Titolo: I puntini sulle i
Sottotitolo: Alcune riflessioni a proposito ed in risposta alla rivendicazione FAI ed alle susseguenti chiacchiere mediatiche
Data: maggio 2012
Origine: Consultato l’8 febbraio 2018 su www.informa-azione.info
Note: Scritto in risposta a Il marchio della vita

Inevitabile, è prendere parola nel momento in cui si viene così direttamente chiamati in causa e dai cosiddetti “anarchici informali” e dai media tutti. Probabilmente quanto diremo susciterà altre polemiche ma, sinceramente, crediamo che queste avrebbero dovuto esserci di già molto tempo fa.

Insopportabile: l’essere presi tra due fuochi. Da una parte giornalisti, politici e giudici che speculano su presunti “brodi di coltura”, su fantomatici passaggi che vedrebbero un salto di qualità fra la lotta sociale, di strada – fatta di contestazioni, manifestazioni, azioni, e di tutta la molteplicità di pratiche che la fantasia può mettere a disposizione – e, dall’altra, aspiranti lottarmatisti, ridotti alla parodia di se stessi, che arrivano a sparare per poi dedicare oltre la metà della rivendicazione del gesto a polemiche interne al movimento anarchico, quasi che lo scopo non fosse la sua dimensione politica o sociale (ammettendo che lo possa essere) ma il dimostrare di essere più “puri” di qualcun altro, più anarchici, più duri, più coraggiosi. Insomma da una parte si prepara la forca e dall’altra si continua a rimestare la merda nel proprio stagno.

Immorale. E’ farsi fare la morale su come un anarchico dovrebbe agire per essere “degno” di questo nome.

Indagati. Da una parte dalla questura che, da anni, preme affinché si riesca anche in questa città ad ottenere l’arresto di diversi anarchici e libertari per la solita “associazione a delinquere con finalità eversive” e, dall’altra, dalla neo avanguardia federata che ci spia, evidentemente, pronta a misurare quanto tempo passiamo in “salotto”, cosa facciamo la sera e quanto sia radicale ciò che diciamo e facciamo quando scendiamo in strada.

Innanzitutto. Noi a Genova in questi anni siamo scesi in strada e abbiamo partecipato a diverse lotte sociali, abbiamo organizzato manifestazioni e contestazioni, abbiamo occupato e agito, ci siamo “mossi” col sole e con la luna, non perché riteniamo questo un pezzo di un percorso graduale che, su una presunta linea retta, porta dal volantinaggio alla “lotta armata”, ma perché pensiamo e crediamo che questo è il nostro modo, quello che riteniamo più corretto e coerente con le nostra idee (…e ci dispiace se queste non combaciano con quelle dei “celoduristi dell’anarchia”).

Insieme. E insieme non significa cercare consenso, non significa obbligare la gente ad applaudire o fischiare, non significa dire “o con noi o contro di noi”. Significa essere complici per un momento, per un pezzo di strada, ognuno apportando il proprio contributo e le proprie idee. Non è “complicità” quella che prevede un “pensiero unico”, che non coglie le potenzialità e la bellezza delle diversità che riescono a dialettizzarsi intorno ad una medesima istanza. Per gli “anarchici federati informali” complicità significa sposare acriticamente i loro metodi e le loro (scarse) analisi sociali, pena l’essere indicati come politicanti, riformisti, anarchici da salotto, collaborazionisti.

Insurrezione. Alzarsi e ribaltare il tavolo dei vincoli e delle istituzioni sociali. Questo lo si fa con la condivisione e la partecipazione attiva delle persone, ognuno con i propri mezzi ed i propri tempi. Sentirsi sfruttati fra gli sfruttati, oppressi fra gli oppressi, pensare e lavorare affinché tutti insieme si possa rovesciare le classi dominanti nell’interesse di tutti. Costruire una società nuova con il contributo e la partecipazione di ogni individuo. Questo, magari tagliato un po’ con l’accetta, è l’idea che abbiamo di insurrezione e di rivoluzione. Se la società futura che “gli sparatori” hanno in mente è quella di chi guarda l’altro dall’alto in basso, di chi disprezza tutti come potenziali “complici”, beh, allora non combattiamo dalla stessa parte della barricata.

