causa; inoltre, ho una moglie e dei bambini che non posso condannare a morire di fame; ho fatto il possibile per ridurre le mie spese allo stretto necessario, ma, nonostante questo, non mi sarebbe possibile vivere senza una certa somma mensile. Dove prendere questa somma, se io consacro tutto il mio lavoro alla causa comune?
Ci sono ancora altre considerazioni; ho fondato alcuni anni fa l’Alleanza internazionale segreta rivoluzionaria [si tratta della “Fraternità” o dell’“Alleanza segreta” fondata nel 1868. Dal 1864, Bakunin si dedicò ad organizzare delle società segrete, i cui programmi, statuti, scopi realizzavano l’evoluzione delle sue idee piuttosto che l’attività di un’organizzazione], e non posso né voglio abbandonarla per consacrarmi esclusivamente alla causa russa. Inoltre, nel mio pensiero, la causa russa e quella internazionale sono una sola e unica causa. Finora la causa internazionale non mi ha procurato mezzi di sostentamento, mi ha cagionato solo spese. Ecco in poche parole la chiave della mia situazione; potete dunque comprendere come questa povertà, da una parte, e le basse calunnie sparse dagli emigrati russi dall’altra, limitino la mia libertà di azione nei riguardi di ogni uomo nuovo e di ogni impresa. Vedete quanti motivi avevo per non impormi e per non esigere da voi maggior fiducia di quanta vi sembrasse utile concedermi; [...] di aspettare che voi e i vostri compagni giungeste da soli alla convinzione che fosse possibile, utile e necessario concedermi la vostra fiducia.
In più ho visto e capito che, non trattandomi né da uguale né da uomo in cui avevate fiducia, mi consideravate uno strumento quasi cieco per le necessità della causa, e vi servivate di me – della mia persona, della mia attività e del mio nome – conformandovi così al vostro sistema e sottomettendovi per così dire a una necessità logica. In questo modo, non disponendo in realtà di quella forza della quale mi parlavate, vi servivate del mio nome per creare una forza in Russia, di modo che molte persone pensano veramente che io mi trovi a capo di una Società segreta, della quale, come sapete, io non so assolutamente nulla.
Dovevo permettere che il mio nome venisse utilizzato come mezzo di propaganda e di reclutamento di membri per una organizzazione il cui piano d’azione e i cui scopi immediati mi erano quasi del tutto sconosciuti? Rispondo senza esitare in modo affermativo: sì, lo potevo e lo dovevo. Ecco le mie ragioni:
In primo luogo, sono sempre stato convinto che il Comitato rivoluzionario russo debba trovarsi e agire soltanto in Russia, perché dirigere la rivoluzione russa dall’estero è cosa assurda.
Se voi e i vostri compagni rimaneste a lungo all’estero, vi riterrei non idonei a essere membri del Comitato. Se diventaste degli emigrati, dovreste sottomettervi, come ho fatto io stesso, per tutto ciò che concerne le attività russe, alle direttive di un nuovo Comitato in Russia, riconosciuto da voi e che agisse secondo un programma e un piano stabiliti in comune; da parte vostra, costituireste un Comitato russo all’estero che sovrintederebbe autonomamente alle relazioni, agli affari, alle persone e ai gruppi russi all’estero, in pieno accordo con le direttive del Comitato in Russia, ma con relativa libertà e indipendenza nella scelta dei metodi e delle circostanze dell’azione, e, soprattutto, in assoluto accordo con l’Alleanza internazionale. In tal caso i miei diritti e i miei doveri mi indurrebbero a esigere di diventare membro effettivo con parità di diritti di quel Comitato russo all’estero, istanza che d’altronde ho presentato nella mia ultima lettera indirizzata al Comitato e a voi, e nella quale riconoscevo che il Comitato russo deve trovarsi in Russia stessa. Beninteso, non avevo né la possibilità né l’intenzione di tornare in Russia, e non ho neanche la pretesa di essere membro di codesto Comitato. È attraverso voi che ho preso conoscenza del suo programma e degli scopi generali della sua attività, e trovandomi interamente d’accordo con voi, ho espresso la mia sollecitudine, la mia ferma risoluzione di aiutarvi e di servirvi con tutti i mezzi a mia disposizione; e poiché il mio nome è sembrato a voi un mezzo utile per attirare nuovi membri nella vostra organizzazione, ve l’ho dato. Sapevo che sarebbe stato utilizzato per la causa (e ne erano garanti il nostro programma comune e il vostro carattere) e le critiche pubbliche in seguito ad azioni sbagliate ed errori non mi facevano paura, perché sono già troppo abituato alle ingiurie.
Ricordatevi però che già l’estate scorsa fu convenuto tra noi che tutto ciò che riguarda attività, faccende e persone russe all’estero mi verrà riferito e che tutto ciò che verrà fatto o intrapreso all’estero non lo sarà a mia insaputa e senza il mio consenso. Questa era una condizione necessaria: prima di tutto perché conosco le cose all’estero molto meglio di chiunque di voi; e poi perché una solidarietà cieca e non indipendente da voi negli affari e nelle pubblicazioni all’estero potrebbe mettermi in una situazione di conflitto con i miei doveri e i miei diritti in quanto membro dell’Alleanza internazionale. Ma questa condizione, come vedremo più avanti, non fu osservata da voi, e, se non sarà messa assolutamente in pratica, sarò costretto a rompere ogni legame politico con voi.
Innanzi tutto, il mio sistema differisce dal vostro in quanto non riconosce né l’utilità, né la possibilità stessa di una rivoluzione diversa da quella spontanea, popolare e sociale. Sono profondamente convinto che qualsiasi altra rivoluzione è disonesta, nociva e funesta per la libertà e per il popolo, perché riporta una nuova miseria e una nuova schiavitù per il popolo; inoltre, e questo è l’essenziale, qualsiasi altra rivoluzione è diventata impossibile, irrealizzabile e inattuabile. La centralizzazione e la civiltà progredita, le ferrovie, il telegrafo, i nuovi armamenti e la nuova organizzazione degli eserciti, la scienza dell’amministrazione in genere, cioè la scienza dell’assoggettamento e dello sfruttamento sistematico delle masse popolari, della repressione delle rivolte popolari e di qualsiasi altra rivolta, scienza così accuratamente elaborata, sperimentata con l’esperienza e perfezionata durante gli ultimi settantacinque anni di storia contemporanea – tutto ciò ha fornito attualmente allo Stato una potenza tanto grande che tutti i tentativi artificiali, segreti, di cospirazione al di fuori del popolo, come pure gli attacchi improvvisi, le sorprese e i colpi di mano, sono destinati a essere schiacciati da questa forza; lo Stato può essere vinto e abbattuto soltanto dalla rivoluzione spontanea, popolare e sociale.
Per questo, l’unico scopo della Società segreta deve essere non di creare una forza artificiale al di fuori del popolo, ma di destare le forze popolari spontanee, di unirle e organizzarle; di conseguenza, l’unico esercito rivoluzionario possibile e reale non si trova fuori dal popolo, è il popolo stesso. È impossibile svegliare il popolo con mezzi artificiali, le rivoluzioni popolari sono provocate dalla forza stessa delle cose o da quella corrente storica che invisibilmente e profondamente si infiltra negli strati popolari, li circonda sempre più, li penetra e travaglia fino a emergere in superficie e a infrangere gli ostacoli col suo corso impetuoso, distruggendo tutto ciò che incontra sul suo passaggio.
Artificialmente non si può fare una simile rivoluzione. Non si può neppure affrettarla molto, benché, non dubiti che un’organizzazione abile e intelligente possa facilitarne lo scoppio. Ci sono periodi storici in cui le rivoluzioni sono semplicemente impossibili; ce ne sono altri in cui esse sono inevitabili. In quale periodo ci troviamo attualmente? È mia profonda convinzione che si tratti di un periodo di rivoluzione popolare generale e inevitabile. Non mi accingerò qui a provare la giustezza di tale mia convinzione, perché questo mi porterebbe troppo in là. Inoltre, non c’è bisogno che lo faccia, poiché mi rivolgo a un uomo e a delle persone che, mi sembra, condividono interamente questa opinione. Dicevo che dovunque, in tutta Europa, la rivoluzione sociale e popolare è ineluttabile. Scoppierà forse presto, e dove scoppierà prima: in Russia, in Francia oppure in qualche altro paese dell’Occidente? Nessuno lo può prevedere. Forse scoppierà entro un anno, forse prima, forse non prima di dieci o vent’anni. Non è questo il problema, e gli uomini che hanno intenzione di servirla lealmente non lo fanno per divertimento. Tutte le società segrete che vogliono esserle veramente utili devono prima di tutto rinunciare a ogni nervosismo, a ogni impazienza. Non devono addormentarsi, anzi devono stare in guardia, sempre pronte a cogliere ogni occasione favorevole, ma con tutto ciò devono essere create e organizzate non in vista di una rivolta prossima, ma con lo scopo di compiere un lavoro sotterraneo, paziente e di lungo respiro, secondo l’esempio dei vostri amici, i padri gesuiti.
Limiterò le mie riflessioni alla Russia. Quando scoppierà la rivoluzione russa? Non lo sappiamo. Molti – e confesso di essere stato uno di loro – aspettavano la rivoluzione del popolo nel 1870, e il popolo non si è risvegliato. Si deve forse concludere che il popolo russo farà a meno della rivoluzione, che l’eviterà? No, una simile conclusione è impossibile e sarebbe insensata. Chiunque conosca, da una parte, la situazione critica e perfino disperata del nostro popolo dal punto di vista economico e politico, e, dall’altra, l’incapacità totale del nostro governo e dello Stato, non solo di cambiare, ma perfino di alleviare la sua situazione (incapacità che proviene non da questa o quest’altra caratteristica dei nostri governanti, ma dall’essenza stessa di ogni Stato e in particolare del nostro regime politico) deve necessariamente giungere alla conclusione, che la rivoluzione popolare russa è ineluttabile. È ineluttabile non solo negativamente, lo è anche positivamente, poiché nel nostro popolo, nonostante tutta la sua ignoranza, si è venuto elaborando storicamente un ideale alla cui realizzazione egli aspira, consciamente o inconsciamente. Quest’ideale è il possesso in comune della terra e l’emancipazione completa da ogni costrizione dello Stato e da ogni imposizione. È a questo che aspirava all’epoca dei falsi Dimitri [si tratta delle rivolte del XVII e del XVIII secolo alle quali sono legati i nomi dei falsi Dimitri (pretesi figli dello zar Ivan Vasil’evič)], di Sten’ka Razin e di Pugačev, è a questo che esso aspira ora, mediante ribellioni costanti ma non coordinate e perciò sempre soffocate.
