Anonimo

La Saronno che vorrebbero

note a margine su fogli di via, decoro urbano, sicurezza e ordinanze liberticide

agosto 2014

        Introduzione

      Decoro urbano, ordinanze liberticide, guerra ai poveri

      Fogli di via

      Conclusione

      Appendice

        1. testo sulla deriva securitaria a Saronno, maggio 2014

        2. Testo letto ad un corteo a Trento sulla violazione pubblica del Foglio di Via, novembre 2009

Del resto, così come l’atto sessuale non ha per funzione di procreare ma
molto accidentalmente genera dei bambini, è per sovrappiù che il lavoro
organizzato trasforma la superficie dei continenti, per prolungamento e non
per motivazione.
Lavorare per trasformare il mondo? Ma via!
Il mondo si trasforma nel senso in cui esiste un lavoro forzato;
ed è per questo che si trasforma così male.
Raoul Vaneigem, Trattato di saper vivere ad uso delle nuove generazioni
Nulla avreste visto a Coketown che non fosse severamente lavorativo.
Se i membri di una setta religiosa si costruivano lì una chiesa come
avevano fatto i membri di diciotto sette la facevano come un pio deposito
di mattoni rossi, sormontata qualche volta (ma solo negli esempi più
altamente ornamentali) da una campana in una specie di gabbia di uccelli.
[...] Tutte le epigrafi in città erano scritte allo stesso modo, in severi
caratteri bianchi e neri. La prigione avrebbe potuto essere l’ospedale,
l’ospedale avrebbe potuto essere la prigione; il municipio avrebbe potuto
essere l’una o l’altro o tutti e due, o non importa quale altra cosa, dato che i
rispettivi accorgimenti architettonici non indicavano nulla in contrario.
Fatto, fatto, fatto dappertutto nell’aspetto materiale della città; fatto fatto,
fatto dappertutto in quello immateriale. La scuola di M’Choakumchild non
era che un fatto, la scuola di disegno non era che un fatto, i rapporti fra
padrone e operaio non erano che un fatto, non c’erano che fatti tra l’ospedale
della maternità e il cimitero, e quello che non poteva figurare in cifre, che
non si poteva comperare al prezzo più basso per essere rivenduto al più alto
non era e non sarebbe stato mai,
fino alla fine dei secoli. Amen.
Charles Dickens, Hard times
Introduzione

Le città sono in continuo mutamento.

Il cambiamento è quasi sempre subito dalle persone che le vivono. Nella nostra epoca il cambiamento è quasi sempre figlio di motivazioni economiche. C’è bisogno di arterie stradali efficienti e di ampia portata così da far circolare nel minor tempo possibile la maggior quantità di merce; c’è bisogno di un centro storico tirato a lucido e trasformato in un produttivo centro commerciale a cielo aperto. Non c’è bisogno di boschi o campagne, non c’è bisogno di un centro storico vivo e vissuto dalla libera aggregazione. C’è bisogno di ciò che è produttivo, non c’è bisogno di ciò che non è monetizzabile.

Il cambiamento figlio del profitto e del denaro non comporta solo l’allargamento e il potenziamento delle arterie stradali o la commercializzazione del centro storico, comporta anche l’allontanamento forzato o indotto di tutti gli indesiderabili dalle zone economicamente appetibili.

Viene così agitato lo spauracchio della sicurezza per poi nei fatti criminalizzare e bandire forme di vita e comportamenti banali che hanno l’unica colpa di non servire il regno e l’immagine della merce: così non ci si può più sedere sui gradini di una chiesa e chiacchierare, mangiare un panino senza consumare nei locali, bere una birra per strada, giocare a palla in una piazza, arrampicarsi su un albero; e il passaggio/messaggio che vogliono far passare, tra il non decoroso e il criminale, è assai breve.