Imprescindibile è, dunque, per noi il rivendicare le nostre pratiche ed i nostri contenuti, le lotte che abbiamo portato avanti in questa città, come una scelta precisa che nulla ha a che vedere con salti in avanti o indietro. Se volevamo fare il gruppuscolo armato l’avremmo fatto, e questo probabilmente ci sarebbe costato meno in termini repressivi e di controllo. Si sa: inviare ogni tanto mortaretti per posta o fare la bua al polpaccio di un responsabile del cancro nucleare, col nome sull’elenco telefonico e senza scorta, può essere decisamente meno rischioso che ostinarsi ad andare avanti, magari ricominciando cento volte, come individui che si sentono parte del mondo e non al di sopra di esso. Quindi continueremo sulla nostra strada, consapevoli che l’obiettivo non è togliere il monopolio della violenza allo Stato per prenderselo per sé ma far sì che, se necessario, la violenza divenga diffusamente arma di difesa ed attacco degli oppressi tutti.

Inconscio, dei neo avanguardisti. Nel leggere di “piacere ad armare il caricatore”, del “confluire di sensazioni piacevoli”, di armonia con la natura e nichilismo, più varie piccole confessioni da rotocalco per ragazzi, ad una prima analisi, a legger bene e pensar male, appare evidente che più che la fede che animava i nichilisti russi ci si trovi di fronte ad un disagio che ha più a che fare con traumi adolescenziali mal risolti che con la volontà di rovesciare lo zar per aprire la strada al popolo. Il mal celato feticismo per la scoperta dell’arma da fuoco e l’apologia per il proprio coraggio (sino alla galera ed alla morte) ci rimandano ad una dimensione del martirio che con la libertà e l’emancipazione hanno poco a che fare, anche perché escludiamo categoricamente che nell’aldilà ci attendano fiumi di miele e, per i maschietti, 99 vergini.

Insensibilità. La violenza rivoluzionaria può essere una “tragica necessità”, e certamente non siamo qui a piangere per la gamba di un uomo che, lavorando attivamente nella diffusione del nucleare, ha gravi responsabilità nella distruzione del pianeta e nell’assassinio di tantissime persone. Tuttavia, dalla consapevolezza di una tragica necessità all’esaltazione del piacere per l’arma, passa la differenza tra quella che storicamente è stata e che noi chiamiamo giustizia sociale e quella che, nell’attuale situazione storica, per la rivendicazione che si è data, si è mostrata come pura espressione di rancore settario.

Incoerenza. Forse i nostri “nuovi anarchici” non se ne sono accorti ma, mentre loro scrivono di voler “radicalizzare il conflitto”, nelle strade d’Italia e d’Europa il conflitto si sta già radicalizzando da sé, senza bisogno di presunti illuminati a dare l’esempio. In tutti i casi, quello che ci chiediamo è: che cosa ha a che vedere questa visione “azzoppata” del nichilismo con il conflitto sociale (fenomeno allargato per definizione)? L’idea del conflitto sociale e della rivoluzione come fenomeno prettamente ed esclusivamente militare è cosa superata da oltre un secolo. E’ chiaro, crediamo per (quasi) tutti che sul piano meramente militare chi detiene il potere ha già vinto. Se fosse semplicemente il possesso delle armi a stabilire le possibilità di cambiamento allora potremmo di già darci per spacciati. L’equazione pistola=radicalità non sta in piedi da nessun punto di vista, è soltanto una visione auto celebrativa utile a confermare le tesi della polizia. Nelle lotte sociali e partigiane non vi è alcuna gerarchia di mezzi, in alcuni casi possono essere utili le armi, in altre gli scritti e le parole, a volte entrambe, a volte altro ancora. Ciò che conta è la coerenza fra mezzi e fini. Solo l’alzare la testa di tutti gli oppressi può spazzare via l’attuale sistema sociale, e non è implicito né esclusivo che questo debba avvenire “militarmente”.

Il bue… che dice cornuto all’asino. Visto che gli autori del “noto gesto” hanno la pretesa di giudicare la nostra e l’altrui coerenza, facciamo notare che il sottointeso del suddetto gesto assomiglia ad un “colpirne uno per educarne cento”, pratica intimidatoria che forse sarà stata inglobata da quella che i “federati” chiamano “nuova anarchia”, ma che di certo non fa parte della tradizione anarchica a cui noi, irriducibili romanticoni, piace rimanere fedeli: vale a dire che si spara per fermare concretamente un’ingiustizia e non per avvertire e/o storpiare qualcuno.