Ho menzionato solo due caratteristiche principali dell’ideale popolare russo, senza pretendere di descriverlo completamente in poche parole. Chissà ciò che ancora si nasconde nelle aspirazioni intellettuali del popolo russo e che apparirà in piena luce durante la prima rivoluzione? Per ora questo mi basta per provare che il nostro popolo non è un foglio bianco sul quale qualsiasi società segreta può scrivere ciò che le pare, per esempio il vostro programma comunista. Il popolo ha elaborato, in parte consciamente e per tre quarti inconsciamente, il suo programma, che ogni società segreta deve conoscere, indovinare, e al quale è costretta a conformarsi se desidera riuscire.
È un fatto innegabile e ben conosciuto da noi che sotto Sten’ka Razin e sotto Pugačev, cioè ogni volta che la rivolta popolare riusciva, non fosse che per poco tempo, il popolo faceva una sola cosa: si impadroniva di tutta la terra, mandava a quel paese i nobili, i proprietari terrieri, i funzionari dello zar e a volte perfino i pope, e si organizzava in comune libero. Ciò significa che il nostro popolo conserva nella memoria e nell’ideale un elemento prezioso che non esiste presso i popoli occidentali: il comune economico libero. Nella vita e nel pensiero popolare ci sono due elementi, due fatti sui quali possiamo appoggiarci: le frequenti rivolte e il comune economico libero. Ma c’è inoltre un terzo elemento, un terzo fatto: sono i cosacchi e il mondo dei briganti e dei ladri, che portano in sé la protesta contro l’oppressione dello Stato e quella patriarcale-comunale, e che ricorda per così dire i primi due elementi.
Le frequenti rivolte, benché sempre suscitate da circostanze fortuite, scaturiscono tuttavia da cause generali ed esprimono il profondo scontento del popolo intero. Costituiscono in qualche modo un fenomeno abituale e comune della vita popolare russa. Non c’è villaggio in Russia che non sia profondamente scontento della propria situazione, che non provi il bisogno, l’urgenza di un cambiamento e che non nasconda in fondo al suo animo collettivo il desiderio di impadronirsi di tutta la terra dei nobili, e poi di tutta la terra dei kulaki; e la convinzione di averne indiscutibilmente diritto; non c’è villaggio che uomini capaci non riuscirebbero a sollevare. Se le campagne non si ribellano più spesso, è unicamente per paura e consapevolezza della propria impotenza. Questo sentimento proviene dalla disunione dei comuni, dalla mancanza di reale solidarietà tra di loro. Se ogni villaggio russo sapesse che nel momento in cui si solleverà, anche tutti gli altri si solleveranno, si potrebbe affermare con certezza che non esisterebbe in Russia un solo villaggio che non si rivolterebbe. Da questo deriva il primo dovere dell’organizzazione segreta, il suo obiettivo e il suo scopo: risvegliare in tutti i comuni la coscienza della loro solidarietà ineluttabile, e risvegliare con ciò nel popolo russo la coscienza della sua potenza; in una parola, unire le numerose rivolte contadine isolate in una rivolta generale del popolo.
Sono profondamente convinto che uno dei mezzi principali per raggiungere questo scopo può e deve essere costituito dai cosacchi liberi, dall’infinita quantità dei nostri vagabondi (santi e non santi), dai pellegrini e dai beguny [Beguny (o stranniki): membri di una setta ortodossa che si costituì nella seconda metà del XVIII secolo], dai ladri e dai briganti – da tutto quel vasto, infinito mondo sotterraneo che da sempre protesta contro lo Stato e lo statalismo e contro la civiltà knut-germanica. Questo è stato detto nell’opuscolo: La questione rivoluzionaria e il modo di proporla, e ha suscitato clamore e indignazione presso tutti i nostri uomini dabbene, futili chiacchieroni che considerano le proprie chiacchiere dottrinali e bizantine alla stregua di azioni. Tutto ciò è assolutamente giusto e si trova confermato da tutto il corso della nostra storia. Il mondo dei cosacchi, dei ladri, dei briganti e dei vagabondi ha avuto precisamente il ruolo di catalizzatore e unificatore delle rivolte comunali individuali, e sotto Sten’ka Razin e Pugačev i vagabondi usciti dal popolo erano le migliori e più fedeli guide della rivoluzione popolare, i promotori dei movimenti popolari generali, precursori della rivolta di tutto il popolo (e non si sa forse che all’occorrenza i vagabondi diventano facilmente ladri e briganti?) E chi non è, da noi, brigante e ladro? Forse il governo? O i nostri speculatori e capitani di industria? Oppure i nostri proprietari terrieri, o i nostri mercanti? Per ciò che mi riguarda, personalmente non tollero né il brigantaggio, né il furto, né qualsiasi altra violenza fatta all’uomo sotto qualsiasi forma; ma confesso che dovendo scegliere tra il brigantaggio e il furto praticato da coloro che occupano il trono e godono di tutti i privilegi da un lato, e il furto e il brigantaggio del popolo dall’altro, starò senza esitazione dalla parte di questi ultimi, che io trovo naturali, necessari e perfino, in un certo senso, legittimi. Riconosco che da un punto di vista profondamente umano, il mondo del brigantaggio popolare è lungi dall’essere bello. Ma che cosa c’è di bello in Russia? Può esistere qualcosa di più immondo del nostro mondo di persone dabbene, di funzionari e di borghesi, di gente colta e onesta, che nasconde sotto cortesi forme occidentali e le maniere pulite, la corruzione terribile del pensiero, dei sentimenti, dei rapporti [sociali] e degli atti individuali! Oppure, nel migliore dei casi, un vuoto [intellettuale] desolante e sconfortante. Nella corruzione popolare c’è invece la natura, la forza, la vita; c’è il diritto conferito dal sacrificio storico plurisecolare; c’è infine una potente protesta contro la radice stessa di ogni corruzione, contro lo Stato – e per questo c’è una possibilità di avvenire. Ecco la ragione per cui parteggio per il brigantaggio popolare e perché vedo in esso uno dei mezzi essenziali della futura rivoluzione popolare in Russia.
Capisco che tutto questo possa suscitare l’indignazione degli idealisti di ogni colore, da Outin a Lopatin, che pensano di poter imporre al popolo il proprio pensiero, la propria volontà e il proprio modo di agire con mezzi violenti e grazie a una organizzazione segreta artificiale. Quanto a me, non ci credo; anzi, sono convinto che al primo disastro che colpirà lo Stato russo, quali ne siano le cause, il popolo si solleverà non secondo l’ideale di Outin o di Lopatin, e neppure secondo il vostro ideale, ma secondo il suo proprio ideale, e nessuna forza di cospirazione artificiale sarà in grado di trattenerlo né di modificarne il movimento naturale, perché nessuna diga è in grado di arginare l’Oceano infuriato. Voi tutti, cari amici miei, andrete in frantumi se non sarete capaci di seguire la corrente popolare; e sono convinto che alla prima grande rivolta popolare il mondo dei vagabondi, dei briganti e dei ladri, che è profondamente radicato nella nostra vita popolare e costituisce una delle sue manifestazioni principali, si solleverà potentemente e in massa.
Buono o cattivo che sia, questo è un fatto indubitabile e ineluttabile, e colui che desidera realmente una rivoluzione popolare russa, colui che vuole servirla, aiutarla, organizzarla, non soltanto sulla carta ma nei fatti, deve esserne cosciente; e non è tutto, perché deve anche conformarsi a questa realtà, non cercare di eluderla, ma adottare nei suoi confronti un atteggiamento consapevole e attivo, e saperla utilizzare come potente mezzo per il trionfo della rivoluzione. In questa materia c’è poco da giocare al padre nobile. Colui che vuole preservare la purezza e la verginità della propria virtù rimanga nel suo studio a sognare, a pensare, a fare riflessioni o a comporre versi. Ma colui che vuole essere un autentico militante rivoluzionario in Russia deve togliersi i guanti, perché non ci sono guanti che valgano a proteggerlo dall’infinito e multiforme fango russo. Il mondo russo, sia gli strati ufficiali privilegiati, sia gli ambienti popolari, è un mondo orribile. La rivoluzione russa sarà certamente una rivoluzione orribile. Colui che teme gli orrori e il fango si allontani da quel mondo e da quella rivoluzione; ma colui che vuole servirla, e sa dove va, cerchi di rinsaldare i propri nervi e sia pronto a tutto.
Utilizzare il mondo dei briganti come strumento della rivoluzione popolare, come strumento per l’unificazione delle rivolte sociali isolate – è un compito difficile; ne riconosco la necessità, ma nello stesso tempo mi rendo conto perfettamente della mia incapacità totale a dedicarmi a tale compito. Per intraprenderlo e portarlo a buon fine, bisogna essere dotati di nervi saldi, di una forza erculea, avere delle convinzioni appassionate e una volontà di ferro. Uomini simili si possono trovare nelle vostre file. Ma gli uomini della nostra generazione, che hanno ricevuto la nostra educazione, ne sono incapaci. Andare verso i briganti non significa diventare un brigante e nient’altro che un brigante; non significa condividere le loro passioni [...], le loro miserie, i loro scopi spesso infami, i loro sentimenti e le loro azioni; significa dotarli di un’anima nuova e risvegliare in loro [il bisogno] di uno scopo diverso, di uno scopo popolare; questi uomini selvaggi e brutali fino alla crudeltà hanno una natura fresca, forte, incontaminata e inesausta, e di conseguenza suscettibile di essere influenzata da una propaganda viva, se con una propaganda veramente viva e non dottrinale si osa avvicinarli, vi si riesce. Sarò pronto ad aggiungere molte cose ancora su questo argomento se dovrò continuare questo scambio di lettere.