Il Potere regna anche attraverso il monopolio del linguaggio e del senso delle parole. Diventa allora fondamentale decifrare e decostruire la retorica sulla sicurezza, sul degrado, sul decoro delle città con cui veniamo bombardati e manipolati tutti i giorni. Cosa degrada e cosa rende veramente insicure le nostre vite? Le merci e il denaro dei negozi, il consumo coatto nei locali, la noia e lo sguardo spento dei consumatori, l’alienazione dei centri commerciali, la cultura di plastica dei grandi “eventi” organizzati dall’alto come la notte bianca.

Il cambiamento delle città non è quasi mai percepito da chi le abita. Un po’ perché il cittadino spesso è indotto (talvolta autoindotto) a subire in silenzio ogni giro di vite giustificandolo come male minore; un po’ perché tanti piccoli mutamenti sono meno traumatici di uno solo e maggiore.

È per questo importante, quando ci si trova in mezzo a questi piccoli cambiamenti nelle nostre città e nelle nostre vite, innanzitutto legarli tra loro, quindi capirne la portata, cercare di leggere la direzione verso cui sta andando la città in cui si vive, per volere di chi, a giovamento di chi, a discapito di chi.

Decoro urbano, ordinanze liberticide, guerra ai poveri

Chi non ha più necessità d’inghiottire, dato che per la gola gli passa solo il
mondo preparato in stato liquido, è già così profondamente cloroformizzato
che in lui non può sorgere alcuna sensazione d’illibertà.
Siamo appunto deprivati del sentimento di essere deprivati. E’ vero, la
situazione del secolo XX si distingue fondamentalmente da quella del XIX.
Se in una delle frasi più famose del secolo scorso si diceva che la
maggioranza dell’umanità di allora «non aveva niente da perdere tranne le
sue catene», oggi bisogna dire che la maggioranza crede di possedere tutto
grazie alle sue catene (di cui non si accorge). Dato che fa parte della natura
di queste catene di non essere avvertite da chi le porta (tanto poco quanto in
qualsiasi apriori), naturalmente non si arriva mai alla paura di perderle.
Gunther Anders, L’uomo è antiquato II
Eppure, il sociologo Robert Castel lo dice chiaramente nella sua analisi
sull’angoscia sociale: “viviamo senza dubbio – perlomeno nei paesi
sviluppati – nelle società più sicure finora mai conosciute”. Gli individui
più viziati di ogni tempo, invece, approcciano l’informazione mediatica con
lo stesso spirito con cui un ipocondriaco legge un testo di patologia medica.
Vi trova tutte le ragioni per sentirsi vicino all’olocausto.
Terrorismo islamista, immigrazione clandestina, microcriminalità,
sono tutti segni del dramma prossimo ed ineluttabile.
Dal settimanale A Rivista, il bonobo e l’anarchico di L. Corvaglia

Nella Saronno che vorrebbero non tutti sono inclusi: guai a vendere due carciofi al mercato cittadino o due braccialetti in una piazza. Può capitare di essere denunciati oppure malmenati dalla Polizia Locale.

La Saronno che vorrebbero è secca e asciutta. Guai a lasciare le fontanelle d’acqua aperte: le fontane sono per i pezzenti che non possono pagarsi la bottiglietta al bar e per di più si rischia di trovarci qualche poveraccio a lavarsi i panni; la Saronno vestita bene se ne lamenterebbe e il sindaco deve pensare ai loro voti. Guai a badare alla qualità dell’acqua presente nelle falde, si rischierebbe di accorgersi che l’acqua, così come l’aria, non solo non è buona ma è sempre più spesso tossica e nociva.

La Saronno che vorrebbero è una Saronno con le strade vuote, riempite solo dal rumore dei motori delle macchine in coda. Non lo diciamo noi, lo dicono loro nel nuovo regolamento di Polizia Locale (alcuni articoli li abbiamo riportati qui di seguito).