Individuo, cioè la persona nella sua complessità, interezza, diversità e nelle sue relazioni. Vale per noi e vale per il nostro nemico. Non si spara mai “sulle divise” ma sempre sulle persone. Nel ridurre la persona ad un mero simbolo si compie un’operazione totalitaria, si trasfigura l’umano in una responsabilità e, così facendo, la responsabilità di cui l’individuo si prende carico diviene la sua interezza, vale a dire il mostro da abbattere, il nemico da punire. Qui non si tratta di sparare o non sparare ma di smetterla di ragionare in termini di simboli. Colpire dove più nuoce non dovrebbe significare colpire nel modo più simbolico o spettacolare, più semplice o meno rischioso, ma dove concretamente è possibile fermare l’ingiustizia, inceppare gli ingranaggi della morte. Nel colpire le responsabilità che le persone si assumono nel proprio ruolo noi vediamo il superamento di un ostacolo, la fine di una nocività, e non – come si evince dalla rivendicazione degli “anarchici informali” – il punire una persona. Non siamo giudici, siamo rivoluzionari.

Irredentismo. Di una certa retorica e simbologia “dannunziana” ne faremmo volentieri a meno: l’apologia del “bel gesto”, i movimenti interiori dell’anarchico nuovo, un certo sentimentalismo protoromantico e l’autocompiacimento estetizzante li lasceremmo volentieri ad un passato che, oltretutto, non ci appartiene. Del resto, cari “compagni”, non avete preso Fiume ma, se non ve ne siete accorti, c’è solo un ingegnere con la stampella per il prossimo mese. Già la prosa futuristaindividualista era imbarazzante per i suoi tempi, diciamo che riproporla oggi, in peggio, non è certamente un’urgenza.

Informalità. Non è obbligatorio usare i termini solo perché abusati nel milieu anarchico. Se l’informalità veniva posta (anche) in antitesi al lottarmatismo in un periodo in cui le BR tenevano la scena, allora non è che basta non essere come le BR per “essere informali” o determinare un’organizzazione informale. Quando i “nostri attentatori” ci piazzano una rivendicazione oggi, e ieri altri “federati” si addentravano in uno sproloquio, ambientato a Paperopoli, scritto con tanto di descrizione di metodi, linea da seguire, simbolo e sigle da interporre e post-porre, non basta chiamarne il risultato “spontaneismo armato” per esorcizzare l’ideologia lottarmatista. Tutt’al più quello che si ottiene è un peggiorativo dell’ideologia genitrice in un surrogato che mantiene in sé la logica dell’avanguardia ma gli aggiunge l’aspetto di una irrazionalità apparentemente romantica ma, nei fatti, semplicisticamente manichea. Spontaneamente, d’impulso, senza calcolo o razionalità si possono fare molte cose, ma non è detto che queste cose siano sempre la risposta giusta o migliore.

L’equazione spontaneità (nell’agire) = libera espressione dell’individuo = rivoluzione è, come direbbe un illustre comico genovese, “una cagata pazzesca”. L’azione rivoluzionaria è, e dovrebbe essere, a nostro avviso, il risultato elaborato di ragione e sentimento dell’individuo nelle sue relazioni con altri individui e col mondo circostante.

Incomunicabilità. E in effetti chiunque legga il comunicato di rivendicazione non potrà fare a meno di porsi una domanda: ma per gli attentatori chi sono i veri nemici, i tecnocrati a cui vogliono sparare o gli altri anarchici? Nella logica dualistica sopra citata non esiste spazio per dialogare con gli sfruttati, con gli esclusi – se non quello dell’indicare questi ultimi come complici rassegnati. La rivendicazione è per i media di regime e per lo Stato; le critiche sono per gli specialisti della militanza e per gli anarchici. Non sappiamo quanto le vittime del nucleare, vale a dire gli individui morti “piazzati” qua e la nel testo di rivendicazione, avrebbero mai potuto capire delle polemiche interne ai movimenti. Ma forse è colpa loro… o sono “solo” degli indignati o sono, appunto, morti… vero?