Un altro elemento prezioso della futura vita popolare in Russia è il comune economico libero, un elemento veramente prezioso, che non esiste in Occidente. La rivoluzione sociale in Occidente dovrà creare questa indispensabile e fondamentale cellula dell’organizzazione [sociale] futura, e la sua creazione provocherà numerosissime difficoltà all’Occidente. Da noi è già creata; non appena la rivoluzione scoppierà in Russia, non appena lo Stato – con tutti i suoi funzionari – crollerà, il villaggio russo si organizzerà da sé, immediatamente, senza il minimo ostacolo. Per contro, in Russia ci sarà una difficoltà che in Occidente non esiste. I nostri comuni sono terribilmente disuniti; non si conoscono quasi e si drizzano l’uno contro l’altro secondo la vecchia abitudine russa. In questi ultimi tempi, grazie ai provvedimenti finanziari presi dal governo, hanno incominciato a prendere l’abitudine di raggrupparsi sul piano cantonale di modo che il cantone prende sempre di più un significato popolare e riceve una consacrazione popolare, ma tutto finisce lì. Ogni cantone non sa nulla ed è ben deciso a non voler sapere nulla del cantone vicino. Ma per l’organizzazione della vittoria rivoluzionaria, per l’organizzazione della futura libertà popolare, è necessario che i cantoni, con un movimento popolare spontaneo, si uniscano in distretti, i distretti in regioni, e che le regioni formino tra di loro una federazione russa libera.
Risvegliare nei nostri comuni la coscienza di questa necessità per la loro libertà e il loro vantaggio è compito dell’organizzazione segreta, poiché nessuno all’infuori di essa vorrà addossarsi un compito a cui gli interessi del governo e di tutte le classi privilegiate sono fermamente contrari. Come assumerselo, che cosa e come fare per risvegliare nei comuni questa coscienza salutare, l’unica da cui può venire la salvezza? Sarebbe fuori posto continuare sull’argomento.
Ecco dunque, caro amico, nelle sue grandi linee, tutto il programma della rivoluzione popolare russa, profondamente impresso nell’istinto storico e nella situazione del nostro popolo. Colui che vuole mettersi alla testa del movimento popolare deve accettare questo programma per intero ed esserne l’esecutore. Coloro che vogliono imporre al popolo il proprio programma avranno lavorato a proprio danno.
A causa della sua ignoranza e della sua disunione, il popolo stesso, come abbiamo visto, non è in grado di formulare questo programma, di farne un sistema e di unirsi nel suo nome. Il popolo ha dunque bisogno di ausiliari. Dove prenderli? In ogni rivoluzione questo è il problema più difficile. Finora, in tutto l’Occidente, gli ausiliari della rivoluzione provenivano dalle classi privilegiate, e quasi sempre ne risultavano i beneficiari. Anche per questo la Russia è più fortunata dell’Occidente. In Russia c’è una massa enorme di persone istruite e intellettualmente attive, e nello stesso tempo prive di qualsiasi posizione, di qualsiasi possibilità di carriera, di qualsiasi via di uscita. Almeno i tre quarti della nostra gioventù universitaria si trova in questa precisa situazione. I seminaristi, i figli di contadini e di borghesi, i figli di piccoli funzionari e di nobili rovinati... – ma perché parlarne: voi conoscete quel mondo molto meglio di me. Se il popolo è l’esercito rivoluzionario, ecco dunque il nostro stato maggiore, ecco il materiale prezioso di un’organizzazione segreta.
Ma questo mondo, bisogna organizzarlo e moralizzarlo realmente. Mentre voi, grazie al vostro sistema, lo corrompete e preparate in esso dei traditori verso voi stessi e degli sfruttatori del popolo. Ricordatevi che in tutte queste persone c’è pochissimo senso morale, fatta eccezione per un piccolo numero di nature di ferro fondamentalmente morali, formatesi secondo la teoria darwiniana in mezzo a una sporca oppressione e a una miseria infinita. I virtuosi, cioè coloro che amano il popolo e si ergono a favore della giustizia contro ogni ingiustizia, e in favore di tutti gli oppressi contro tutti gli oppressori – i virtuosi, dunque, fanno tutto questo unicamente a causa della propria situazione personale, e non per motivi di coscienza o per deliberato atto di volontà. Prendete da questo mondo cento persone e mettetele in una situazione che permetta loro di sfruttare il popolo e di opprimerlo: possiamo affermare a colpo sicuro che lo sfrutteranno e lo opprimeranno tranquillamente. Ne consegue che c’è in loro pochissima virtù innata. Mettendo a profitto la situazione disastrosa che li rende virtuosi loro malgrado, bisogna dunque risvegliare, educare e fortificare in essi questa virtù, renderla appassionata e cosciente mediante una propaganda costante e con la forza dell’organizzazione. Ora, voi fate esattamente il contrario. Copiando il sistema gesuitico, uccidete sistematicamente in loro ogni sentimento umano e ogni senso personale della giustizia (come se il sentimento e il senso della giustizia potessero essere impersonali), coltivate in loro la menzogna, la diffidenza e la delazione, e contate molto di più sulle costrizioni esteriori, mediante le quali li avete legati a voi, che non sul loro valore interiore. In questo modo basta che le circostanze cambino perché essi si rendano conto che la loro paura del governo è più terribile di quella che hanno di voi, e diventino, grazie alle vostre lezioni, eccellenti servi e delatori al servizio del potere. Perché, caro amico mio, è indubitabile, al presente, che la stragrande maggioranza dei vostri compagni caduti nelle mani della polizia ha denunciato tutto e tutti, senza sforzi speciali da parte delle autorità e senza torture. Questo triste fatto deve aprirvi gli occhi e obbligarvi a cambiare sistema, ammesso che siate ancora capace di correggervi.
Come moralizzare questo mondo? Risvegliando in esso francamente e coscientemente e fortificando nella sua mente e nel suo cuore l’unica e divorante passione della liberazione di tutto il popolo e di tutta l’umanità. Questa è una religione nuova e unica, con la forza della quale si può risvegliare l’anima e creare una forza collettiva di salvezza. Tale deve essere d’ora in poi l’unico contenuto del nostro programma. Il suo scopo immediato: la creazione dell’organizzazione segreta, un’organizzazione che deve nello stesso tempo procurare al popolo una forza ausiliaria e diventare una scuola pratica per l’educazione morale di tutti i suoi membri.
Ma cominciamo col definire lo scopo, il significato e l’oggetto di questa organizzazione. Nel mio sistema, come ho già menzionato varie volte, essa non deve essere l’esercito rivoluzionario; per noi deve esistere un unico esercito rivoluzionario, il popolo; l’organizzazione deve essere soltanto lo stato maggiore di questo esercito, organizzatore non della propria forza ma di quella del popolo, intermediario tra l’istinto popolare e il pensiero rivoluzionario. E questo pensiero è rivoluzionario, vivo, reale e autentico, soltanto perché esprime e forma, e solo nella misura in cui lo fa, gli istinti popolari elaborati dalla storia. Cercare di imporre alle masse il proprio pensiero, semplicista o estraneo ai loro istinti, significa volerli assoggettare a un nuovo Stato. Ecco perché un’organizzazione che desideri sinceramente e unicamente la liberazione della vita popolare, deve adottare un programma che sia la espressione integrale delle aspirazioni popolari. Mi sembra che il programma esposto nel primo numero del “Narodnoe Delo” corrisponda interamente a questo scopo. Esso non impone al popolo nuovi regolamenti, disposizioni o forme di vita, ma scioglie soltanto la sua volontà e dà una grande libertà alla sua autodeterminazione e alla sua organizzazione economica e sociale, che deve essere creata dal popolo stesso, dal basso in alto e non dall’alto in basso. L’organizzazione deve francamente penetrarsi dell’idea di essere al servizio del popolo, di essere il suo ausiliario e non il suo padrone né l’ente che predispone ogni cosa; e questo in nessun caso e sotto nessun pretesto, neanche quello del bene del popolo.
Un compito enorme aspetta l’organizzazione: non soltanto preparare il trionfo della rivoluzione popolare con la propaganda e l’unione delle forze popolari, non soltanto distruggere completamente, con la forza di questa rivoluzione, tutto l’ordine economico, sociale e politico esistente; ma anche, una volta sopravvissuta al trionfo della rivoluzione, rendere impossibile, all’indomani della vittoria popolare, lo stabilirsi di qualsiasi potere statale sul popolo, anche di un potere che, apparentemente, fosse tra i più rivoluzionari, anche il vostro – perché ogni potere, comunque si chiami, ridurrà inevitabilmente il popolo all’antica schiavitù sotto una forma nuova. Per questo la nostra organizzazione deve essere abbastanza forte e vitale per sopravvivere alla prima vittoria del popolo, e ciò non è affatto facile: deve essere così pervasa del proprio principio da fare sperare che, anche all’apice della rivoluzione, non cambierà né il suo pensiero, né il suo carattere, né la sua tendenza. In che cosa deve consistere questa tendenza [fondamentale]? Quali saranno lo scopo principale e il compito dell’organizzazione? Aiutare l’autodeterminazione del popolo sulla base di una assoluta uguaglianza, della libertà umana completa e multiforme, senza la minima ingerenza da parte di qualsiasi potere, anche provvisorio o di transizione, cioè senza la mediazione di qualsiasi sistema statalista.
Siamo i nemici dichiarati di ogni potere ufficiale, anche se si tratta di un potere ultra-rivoluzionario; nemici di ogni dittatura pubblicamente riconosciuta; siamo anarchici socialisti-rivoluzionari. Ma se siamo anarchici, chiederete, con quale diritto vogliamo agire sul popolo e con quali mezzi lo faremo? Rifiutando ogni potere, con l’aiuto di quale potere o piuttosto con quale forza dirigeremo la rivoluzione popolare? Per mezzo di una forza invisibile che non ha carattere pubblico e che non si impone a nessuno; per mezzo della dittatura collettiva della nostra organizzazione, che sarà tanto più potente in quanto rimarrà invisibile, ignota, e sarà priva di diritto e ruolo ufficiali.