La Saronno che vorrebbero è una Saronno sicura, così sicura e deserta da far paura. Prima svuotano le strade e le piazze da chi le vive vietando e multando ogni pericoloso sintomo di vita – compresi bar in pieno centro la cui frequentazione non rispecchia l’ideale di consumatore ricco e pettinato a cui è permesso vivere il centro storico: il centro storico deve restare silente e morto, pronto a essere consumato dal miglior offerente. In seguito lamentano le strade deserte alimentando l’insicurezza diffusa tra la popolazione. Infine cavalcano l’insicurezza diffusa in vista delle elezioni: nella Saronno che vorrebbero viene il mal di testa dalle giravolte che Lor Signori sono capaci di fare.

La Saronno che vorrebbero è una Saronno in cui si può liberamente produrre, consumare e casomai crepare, purché non si rechi eccessivo disturbo alla quiete pubblica. I cortei e le manifestazioni devono essere relegati in periferia, insieme ai senza fissa dimora; il centro è la culla dello shopping, l’emblema della città vetrina. La pubblicità non deve mai mancare, mentre ogni altro tipo di comunicazione è da bandire: basta con i volantini distribuiti al mercato o nelle piazze, basta con i manifesti attaccati nei pressi della stazione e nel resto della città, basta con gli striscioni appesi e basta con le scritte sui muri; le idee sono degradanti, mentre sono ben accette le inoffensive opinioni da bar.

Alcuni nuovi (maggio 2014) articoli del regolamento di Polizia Locale di Saronno prevedono che “per preservare il valore storico e il decoro degli spazi comunali è vietato”:

  • gettare o abbandonare rifiuti

  • bivaccare o sistemare giacigli, sedersi o coricarsi per terra lungo le vie, strade, piazze e luoghi pubblici o aperti al pubblico;

  • consumare cibo all’ingresso o sulle scalinate di accesso a chiese e luoghi di culto o particolari monumenti in particolare piazza Libertà

  • chiesa Prepositurale, piazza San Francesco, Villa Gianetti, Palazzo Visconti, Municipio, piazza Santuario, monumenti ai caduti e l’ingresso al cimitero;

  • usare i luoghi pubblici come siti di deiezioni;

  • deturpare e imbrattare con disegni, adesivi, scritte e simili, i monumenti, le facciate degli edifici i manufatti di arredo urbano, la pavimentazione e la segnaletica orizzontale;

  • collocare o affiggere manifesti fuori dagli spazi destinati dall’Amministrazione comunale;

  • immergersi nelle vasche pubbliche ed utilizzare le stesse per il lavaggio di cose e animali;

  • passeggiare e sostare a torso nudo o in maniera poco decorosa;

  • sedersi sugli schienali delle panchine o appoggiare piedi su sedile;

  • arrampicarsi sugli alberi, salire sulle fontane, sui monumenti sui pali della pubblica illuminazione e segnaletica stradale nel centro urbano.

Fogli di via

La Saronno che vorrebbero è una Saronno in cui non accada nulla senza che il Comune abbia rilasciato l’apposita autorizzazione. È sufficiente distribuire qualche degradante volantino per vedersi addebitare centinaia di euro di multa. Che poi si contravvenga effettivamente oppure no ad una regola sembra essere sempre meno un problema per chi emette dei provvedimenti, spesso utilizzati, anche secondo le loro stesse leggi, in modo illegittimo solo come strumenti di intimidazione repressiva. Lo stesso avviene quando si assiste ad arresti con accuse improbabili (terrorismo, associazione sovversiva), del tutto esagerate per le azioni contestate. Queste accuse cadranno poi nei tribunali, ma intanto le ricadute repressive avranno fatto il loro corso.

La Saronno che vorrebbero è una Saronno produttiva e ligia al dovere, in cui tutti sono spiati e sorvegliati, in cui tutti si sentano a proprio agio ad essere spiati e sorvegliati. Una Saronno in cui i dogmi sacri di proprietà e legalità vincano su tutto. Una Saronno morigerata e pudica, in cui si osi qualcosa meno del consentito, per non rischiare. In una Saronno del genere non c’è spazio per chi non vuole proprio sentirne di sermoni, da nessun pulpito, clericale o politico che sia. Che farsene di quelle persone che riportano nel quotidiano le idee che hanno in testa?