Idiozia, o provocazione? Sinceramente non lo sappiamo ma, sta di fatto, che troviamo alquanto grave che all’interno di una rivendicazione di questo genere vi siano contenuti concetti e frasi (estrapolate e incollate in modo raffazzonato) di testi altrui, scritti con altri obiettivi, con diverse progettualità e soprattutto pubblici… con tutto ciò che può comportare a livello repressivo (e scusate se “ragioniamo col codice penale alla mano”). Dunque la proposta è semplice: cari “anarchici informali”, se – come avete annunciato – dovete proseguire con la strada intrapresa, sareste pregati di spremere un po’ di più le meningi ed esprimere concetti vostri anziché inserire quelli altrui fuori (se non contro) il loro contesto originario.

Incredibile. Comunque dopo tante critiche alla Federazione Anarchica Informale una cosa dobbiamo riconoscergliela: per due ore la produzione di Finmeccanica si fermerà… i lavoratori sciopereranno in difesa ed in solidarietà al “manager azzoppato”. Insomma un grande risultato, di quelli che si ottengono solo quando i muti parlano con i sordi.

In marcia. E così giovedì a Genova si terrà una manifestazione “contro il terrorismo”. La canea mediatica, le istituzioni e gli immancabili sindacati sono riusciti a mettere insieme ciò che per natura è contrapposto: le azioni contro Equitalia e la gambizzazione di un amministratore delegato, l’insorgere – ognuno a suo modo – contro i soprusi e l’avanguardia (mal) armata . Peggio: gli sfruttati e gli sfruttatori. Tanto per essere chiari noi non riteniamo che né la gambizzazione, né le molotov, né gli assalti “di massa” ad Equitalia, siano pratiche terroristiche. Terrorismo è il seminare violenza e panico alla cieca al fine di preservare o conquistare il potere. E questo appartiene allo Stato ed ai “fascisti (nazionalisti e/o religiosi) di varie bandiere”. Detto questo riteniamo la gambizzazione un atto intimidatorio e crudele che eticamente non ci appartiene, mentre riteniamo i vari attacchi ad Equitalia, compiuti dagli sfruttati in questi giorni, una battaglia molto più che condivisibile, fondamentale.

Inquisire e raggruppare tutte le pratiche di dissenso, dalla lotta contro Equitalia a quella contro il TAV, dalle pratiche resistenziali contro la crisi finanziaria alla solidarietà verso gli immigrati perseguitati, in un unico calderone assieme al lottarmatismo è una vecchia modalità che gli Stati hanno tutto l’interesse a mettere in atto. Indicare il movimento anarchico ed i movimenti antagonisti come “brodo di coltura”, dipingere i rivoluzionari come doppiogiochisti (in pubblico tutti insieme alla pari, e di nascosto setta separata e sprezzante), dipingere ogni ostilità come terrorismo, è quello che serve al governo per continuare a far passare le sue “misure anticrisi” riuscendo a mantenerci divisi. Hanno già annunciato il rafforzamento delle misure investigative e repressive, hanno già proposto di voler schierare l’esercito a difesa degli “obiettivi sensibili”. Se gli sfruttati cascheranno in questa trappola vi è il concreto rischio che tutte le lotte iniziate implodano in loro stesse.

In cammino. Che non ci si faccia turlupinare da politicanti e sindacalisti, che si lascino le avanguardie separate alla loro alienazione. Abbiamo bisogno di guardare il mondo con realismo, sapendo coniugare le difficoltà e la tragicità della situazione con le dovute risposte, coerenti coi nostri sogni e i nostri desideri. Non facciamoci prendere dalla paura, soprattutto non facciamoci divorare dall’odio e dal rancore (genitori di ogni forma di alienazione). Il mutuo soccorso ed il mutuo appoggio, la capacità di comprendere, la solidarietà ed il coraggio della coerenza (per cui mai il fine giustifica i mezzi) sono l’arsenale che da sempre gli oppressi hanno nella cantina del loro cuore. E queste armi, queste nostre armi, non le consegneremo facilmente alla polizia.

A cura di qualche anarchico e di alcuni libertari a Genova (occasionalmente “cittadinisti”)

PS:

Incantesimo. Visto che saremo accusati di pratiche magiche, ovvero di riuscire a “dissociarci” da qualcosa a cui non ci siamo mai “associati”, sottolineiamo che questo testo è figlio di alcune individualità e che non a priori rispecchia le posizioni dei vari anarchici e libertari presenti a Genova. Ovvio, ma meglio precisarlo vista l’ottusità dilagante.

Indignati? Noi parecchio, anzi – ve lo concediamo – meglio dire Incazzati.