Immaginatevi in mezzo al trionfo della rivoluzione spontanea in Russia. Lo Stato, e con esso tutto il sistema sociale e politico, sono stati annientati. Il popolo intero si è sollevato, si è impadronito di tutto ciò di cui ha bisogno e ha cacciato via tutti i fautori del vecchio regime e tutti quelli che volevano nuocergli. Non c’è più né legge né potere. L’Oceano in rivolta ha smantellato tutte le dighe. Tutta questa massa – il popolo russo – che, lungi dall’essere omogeneo, è anzi estremamente vario, si estende sull’immensità dell’impero russo, ha incominciato a vivere e ad agire per conto proprio, in virtù di ciò che è in realtà, e non più di ciò che gli si ordinava di essere, e dovunque lo fa a modo suo: è l’anarchia generale. Il fango torbido che si è raccolto in quantità enormi nelle profondità del popolo sale in superficie; in vari posti appaiono uomini nuovi, audaci, intelligenti, disonesti e ambiziosi che si sforzano palesemente, ognuno a modo suo, di guadagnarsi la fiducia popolare e di utilizzarla per il proprio vantaggio personale. Questi uomini si affrontano, lottano e si distruggono l’un l’altro. Si direbbe un’anarchia terribile e senza via di uscita.
Ma immaginate, in mezzo a questa anarchia popolare, un’organizzazione segreta che ha sparpagliato per tutto l’impero i propri membri organizzati in piccoli gruppi e tuttavia fortemente uniti, ispirati da un pensiero comune, da uno scopo comune, perseguito, s’intende, conformemente alle condizioni, e che agiscono dovunque secondo lo stesso piano. Questi piccoli gruppi, sconosciuti in quanto tali, non hanno nessun potere ufficialmente riconosciuto. Ma forti del proprio pensiero, che esprime l’essenza stessa degli istinti, dei desideri e delle necessità popolari; forti del proprio scopo chiaramente compreso in mezzo alla folla degli uomini che lottano senza scopo e senza un piano prestabilito; forti della stretta solidarietà che ricollega tutti i gruppi oscuri in un insieme organicamente unito; forti infine dell’intelligenza e dell’energia dei propri membri, che sono riusciti a creare intorno a sé una cerchia di persone più o meno fedeli allo stesso pensiero e naturalmente sottomessi alla loro influenza – questi gruppi, che non desiderano nulla per sé, né benefici né onori né potere, saranno in grado di assumere la direzione del movimento popolare contro tutti gli uomini ambiziosi, disuniti e che lottano fra di loro, e di portarlo verso la realizzazione più completa possibile dell’ideale sociale ed economico, e verso l’organizzazione della più completa libertà popolare. Ecco ciò che io chiamo la dittatura collettiva dell’organizzazione segreta.
Questa dittatura non conosce cupidigia, vanità o ambizione, perché è impersonale e impercettibile, e perché non procura ad alcuno degli uomini che compongono i gruppi, o ai gruppi stessi, né benefici né onori, né un riconoscimento ufficiale da parte del potere. Essa non minaccia la libertà del popolo perché è priva di ogni carattere ufficiale; non si instaura come potere statale sul popolo, poiché il suo unico scopo, definito dal suo programma, consiste nel realizzare la libertà popolare più completa.
Una simile dittatura non è affatto contraria al libero sviluppo e all’autodeterminazione del popolo, né alla sua organizzazione dal basso in alto conformemente alle sue abitudini, ai suoi istinti, poiché agisce sul popolo soltanto tramite l’influenza naturale dei membri, che sono privi di ogni potere e sparsi in tutte le regioni, distretti e comuni, come una rete invisibile, e cercano, di comune accordo e ognuno nella propria località, di dirigere il movimento rivoluzionario spontaneo del popolo secondo il piano comune, deciso in anticipo e ben definito. Questo piano organizzante la libertà popolare deve essere, in primo luogo, abbastanza nettamente e chiaramente definito nei suoi princìpi e nei suoi scopi essenziali da escludere qualsiasi possibilità di malinteso e di errore da parte dei membri dell’organizzazione che verranno chiamati ad eseguirlo; e, in secondo luogo, abbastanza vasto e naturale per poter abbracciare e assorbire in sé tutti i cambiamenti inevitabili derivanti dalle circostanze diverse, tutti i vari movimenti provenienti dalla varietà della vita popolare.
Così, tutto consiste nel sapere come organizzare, a partire dagli elementi che conosciamo e che sono per noi accessibili, una simile dittatura collettiva segreta e una forza che potrebbe, in primo luogo, portare avanti una vasta propaganda popolare, una propaganda che penetri realmente nelle masse e con la forza di questa propaganda, ma anche per mezzo di una organizzazione in seno al popolo stesso, unificare le forze sparse in una potenza capace di far crollare lo Stato; e, in secondo luogo, seguire la corrente della rivoluzione senza disintegrarsi né tradire la propria tendenza l’indomani della libertà popolare.
Una simile organizzazione, e in modo particolare il suo nucleo centrale, deve essere formata dagli uomini più lucidi e per quanto possibile istruiti, cioè provvisti di intelligenza pratica, dagli uomini più forti, più passionali, inflessibilmente e invariabilmente dediti alla causa, e che, avendo rinunciato nella misura del possibile ad ogni interesse personale e rifiutato una volta per sempre, per tutta la vita e fino alla morte, tutto ciò che seduce gli uomini, ogni comodità, ogni piacere materiale e sociale, e tutto ciò che soddisfa la vanità, l’amore del prestigio e la gloria, sarebbero unicamente e interamente presi dall’unica passione della liberazione del popolo; uomini che avrebbero rinunciato ad avere un’importanza storica personale da vivi e a lasciare un nome nella storia dopo la morte.
Una simile, totale, abnegazione di sé è possibile soltanto quando si ha la passione rivoluzionaria. Ma la passione non l’otterrete né con la coscienza del dovere assoluto, né tanto meno con un sistema di controllo esteriore fatto di mistificazione e di costrizione. Soltanto la passione può generare senza sforzo nell’uomo un simile miracolo, una simile forza. Da dove proviene e come si forma una simile passione nell’uomo? Proviene dalla vita e si forma con l’azione congiunta del pensiero e della vita: negativamente, come protesta piena di odio contro tutto ciò che esiste e che opprime; positivamente, in una Società di uomini dalle idee e dai sentimenti comuni, come una creazione collettiva dell’ideale nuovo. Tuttavia, bisogna rilevare che questa passione è reale e salutare soltanto nell’unico caso in cui queste due parti – il negativo e il positivo – vi si trovino strettamente legati e in uguali proporzioni. La sola passione negativa, l’odio, non crea nulla, neppure la forza necessaria per distruggere, e di conseguenza non distruggerà nulla; dall’altra parte neanche la passione positiva, da sola, non distruggerà nulla, e poiché la creazione del nuovo è impossibile senza la distruzione del vecchio, essa non può creare nulla e rimane sempre una fantasticheria dottrinale o un dottrinarismo sognatore.
La passione profonda, la passione inestirpabile, incrollabile, è dunque la base di tutto. Colui che non la possiede, anche se fosse un pozzo di scienza e l’uomo più onesto di questo mondo, non potrà sopportare fino in fondo la lotta contro il terribile potere sociale e politico che ci opprime tutti; non potrà resistere a tutte le difficoltà, agli ostacoli e soprattutto alle delusioni che lo aspettano e che gli piomberanno addosso durante questa lotta ineguale e quotidiana. L’uomo privo di passione non avrà né la forza, né la fede, né l’iniziativa, né il coraggio necessari – e senza coraggio una simile impresa non si può fare. Ma la passione da sola è ben poco; la passione crea l’energia, ma l’energia senza una saggia direzione è sterile e assurda. Per questo, di pari passo con la passione, ci vuole anche la ragione, fredda, calcolatrice, realistica, pratica prima di tutto, ma una ragione che abbia ricevuto anche un’educazione teorica fatta sia di cognizioni sia di esperienza; una ragione capace di ampie vedute, ma che non si lasci sfuggire nessun particolare; una ragione capace di capire gli uomini e di intuire le loro qualità, di cogliere la realtà, i rapporti, le condizioni della vita sociale in tutti i suoi strati e in tutte le sue manifestazioni, la loro vera forma e il loro significato, e non di [intravederli] vagamente e arbitrariamente, come fa abbastanza spesso il mio amico, cioè voi. Infine è necessario avere una conoscenza effettiva della Russia e dell’Europa, della loro situazione sociale e politica reale, come pure dello stato d’animo esistente nell’una e nell’altra. Tutto ciò significa che la passione da sola, benché sia sempre l’elemento fondamentale, deve essere guidata dalla ragione e dalle conoscenze, deve smettere di correre a tamburo battente, e, senza perdere la sua fiamma interiore e la sua ardente inflessibilità, deve diventare una passione fredda e con ciò una passione ancora più violenta.
Ecco l’ideale del cospiratore, chiamato a far parte del nucleo dell’organizzazione segreta.
Ma dove prendere uomini simili, mi chiederete, sono essi numerosi in Russia o nell’intera Europa? Di fatto, stando al mio sistema, non occorre che siano numerosi. Ricordatevi che non dovete creare l’esercito, ma soltanto lo stato maggiore della rivoluzione. Di uomini simili, quasi del tutto pronti, ne troverete forse dieci; di uomini capaci di diventarlo e che già vi si stanno preparando, al massimo cinquanta o sessanta, ed è già più di quanto non occorra. Voi stesso, secondo il mio profondo convincimento, malgrado tutte le vostre colpe, i vostri deplorevoli e funesti errori, e una serie odiosa di menzogne volgari e imbecilli nelle quali siete stato trascinato da un sistema sbagliato e non da ambizione personale, vanità o cupidigia (come numerose persone incominciano già a credere); voi stesso, dal quale sarò costretto a separarmi, visto che ho deciso di farlo se non rinuncerete a quel sistema; voi stesso dunque appartenete a quel piccolo numero di uomini. Ed ecco l’unica ragione del mio affetto, della mia fiducia in voi, che rimane nonostante tutto; la ragione anche della mia lunga pazienza che tuttavia è giunta al suo termine. Nonostante i vostri terribili difetti e le vostre sciocchezze, vidi in voi, e continuo a vedere un uomo intelligente, forte, energico, capace di calcolare freddamente; capace anche – seppure per inesperienza, ignoranza e spesso incomprensione – di totale abnegazione, e appassionatamente e interamente fedele e dedito alla causa della liberazione del popolo. Buttate a mare il vostro sistema, e diventerete un uomo prezioso; se non lo farete, diventerete certamente un militante nocivo e distruttivo al massimo grado, non per lo Stato ma per la causa della libertà. Ma spero fermamente che gli ultimi incidenti avvenuti in Russia e all’estero vi abbiano aperto gli occhi, che capirete la necessità di tenderci la mano su basi sincere, e che vorrete farlo. In quel momento, vi ripeto, noi vedremo in voi un uomo prezioso e con gioia riconosceremo in voi la nostra guida per tutte le attività in Russia. E se voi siete veramente un tale uomo allora senza dubbio si troveranno in Russia almeno altri dieci uomini simili a voi. Se non li avete ancora scoperti, cercate e li troverete, e formerete con noi una nuova Società sulle seguenti basi e condizioni reciproche.