Che farsene di quelle persone che si prendono beffe del dogma della proprietà mostrandone a tutti i limiti e le contraddizioni fatte di accumulo, di abbandono, di degrado, di spreco, di speculazione, di sfruttamento? Che farsene di quelle persone che deridono l’inviolabilità della Legge rifiutando di ragionare con altre teste e con altri cuori al di fuori dei propri, palesando così l’inutilità di una Legge laddove ogni individuo ragionasse con la propria testa e secondo la propria etica?

Di questi individui bisogna sbarazzarsene il prima possibile, sia mai che l’agire di qualcuno inneschi l’azione di qualcun altro. E infatti...

Dati inerenti alla Provincia di Varese pubblicati dalla Questura
Periodo 1° Mag.2013/30 Apr.2014 Periodo 1° Mag.2012/30 Apr.2013
Avvisi orali notificati 102 119
Misure di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. 7 9
Rimpatri con F.V.O. 110 103
Art, 75 Bis legge 309/90 2 5
Daspo 45 28

A Saronno nel corso degli anni molti sono stati i tentativi per soffocare ogni forma di dissenso e per riportare la città ad una condizione di pacificazione sociale, condizione indispensabile per la futura costruzione della città che vorrebbero. Si è iniziato con gli sgomberi e le perquisizioni (inizio 2009), per passare poi dall’emissione di numerosi Avvisi Orali (febbraio 2011). Queste prime misure non devono aver ottenuto i risultati sperati; ecco allora arrivare ad un arresto strumentale (giugno 2013), seguito da una pioggia di denunce (ben 162 da novembre 2013 a luglio 2014) con una serie disparata di reati contestati, tutti legati a situazioni di piazza o di occupazione di stabili abbandonati da anni, dai classici corteo non autorizzato e resistenza fino ad arrivare ai più fantasiosi molestie, attentato alla sicurezza dei trasporti e ricettazione.

Infine tra maggio e luglio 2014 a quattro persone che vivono a Saronno sono stati notificati altrettanti avvii di procedura per l’assegnazione del Foglio di Via. Non è possibile escludere, anzi è probabile, che altre persone vengano colpite da tale provvedimento.

È evidente come vi sia un innalzamento del livello repressivo ogni qual volta la Polizia consideri di non aver ottenuto il risultato sperato, ossia l’annullamento o il totale controllo delle forze conflittuali, e questo a prescindere dal fatto che vi sia stato oppure no un innalzamento del livello di conflitto in campo.

Uno dei rischi in cui si può incorrere in questi casi in una piccola città di provincia come Saronno noi crediamo sia quello di autoisolarsi e autoghettizzarsi, finendo nel vortice che ci vuole intenti ad usare le nostre forze solo per dare risposte prevedibili agli attacchi polizieschi, riducendoci a parlare solo di noi stessi a noi stessi, divenendo così prede sempre più appetibili e colpibili.

È evidente che non si possa ignorare l’azione repressiva, ma efficace è riuscire a palesare come l’attacco ad alcuni sia in verità indirizzato verso una fetta molto più ampia di soggetti; ci sembra quindi necessario fare lo sforzo di condividere con quella fetta molto più ampia di soggetti la natura di queste operazioni, e quindi di non cadere nel tranello di scegliere la Polizia e le forze repressive come unico interlocutore.

Il Foglio di Via Obbligatorio (F.V.O) è un dispositivo di natura amministrativo, regolamentato dal TULPS (codice unico di Polizia) ed attuabile a partire da un’ipotetica pericolosità sociale, irrogabile a discrezione del Questore, senza nemmeno bisogno della firma di un Giudice compiacente. Tale norma prevede l’allontanamento coatto di un individuo da uno specifico comune, senza potervi fare più ritorno, per un periodo variabile da uno a tre anni, pena la condanna da uno a sei mesi.