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Riconoscimento completo, intero e appassionato del suddetto programma del “Narodnoe Delo”, con le aggiunte e i chiarimenti che vi sembreranno necessari.
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Uguaglianza dei diritti di tutti i membri e solidarietà incondizionata e assoluta (uno per tutti, tutti per uno), con l’obbligo di tutti e di ognuno di aiutarsi a vicenda, di appoggiarsi e di salvare ogni membro fino all’estremo limite del possibile, senza però mettere in pericolo l’esistenza stessa della Società.
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Sincerità assoluta tra i membri. Ogni gesuitismo è bandito dai loro rapporti, come pure l’indegna diffidenza, il controllo perfido, le spiate e le mutue denunce; assenza e proibizione severa di ogni critica alle spalle dei membri. Se un membro ha qualcosa da dire contro un altro membro, deve farlo durante l’assemblea generale e in sua presenza. Controllo fraterno e comune di ognuno da parte di tutti; un controllo che non sia in nessun caso molesto, meschino, né soprattutto astioso, deve sostituire il vostro sistema di controllo gesuitico, e diventare una educazione morale, un sostegno della forza morale di ogni membro e il fondamento di una reciproca, fraterna fiducia, sulla quale poggi tutta la forza interiore ed esteriore della Società.
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Sono esclusi dalla Società tutti gli uomini nervosi, pavidi, vani e ambiziosi. Essi possono essere utilizzati a loro insaputa, come strumenti della Società, ma non devono assolutamente fare parte del nucleo dell’organizzazione.
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Nell’aderire alla Società, ogni membro si condanna per sempre all’anonimato e a una vita priva di rilievo. Tutta la sua energia e intelligenza appartengono alla Società e devono essere impiegate, non a costruirsi una forza pubblica personale, ma a creare la forza collettiva dell’organizzazione. Ognuno deve convincersi che il potere personale è impotente e sterile e che soltanto la forza collettiva può abbattere il nemico comune e raggiungere lo scopo comune; per questo le passioni personali di ogni membro devono a poco a poco essere sostituite dalla passione collettiva.
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Simile a un fiume che si getta nel mare, l’intelligenza individuale di ognuno si perde nella ragione collettiva, e tutti i membri obbediscono incondizionatamente alle decisioni prese in suo nome.
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Tutti i membri hanno gli stessi diritti, conoscono tutti i loro compagni e insieme discutono e decidono tutte le questioni fondamentali ed essenziali che riguardano il programma della Società, come pure l’andamento generale delle attività. Ogni decisione dell’assemblea generale fa legge.
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Ogni membro ha l’effettivo diritto di essere a conoscenza di tutto. Ma la curiosità vana è bandita dalla Società, come pure le conversazioni inutili circa le attività e gli scopi della Società segreta. Poiché ciascuno conosce il programma comune e la tendenza generale dell’attività, nessun membro chiede né cerca di apprendere particolari a lui inutili per la buona riuscita di quel settore delle attività di cui egli è specificamente incaricato; se non ci sarà una necessità pratica, egli non parlerà con nessuno dei suoi compagni della missione che gli è stata affidata.
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La Società elegge un Comitato esecutivo di tre o cinque membri che sulla base del programma e del piano generale d’attività adottato, organizza le sue branche e dirige il lavoro nelle regioni dell’Impero.
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Questo Comitato viene eletto per un periodo illimitato. Se la Società – che chiamerò Fratellanza popolare – è soddisfatta della sua attività, lo mantiene in funzione, e, finché esso è mantenuto in attività, tutti i membri della Fratellanza popolare e tutti i gruppi regionali gli devono obbedienza incondizionata, ad esclusione dei casi in cui le sue istruzioni fossero contrarie sia al programma comune, sia alle regole fondamentali, sia al piano generale dell’azione rivoluzionaria che sono conosciuti da tutti, poiché tutti i fratelli hanno partecipato alle discussioni e alle decisioni.
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In tal caso i membri e i gruppi devono cessare di eseguire le istruzioni del Comitato e convocarlo in giudizio davanti all’assemblea generale della Fratellanza popolare. Se l’assemblea generale non è soddisfatta dell’opera del Comitato, può sempre sostituirlo con un altro.
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Ogni membro, come pure ogni gruppo, può essere giudicato dall’assemblea generale della Fratellanza popolare.
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Essendo ogni fratello a conoscenza di tutto, perfino della composizione del Comitato, l’ammissione di un nuovo membro deve avvenire con grandissima cautela [e moltiplicando] le difficoltà e gli ostacoli, perché una sola scelta sbagliata può mandare in rovina ogni cosa. Nessun membro nuovo verrà ammesso se non vi sarà accordo fra tutti i fratelli o almeno fra i tre quarti dei membri di tutta la Fratellanza popolare.
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Il Comitato distribuisce i membri secondo le regioni e forma gruppi o comandi regionali. Se il numero dei membri è insufficiente, un tale comando può essere costituito da un unico fratello.
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Il comando regionale è incaricato di costituire una Società di secondo grado – la Fratellanza regionale – sulla base dello stesso programma, delle stesse regole e dello stesso piano rivoluzionario.
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Tutti i membri della Fratellanza regionale si conoscono l’un l’altro, ma non conoscono l’esistenza della Fratellanza popolare. Sanno soltanto che esiste un Comitato centrale che trasmette loro le sue istruzioni per l’esecuzione tramite il Comitato regionale, designato dal Comitato centrale.
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I membri del Comitato regionale sono nominati e sostituiti dal Comitato centrale; nei limiti del possibile questo è formato da fratelli popolari o da almeno un fratello. In tal caso, quest’ultimo cerca, con l’accordo del Comitato centrale, i due membri migliori della Fratellanza regionale e con essi forma il Comitato regionale, ma non sulla base della uguaglianza dei diritti di tutti i suoi membri, poiché soltanto il fratello popolare è in contatto col Comitato centrale, le cui istruzioni egli trasmette ai suoi compagni del Comitato regionale.
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Il fratello o i fratelli popolari che si trovano nelle regioni cercano nella Fratellanza regionale gli uomini capaci e degni di essere ammessi nella Fratellanza popolare, e li presentano all’assemblea generale della Fratellanza popolare attraverso il Comitato centrale.
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Ogni Comitato regionale stabilisce dei Comitati di distretto, composti da membri della Fratellanza regionale, i quali sono nominati e sostituiti dal Comitato regionale.
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In caso di necessità, i Comitati di distretto possono fondare, con il consenso del Comitato regionale, un’organizzazione di terzo grado, la Fratellanza di distretto, con programma e statuti della Fratellanza popolare. Il programma e gli statuti della Fratellanza di distretto entreranno in vigore soltanto dopo essere stati discussi e approvati dall’assemblea generale della Fratellanza regionale e confermati dal Comitato regionale.
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Il controllo gesuitico, il sistema fatto di inganni polizieschi e di frodi sono decisamente esclusi dai tre gradi dell’organizzazione segreta, dalle Fratellanze regionali e di distretto come dalla Fratellanza popolare. La forza dell’intera Società, come il senso morale, la fedeltà, l’energia e la dedizione di ogni suo membro, sono fondati esclusivamente e interamente sulla sincerità reciproca, la fiducia reciproca e il controllo fraterno di ognuno da parte di tutti.
Ecco come io concepisco le linee generali del piano della Società. Evidentemente questo piano deve essere sviluppato, a volte modificato secondo le circostanze e il carattere dell’ambiente, e definito molto più chiaramente. Ma sono convinto che questa debba essere la sua essenza, se desiderate creare una forza collettiva reale, capace di servire la causa della liberazione popolare e non [di organizzare] un nuovo sistema di sfruttamento del popolo.
Il sistema di mistificazione e l’inganno gesuitico sono assolutamente esclusi da questo piano, in quanto si tratta di princìpi e metodi nocivi, disgreganti e corruttori. Ma ne sono escluse anche le chiacchiere parlamentari e l’agitazione vana, mentre viene assicurata la disciplina rigorosa di tutti i membri rispetto ai comitati e quella di tutti i comitati subalterni rispetto al Comitato centrale. Alle Fratellanze, e non ai Comitati, spetta mettere sotto accusa i membri ed esercitare il controllo su di loro. Il nuovo potere esecutivo si trova nelle mani dei comitati. Il diritto di mettere sotto accusa i comitati, compreso il Comitato centrale, spetta soltanto alla Fratellanza popolare.
Il mio piano prevede che quest’ultima non comprenderà mai più di cinquanta o al massimo settanta membri. All’inizio avrà soltanto dieci uomini, e anche meno, poi si estenderà lentamente, accogliendo via via nuovi membri in seno al gruppo, sottoponendo ognuno di essi a un esame preliminare molto severo e minuzioso, per ammetterli soltanto su decisione unanime di tutti i membri della Fratellanza popolare o almeno di tre quarti di essi. Non è possibile che in uno, due o tre anni non si trovino trenta o quaranta uomini capaci di essere fratelli popolari.
Immaginate quindi una Fratellanza popolare in tutta la Russia, con quaranta o al massimo settanta membri. Poi alcune centinaia di membri dell’organizzazione di secondo grado – i fratelli regionali – e avrete ricoperto tutta la Russia di una rete realmente potente. Il vostro stato maggiore è costituito e, come è stato detto, gli sono state assicurate, insieme alla prudenza rigorosa e all’esclusione di ogni chiacchiera e ogni dibattito parlamentare vano e vuoto, la verità, la franchezza e la fiducia reciproche, infine la solidarietà reale, in quanto elementi moralizzatori e unificanti.
La Società forma un corpo unico, un tutto saldamente unito, diretto dal Comitato centrale; essa condurrà una guerra sotterranea permanente contro il governo e contro le altre organizzazioni che le si mettono contro, o che, semplicemente, agiscono indipendentemente da essa. E dove c’è guerra, c’è politica, e sono necessarie violenza, astuzia e frode.
Le Società con scopi vicini ai nostri devono essere portate a unirsi alla nostra Società, o perlomeno devono, senza saperlo, esserle subordinate; da esse si devono allontanare tutte le persone che possono riuscire nocive; le Società nemiche e realmente nocive devono essere sciolte; infine il governo deve essere annientato. Tutto questo non verrà raggiunto con la sola propaganda della verità – ci vuole astuzia, diplomazia, inganno. È anche il caso di adoperare il gesuitismo e perfino la mistificazione; la mistificazione è un mezzo necessario e splendido per individuare e distruggere il nemico, ma non è affatto un mezzo utile per guadagnarsi un nuovo amico e attirarlo a sé.
Così, alla base della nostra attività ci deve essere questa semplice legge: verità, onestà, fiducia verso tutti i fratelli e verso ogni persona capace di diventarlo e che vorrete far ammettere fra loro; la menzogna, l’astuzia e – quando sia necessaria – la violenza sono adoperate soltanto verso i nemici. In questo modo moralizzerete, rinsalderete e unirete più strettamente le vostre forze, scioglierete e distruggerete quelle degli altri, dopo avere disorganizzato le loro risorse.
Quanto a voi, caro amico mio – e questo è il vostro principale, il vostro colossale errore – vi siete fatto sedurre dal sistema di Loyola e di Machiavelli, dei quali il primo si proponeva di ridurre in schiavitù l’umanità intera, mentre il secondo cercava di creare uno Stato potente (monarchico o repubblicano, non ha importanza), causando la schiavitù del popolo. Innamorato come siete dei princìpi e dei metodi polizieschi e gesuitici, avete avuto l’idea di fondare su di essi la vostra stessa organizzazione, la vostra stessa forza collettiva segreta, di affidarvi la vostra anima e quella della vostra Società, per cui agite verso i vostri amici come se fossero nemici: giocate d’astuzia con loro, mentite, cercate di dividerli e perfino di metterli in discordia l’uno con l’altro, perché non possano unirsi contro la vostra tutela; voi cercate la forza non nella loro unione, ma nella loro disunione, e siccome non avete in loro nessuna fiducia, cercate di raccogliere contro di loro dei fatti, delle lettere che spesso leggete senza averne il diritto e che rubate persino; per dirla in breve cercate di invischiarli di modo che dipendano da voi come se fossero schiavi. Inoltre, fate questo in un modo talmente maldestro, talmente [...], talmente poco abile, e [sconsiderato], talmente imprudente e impulsivo, che tutte le vostre frodi, le vostre perfidie e i vostri inganni appaiono alla luce del giorno in brevissimo tempo. E ammirate talmente il gesuitismo che avete dimenticato tutto il resto, perfino lo scopo e il desiderio appassionato che vi ci ha portato: la liberazione del popolo. Vi siete talmente incapricciato del gesuitismo che eravate pronto a predicare a tutti la necessità di adoperarlo, perfino a Jukovskij, e volevate perfino scrivere su questo argomento e riempire il “Kolokol” con le vostre teorie, ricordando così il proverbio di Suvorov: “Grazie a Dio, non è furbo colui che da tutti è conosciuto per furbo”. In poche parole, vi siete messo a giocare al gesuitismo come un bambino gioca alle bambole, come Outin gioca alla rivoluzione.
Vediamo ora a che cosa siete giunto e ciò che siete riuscito a fare a Ginevra con l’aiuto del vostro sistema gesuitico. Il fondo Bachmetev vi è stato consegnato. Ecco l’unico risultato sostanziale al quale siete giunto. Ma Ogarëv vi ha consegnato questo fondo, e da parte mia gli ho vivamente consigliato di farlo, non perché vi siete comportato con lui in modo gesuitico, ma perché entrambi, malgrado il vostro gesuitismo molto semplicistico, abbiamo sentito e riconosciuto in voi un uomo profondamente, ardentemente e seriamente dedito alla causa russa. Ma sapete – e questo da parte mia è una confessione amara – sapete che incomincio quasi a rimpiangere di avere consigliato a Ogarëv di consegnarvi quel fondo? non che io pensi che potreste utilizzarlo in modo disonesto e per il vostro vantaggio personale (che tutti i santi mi guardino da un pensiero così vile e veramente assurdo, e che io sia impiccato se mai crederò che impiegherete non fosse che un solo soldo per voi), no, ho incominciato a rimpiangerlo perché, osservando tutte le vostre azioni, ho smesso di credere nella vostra maturità politica, nel grado di responsabilità del vostro Comitato e nell’esistenza stessa di tutta la vostra Società. La somma non è enorme, ma è l’unica che abbiamo e sarà persa invano, inutilmente, impudentemente, in tentativi insensati.
Eppure avreste potuto fare molte cose utili a Ginevra con quella modesta somma in mano e con l’aiuto del piccolo numero di persone che vi hanno accolto così amichevolmente e che hanno dichiarato il loro desiderio di servire la causa comune senza nessuna esigenza né pretesa, senza vanità né ambizione. Avreste potuto creare un organo di stampa serio, con un programma francamente social-rivoluzionario, una delegazione all’estero per sbrigare gli affari russi fuori dalla Russia con una [autonomia] benché non assoluta, ma perlomeno positiva. Per questo sono stato chiamato una prima volta a Ginevra dal vostro Comitato, cioè da voi. E che cosa ho trovato a Ginevra? Prima di tutto un programma alterato del “Kolokol”, nel quale il vostro Comitato e voi esigevate semplicemente delle assurdità portate alle estreme conseguenze. Sappiate che non riesco a perdonarmi la debolezza che mi spinse a cedere alle vostre insistenze su questo argomento: dovrò ancora rispondere di questo disgraziato “Kolokol” e in genere della mia solidarietà con voi davanti a tutti i miei amici internazionali, grazie a Outin da una parte e a Jukovskij dall’altra, che diffondono accuse calunniose contro di me e contro di voi, il primo con astio, il secondo con bonomia.
A proposito di Jukovskij: nei suoi confronti avete dimostrato la vostra totale ignoranza, la vostra incomprensione della psicologia degli uomini e la vostra incapacità di attirarli alla causa con mezzi retti e onesti, cioè con fermezza. Siccome lo conosco molto bene, vi ho descritto con tutti i particolari il suo carattere, le sue capacità e le sue debolezze, di modo che doveva esservi facile portarlo a stabilire dei rapporti seri con voi. Ve l’ho descritto come un uomo molto buono, capace, per niente stupido benché privo di iniziative intellettuali, un uomo che assimila le idee degli altri e che è capace di esserne il divulgatore e di diffonderle con eloquenza, se non per iscritto perlomeno a voce; è un uomo impressionabile come un artista, devoto a una determinata tendenza con una certa tenacia, ma che manca di carattere nel senso che non ama i pericoli, [...] davanti alle contraddizioni violente ed è facilmente influenzabile. In poche parole, è uomo abilissimo come propagandista, ma inadatto ad essere membro di una Società segreta. Avreste dovuto credermi e non l’avete fatto, e invece di attirare Jukovskij verso la nostra causa, lo avete allontanato da voi e da me. Avete cercato di reclutarlo, di invischiarlo e, invischiandolo, di farne il vostro schiavo. Per questo vi siete messo a insultarmi, a prendermi in giro; ma in Jukovskij esiste un istinto di onestà che si è ribellato. Egli mi ha raccontato tutto ciò che gli avete detto di me; lo ha fatto con indignazione, con disgusto, e se avessi più amor proprio e fossi meno forte, questo sarebbe bastato per rompere i rapporti con voi. Vi ricorderete che mi sono accontentato di ripetervi – senza aggiungere commenti – tutte le parole di Jukovskij; ma voi non avete risposto nulla e ho pensato inutile continuare la conversazione. Poi vi siete messo a esporre a Jukovskij le vostre più care teorie statalistico-comuniste e gesuitico-poliziesche, e così facendo lo avete definitivamente allontanato da voi. Infine ci fu quello sfortunato pettegolezzo di Henry [Sutherland] e Jukovskij divenne vostro nemico dichiarato e implacabile, e non soltanto vostro ma, direi, anche mio. Eppure, nonostante tutte le sue debolezze, avrebbe potuto essere utile.
Confesso anche, caro amico, che tutto il vostro sistema di ricatti, di raggiri e di intimidazioni nei riguardi di Tata non mi piaceva affatto, ve l’ho detto più di una volta; il risultato è stato che avete fatto nascere in lei una profonda diffidenza verso noi tutti e la convinzione che voi e io intendiamo sfruttare le sue risorse finanziarie, s’intende, non per la causa ma a nostro vantaggio. Tata è una persona onesta e retta nel senso profondo di questi termini; le manca, mi sembra, la facoltà di dedicarsi interamente a qualcuno o a qualcosa; per questo è una dilettante dal punto di vista intellettuale e morale, ma ci si può fidare della sua parola d’onore, e poteva diventare se non amica nostra, perlomeno una compagna fedele. Con lei bisognava agire francamente e onestamente, senza ricorrere a quegli inganni nei quali voi credete di trovare la vostra forza, ma dove invece si rivela proprio la vostra debolezza. Finché pensavo fosse possibile e utile parlare con lei apertamente e sinceramente, perché desideravo agire sulla sua libera convinzione, l’ho fatto. Non volevo andare più in là con voi, questo mi ripugnava. E mi sono risolutamente allontanato da lei quando ho saputo da voi che Nathalie Alekseevna [Ogareva] sparlava di me, affermando che avevo delle mire sulla fortuna di Tata e quando ho visto che Tata stessa era perplessa, non sapendo se fosse vero oppure no.
A proposito, avete varie volte asserito di aver saputo da Tata che Nathalie Alekseevna e [Stanislaw] Tchórzewski proclamavano ovunque, e dicevano e scrivevano a tutti, che io volevo sfruttare le risorse finanziarie di Tata. Nathalie Alekseevna e Tchórzewski affermano, invece, di non aver mai detto né scritto questo e Tata me lo ha confermato. Durante il mio ultimo soggiorno a Ginevra, mi avete assicurato di aver sentito dire da Serebrennikov (Semen) che Jukovskij gli ha detto che io sfruttavo Tata. Ho interrogato Serebrennikov e ho saputo da lui che Jukovskij ha detto questo di voi e non di me. Voi mi avete raccontato anche che la moglie di Jukovskij vi avrebbe incitato a unirvi a Outin, e vi avrebbe detto che è inutile, impossibile e nocivo associarsi a me. Risulta che ha detto il contrario: non ha parlato di me con voi; non vi ha esortato a unirvi a Outin, che del resto lei stessa ha più o meno lasciato, e non è stata lei, ma voi, a proporre di cercare fondi per associarsi, ed essa aspettava quei fondi da voi.
Vedete a che punto la menzogna stupida è inutile e con quale facilità viene scoperta. Confesso che già il mio primo viaggio a Ginevra mi aveva fortemente deluso e aveva scosso la mia fede nella possibilità di un forte legame e di un’azione comune con voi. Inoltre, non scambiammo una parola sull’affare per il quale ero stato in effetti chiamato a Ginevra e che rappresentava l’unico motivo della mia venuta. Ho avviato varie volte la conversazione sulla delegazione all’estero, voi eludevate il discorso; aspettavate non so quale risposta definitiva dal Comitato, risposta che non è mai giunta. Infine ripartii, avendo spedito tramite vostro una lettera al Comitato (nella quale esigevo un esposto e una definizione chiara dell’affare per cui ero stato chiamato) e dichiaravo di essere deciso di non tornare a Ginevra prima di avere ricevuto dal Comitato una risposta soddisfacente.
In Maggio avete ricominciato a chiamarmi a Ginevra. Rifiutai varie volte di venirci, finalmente lo feci. Quest’ultimo viaggio confermò tutti i miei dubbi e mi fece perdere definitivamente ogni fede nell’onestà e nella rettitudine delle vostre parole. Le vostre conversazioni con Lopatin in mia presenza, la sera stessa del mio arrivo; le sue accuse dirette e perentorie; egli ve le disse in faccia, con una sicurezza che non lasciava dubbi sulla verità delle sue parole – parole che smascheravano le vostre bugie; la sua confutazione categorica di tutti i particolari del racconto della vostra evasione pubblicato da voi, le sue accuse aperte contro i vostri compagni più vicini, che rivelavano il loro vile e addirittura stupido tradimento di fronte alla commissione di istruzione, accuse che non erano gratuite, ma fondate sulle loro deposizioni scritte, che Lopatin, secondo le sue affermazioni, confermate più tardi da voi stesso, ha avuto occasione di leggere; in modo particolare il suo disprezzo per il comportamento, gli intrighi e le denunce assolutamente inutili di [Ivan Gavrilovič] Pryžov, di cui voi mi parlavate sempre come di uno dei vostri migliori e più risoluti compagni. Infine, Lopatin ha negato decisamente e con risolutezza l’esistenza del vostro Comitato e si è espresso in questi termini: “N[ečae]v può raccontarlo a voi, che vivete fuori dalla Russia. Ma egli non oserà ripeterlo in mia presenza, perché sa benissimo che io conosco tutti i gruppi, le persone, i legami personali e i fatti di Russia. Vedete bene che col suo silenzio egli conferma la veridicità di tutto ciò che io dico circa la sua evasione, i cui minimi particolari e circostanze, come lui ben sa, sono a me perfettamente noti; lo stesso vale per i suoi compagni e per il suo immaginario Comitato”. E in effetti a tutto questo voi avete risposto col silenzio e non avete neppure tentato di difendervi, né di difendere nessuno dei vostri compagni, e neppure l’esistenza del vostro Comitato.
Lopatin trionfava; voi indietreggiavate di fronte a lui. Non posso esprimere, caro amico, a che punto ero dispiaciuto per voi e per me stesso. Non posso più dubitare che le parole di Lopatin non fossero vere. Dunque voi ci avete sistematicamente mentito. Dunque tutta la vostra impresa era marcia di menzogne, era costruita sulla sabbia. Dunque il vostro Comitato siete voi, oppure, nel caso migliore, voi ne rappresentate i tre quarti con un’appendice di due, tre o quattro uomini che vi sono subordinati o perlomeno agiscono sotto la vostra influenza predominante. Dunque l’intera causa alla quale consacrate a tal punto la vostra vita è crollata, si è dissolta in fumo in seguito all’indirizzo stupido che le avete dato, in seguito al vostro sistema gesuitico che vi ha corrotto e che ha corrotto ancora di più i vostri compagni. Vi amavo profondamente e vi amo ancora, N[ečae]v; credevo fermamente, troppo fermamente in voi, e vedervi in una simile situazione, così umiliato davanti a quel chiacchierone di Lopatin, era per me di una amarezza indicibile.
Ero afflitto anche per me stesso. Trascinato dalla mia fiducia in voi, ho messo il mio nome a vostra disposizione e mi sono pubblicamente legato alla vostra impresa. Mi sono ingegnato con tutte le mie forze per rinsaldare la simpatia di Ogarëv per voi e la sua fede nella vostra causa.
Gli ho sempre consigliato di rimettervi il fondo per intero. Ho fatto sì che Ozerov vi si avvicinasse e ho fatto tutti gli sforzi possibili per convincere Tata di associarsi a noi, cioè a voi, e di dedicarsi interamente alla vostra causa. Infine, andando contro la mia convinzione personale, ho persuaso Ogarev ad acconsentire alla pubblicazione del “Kolokol” secondo il programma strampalato e oltranzista da voi inventato. In breve, credendo incondizionatamente in voi, mentre mi stavate ingannando sistematicamente, mi sono dimostrato uno stupido bell’e buono (questo è amaro e vergognoso per un uomo della mia esperienza e della mia età) inoltre, ciò che è peggio, ho danneggiato la mia posizione rispetto alla causa russa e internazionale.
Quando Lopatin fu partito, vi chiesi: possibile che abbia detto la verità, possibile che tutto ciò che mi avete detto sia pura menzogna? Voi evitaste di rispondere. Si stava facendo tardi: io partii. Tutte le conversazioni e le trattative dell’indomani con Lopatin mi convinsero definitivamente che diceva la verità. Voi stavate zitto: il risultato della vostra ultima conversazione con Lopatin, non me lo avete comunicato; ma l’ho saputo adesso dalla lettera di Lopatin che vi verrà letta da Ozerov.
Ciò che adesso so mi basta per decidermi a prendere delle misure contro ogni ulteriore tentativo da parte vostra di sfruttarmi e di sfruttare i miei amici; per questo scrissi un ultimatum che vi lessi poco dopo dai Turchi e che in apparenza voi accettaste. Da allora non vi ho più rivisto.
Infine, ieri l’altro ho ricevuto una lettera di Lopatin che mi ha messo a conoscenza di due fatti molto tristi: primo, voi... (non voglio adoperare superlativi) avete mentito nel riferire la vostra conversazione con Lopatin. Tutto ciò che mi avete ripetuto come parole sue è pura menzogna. Egli non vi ha detto che gli ho consegnato le lettere di Ljubavin, non vi ha detto: “Il vecchio non ce l’ha fatta, ora ce l’abbiamo in pugno; ora non può nulla contro di noi, mentre noi possiamo tutto...”; al che voi gli avreste risposto: “Se B[akuni]n ha avuto la debolezza di consegnarvi le lettere di Ljubavin, abbiamo ancora altre lettere, ecc.”. Avete mentito, avete calunniato Lopatin, mi avete deliberatamente ingannato; Lopatin si stupisce che io vi abbia creduto, e trae con cortesia da questo fatto conclusioni poco lusinghiere per le mie facoltà intellettuali. Ha ragione, in questo caso mi sono dimostrato un perfetto imbecille. Ma non mi avrebbe giudicato così severamente se avesse saputo quanto profondamente, quanto appassionatamente, quanto teneramente vi amavo e credevo in voi! Avete creduto utile uccidere in me questa fiducia, e ci siete riuscito; peggio per voi. Inoltre, come potevo pensare che un uomo come voi, intelligente e votato alla causa, come vi giudico ancora nonostante tutto ciò che è successo, avrebbe potuto mentire così impudentemente e così stupidamente di fronte a me, della cui dedizione non potevate dubitare? Come non vi è venuto in mente che la vostra impudente menzogna sarebbe stata scoperta e che sarei stato costretto a pretendere delle spiegazioni da Lopatin, tanto più che la richiesta di chiarire l’affare con Ljubavin era nettamente formulata nel mio ultimatum?
Altro fatto: Ljubavin non ha ricevuto la mia risposta alla sua sfrontata lettera e quindi neppure la ricevuta che vi era acclusa. Quando vi mostrai l’una e l’altra, voi mi chiedeste di aspettare e di non mandarle. Non ho acconsentito, allora vi siete incaricato di spedirle per posta e non lo avete fatto.
Adesso basta, Nečaev. I nostri rapporti passati e i nostri reciproci obblighi sono finiti. Li avete distrutti voi stesso. Se continuate a pensare di avermi legato a voi e invischiato dal punto di vista morale e materiale, vi sbagliate di molto. Nulla al mondo può legarmi contro la mia coscienza, contro il mio cuore, contro la mia volontà, contro il mio intendimento e il mio dovere rivoluzionario.
Dal punto di vista finanziario è vero, mi trovo ora, grazie a voi, in una situazione molto difficile. Non ho mezzi di sostentamento e l’unica fonte di guadagno – la traduzione di Marx e la speranza che essa mi suscitava di ottenere altri lavori letterari – è ora esaurita. Sono all’asciutto e non so come cavarmela, ma questa è la cosa meno importante.
È vero che ho compromesso alcuni amici e che mi sono compromesso di fronte a loro; è vero che le calunnie piovono su di me a proposito del fondo, a proposito della storia di Ljubavin, a proposito di Tata, infine a proposito di tutti i più recenti avvenimenti accaduti in Russia.
Tutto ciò non mi fermerà certo; in caso di bisogno estremo, sarò pronto a fare una confessione pubblica e a pentirmi della mia stupidaggine; mi vergognerò molto, è evidente, voi però starete ancora peggio; ma non rimarrò il vostro alleato involontario.
Vi dichiaro dunque risolutamente che tutti i miei malsani rapporti con voi e con la vostra impresa sono rotti. Ma nel romperli, vi propongo di stabilire rapporti, su altre basi.
Lopatin, che non vi conosce come vi conosco io, sarebbe stupito di una simile proposta da parte mia, dopo tutto ciò che è successo fra noi. Voi non ne sarete stupito, e neanche i miei compagni più vicini.
Certo avete commesso molte sciocchezze e turpitudini che possono veramente danneggiare la causa stessa e portarla alla rovina. Ma non dubito che tutte le vostre azioni assurde e i vostri terribili errori abbiano avuto per motivo non i vostri interessi personali, la cupidigia, la vanità o l’amor proprio, ma solo le vostre concezioni sbagliate. Siete un uomo appassionatamente devoto. Pochi vi assomigliano; questa è la vostra forza, il vostro valore, il vostro diritto. Voi e il vostro Comitato (se esiste realmente) siete pieni di energia e di premura nell’eseguire senza frasi vane tutto ciò che giudicate utile per la causa, e questo è prezioso. Ma non esiste senso comune né nel vostro Comitato né in voi, su questo ora non c’è dubbio. Come bambini, avete afferrato [...] il sistema gesuitico e vedendovi tutta la vostra forza, il vostro successo e la vostra salvezza, avete dimenticato l’essenza stessa e lo scopo della Società: liberare il popolo non soltanto dal governo, ma anche da voi stessi. Avendo adottato questo sistema, ne siete stati corrotti e avete disonorato la Società davanti al mondo con una serie di inganni palesi e di impenetrabili sciocchezze, come le vostre temibili lettere a Ljubavin, a Nathalie Alekseevna [...] che vanno di pari passo con la vostra cortese pazienza nei riguardi di Outin, i vostri modi ossequiosi con lui (mentre egli ci stava calunniando tutti con gran rumore e insolenza) e col vostro programma comunista imbecille e tutta una serie di spudorati imbrogli. Tutto questo dimostra l’assenza totale di ragione, di sapere e di conoscenza degli uomini, dei rapporti [sociali] e delle cose. È dunque impossibile, almeno per ora, fidarsi del vostro giudizio nonostante il fatto che siate un uomo molto intelligente e capace di svilupparsi ulteriormente; questo dà delle speranze per l’avvenire: quanto al presente, vi siete dimostrato incapace e stupido come un ragazzino.
Fatta la mia convinzione, sono arrivato a questo:
A meno che non interverranno dei fatti a conferma, sono risoluto a non credere più alle vostre parole, alle vostre promesse e alle vostre gratuite affermazioni, sapendo che non vi costa nulla mentire se vi sembra utile per la causa. Non credo più a ciò che a voi potrebbe sembrare giusto e saggio, perché voi e il vostro Comitato mi avete dato troppe prove della vostra effettiva mancanza di buon senso. Ma, mentre nego la vostra dirittura e il vostro buon senso, non solo non nego la vostra energia e la vostra dedizione incondizionata alla causa, ma penso perfino che, sotto questo aspetto, in Russia si troveranno pochi uomini uguali a voi; questo era, lo ripeto ancora una volta, il principale fondamento, se non l’unico del mio affetto per voi e della mia fiducia in voi; e anche ora sono convinto che siate – più di ogni altro russo che io conosca – in grado di servire la causa rivoluzionaria in Russia e designato a servirla all’unica condizione, ovviamente, che vogliate cambiare tutto il sistema delle vostre attività in Russia e all’estero e che vi riesca di farlo. Se non volete cambiare sistema, diventerete inevitabilmente – proprio a causa delle qualità che costituiscono la vostra forza – un uomo estremamente nocivo per la causa.
Per tutte queste considerazioni e nonostante tutto ciò che è successo fra noi, vorrei non soltanto rimanere associato a voi, ma esserlo ancora più strettamente e più saldamente, ovviamente a condizione che cambiate risolutamente sistema e poniate alla base di tutti i nostri futuri rapporti la reciproca fiducia, la sincerità e la verità. Nel caso contrario, la nostra rottura è inevitabile.
Ecco adesso le mie condizioni personali e generali. Comincerò con quelle personali.
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Mi metterete fuori causa dall’affare Ljubavin e me ne scagionerete interamente; per questo scriverete una lettera indirizzata collettivamente a Ogarëv, Tata, Ozerov e S. Serebrennikov, nella quale dichiarerete, conformemente alla verità, che non sapevo nulla della lettera del Comitato e che tale lettera è stata scritta a mia insaputa e contrariamente alla mia volontà.
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Che avete letto la mia risposta a Ljubavin e la ricevuta di 300 rubli che vi era acclusa, e che, dopo averle prese per spedirle, l’avete o non l’avete fatto.
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Che non sono mai intervenuto, direttamente o indirettamente, nella gestione del fondo Bachmetev, che voi avete ricevuto nella sua totalità in varie riprese: prima dalle mani di Herzen e di Ogarëv, poi, ed era il grosso della somma, da Ogarëv che, dopo la morte di Herzen, era il solo ad avere il diritto di disporne; che avete ricevuto quel fondo a nome del Comitato del quale eravate il rappresentante.
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Se non avete ancora consegnato a Ogarëv una ricevuta, dovete dargliela.
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Dovete restituire al più presto il biglietto di Daniel’son tramite me e Lopatin. Se non è in vostro possesso (ma sono certo che lo è), vi impegnerete in questa stessa lettera a farcelo avere al più presto.
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Abbandonerete i vostri tentativi che non portano a nulla, anzi sono indegni e veramente nocivi alla causa di riavvicinamento e di conciliazione con Outin, che ci calunnia nel modo più infame, noi due come pure tutti i vostri amici in Russia; al contrario vi impegnerete a condurre contro di lui una lotta aperta scegliendo il momento e l’occasione favorevoli per non recare danno alla causa.
Ecco le mie condizioni personali. Il rifiuto di accettare una sola di esse e soprattutto le prime cinque e la prima metà della sesta (cioè la rottura di ogni relazione con Outin) sarà per me motivo sufficiente per rompere ogni rapporto con voi. E tutto questo deve essere fatto da voi con generosità, franchezza, onestà, senza il minimo malinteso [...], la minima reticenza, allusione o equivoco. È ora di giocare a carte scoperte.
Ecco ora le mie condizioni generali.
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Senza fare nomi (che non ci sono necessari), ci mostrerete senza esagerazioni e senza menzogne la situazione reale della vostra organizzazione e della vostra attività in Russia, le vostre speranze, la vostra propaganda, i vostri movimenti [che avete iniziato].
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Eliminerete dalla vostra organizzazione ogni impiego del sistema poliziesco e gesuitico, accontentandovi di utilizzarlo soltanto in caso di assoluta necessità pratica, e soprattutto con buon senso, e soltanto nei rapporti col governo e con i partiti nemici.
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Rinuncerete all’idea assurda che si possa fare la rivoluzione al di fuori del popolo e senza la sua partecipazione, e adotterete come fondamento della vostra organizzazione l’idea della rivoluzione popolare spontanea, nella quale il popolo è l’esercito, mentre l’organizzazione è soltanto lo stato maggiore.
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Come base dell’organizzazione adotterete il programma socialista-rivoluzionario esposto nel primo numero del “Narodnoe Delo” e il piano di organizzazione e di propaganda rivoluzionaria descritti nella presente lettera, con le aggiunte e i cambiamenti che troveremo insieme necessari, in un’assemblea generale.
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Tutto ciò che sarà stato deciso in seguito a una discussione comune e a unanimi decisioni sarà da voi sottoposto a tutti i vostri amici in Russia e all’estero. Se rifiuteranno le nostre decisioni, dovrete scegliere se volete unirvi a loro oppure a noi, rompere i vostri legami con loro o con noi.
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Se essi accettano il programma, il piano di organizzazione, lo statuto della Società e il piano di propaganda e di azione rivoluzionaria elaborati da noi, darete la vostra parola d’onore a nome loro e a nome vostro che d’ora in poi questo programma e questo piano d’organizzazione, di propaganda e di azione diventeranno la legge assoluta e la base permanente di tutta la Società in Russia.
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Noi vi crederemo e con voi allacceremo su nuove basi un legame nuovo e forte: Ogarëv, Ozerov, S. Serebrennikov e io, e forse Tata, se vuole; se voi e gli altri siete d’accordo, saremo di diritto dei fratelli popolari che vivono e operano all’estero; in virtù di questo, senza manifestare una curiosità inutile, avremo il diritto di essere informati di tutto e conosceremo realmente e in modo positivo, con tutti i particolari necessari, la situazione delle cospirazioni e degli obiettivi immediati in Russia.
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In seguito, costituiremo una delegazione all’estero, comprendente i soprannominati, per sbrigare all’estero tutti gli affari russi, senza eccezione; in questo modo, la delegazione prenderà in considerazione le indicazioni generali della politica della Società in Russia, ma nella sua attività sceglierà liberamente procedimenti, uomini e mezzi d’azione.
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Inoltre, se sarà necessario e se si disporrà dei mezzi finanziari per farlo, si pubblicherà il “Kolokol” con un programma rivoluzionario e socialista, chiaro e netto.
Ecco le mie condizioni, Nečaev. Se non vi hanno abbandonato il buon senso e un giudizio sano, e se l’amore per la causa è in voi realmente più forte di qualsiasi altra cosa, le accetterete.
Se le respingete, la mia decisione è irremovibile: romperò ogni legame con voi e senza tenere conto di nulla seguendo quello che mi detteranno la mia coscienza, la mia ragione e il mio dovere, agirò in tutta libertà e indipendenza.
M. Bakunin