In sostanza si tratta di un meccanismo di controllo sociale nei confronti di chi si ritiene pericoloso, anche soltanto sulla base del sospetto e, dunque, sulla presunzione di una conseguente nocività sociale per il futuro. A ben guardare, quindi, chiunque potrebbe essere colpito dal Foglio di Via Obbligatorio, a prescindere o meno che venga commesso un particolare reato. Per esempio nei primi mesi del 2014 in alcuni paesi limitrofi a Saronno vengono rilasciati Fogli di Via sulla sola base della mancanza di valide giustificazioni alla propria presenza nella città in questione e quindi nel dubbio la persona ci si trovi con l’intenzione di acquistare della droga.

È evidente come tale mezzo sia facilmente strumentalizzabile dal potere, nei confronti di ogni forma di opposizione sociale, non sanzionabile in altro modo.

Conclusione

Una parte di questa società ha tutto l’interesse che l’ordine continui a regnare, l’altra che tutto crolli al più presto. Decidere da che parte stare
è il primo passo.
Ma ovunque sono i rassegnati, vera base dell’accordo tra le parti, i
miglioratori dell’esistente e i suoi falsi critici. Ovunque, anche nella
nostra vita, che è l’autentico luogo della guerra sociale, nei nostri
desideri, nella nostra risolutezza come nelle nostre piccole, quotidiane
sottomissioni. Con tutto questo occorre venire ai ferri corti,
per arrivare finalmente ai ferri corti con la vita.
Ai ferri corti con l’Esistente, i suoi difensori e i suoi falsi critici

In origine questo opuscolo sarebbe dovuto essere un volantino con cui informare riguardo i recenti cambiamenti che stanno avvenendo a Saronno. Tuttavia ritrovandoci a discutere è emerso come tutti questi piccoli tasselli siano in realtà interconnessi tra loro, formando una ragnatela invisibile in cui è però facile rimanere impigliati. È proprio per condividere alcune riflessioni su questa ragnatela che abbiamo pubblicato questo opuscolo, consapevoli di come la trasformazione di una piccola città come Saronno non sia un processo isolato; non a caso alcuni testi pubblicati dai compagni di altre città anche diverse tra loro, come Genova o Trento, ci hanno fornito interessanti spunti con cui affinare la lettura di quanto sta avvenendo anche da noi.

Avere un’idea precisa di che direzione sta prendendo il cambiamento delle città in cui viviamo ci garantisce la possibilità di provare a capire i prossimi scenari, consentendo di poterci muovere prima di essere totalmente immobilizzati dalla ragnatela del controllo.

Di fronte alla quotidiana catastrofe del quieto vivere e del lento morire spesso ci si ritrova con le mani in mano, non trovando il bandolo della matassa per iniziare a resistere a questa guerra che è stata dichiarata agli esclusi.

Il cittadino che ritiene questo il migliore dei mondi possibili risponde sempre allo stesso modo: “se non ti sta bene vattene a vivere su un cucuzzolo di una montagna come ti pare a te e ai tuoi amici”.

In giro per il mondo ci sono tante lotte da portare avanti, ma è proprio a partire dalle nostre vite e dalla nostra opposizione a questo mondo che scopriamo chi quotidianamente resiste alla città del controllo e dei consumi, chi quotidianamente soddisfa i propri bisogni infischiandosene di dogmi, leggi e morali, chi quotidianamente ricerca nell’affanno della noia imperante una qualche avventura con cui spezzare il monotono e mortale quieto vivere.

Un tetto condiviso o uno sfratto rinviato trasformano l’abusato concetto di solidarietà in qualcosa di concreto e possibile, senza per questo trasformare il mondo che è nel mondo delle favole in cui ogni sfruttato o escluso è a priori una persona con cui ci troveremo a nostro agio e con cui avremo piacere a condividere gioie e dolori. Ma è proprio inserendosi nei processi che ogni giorno danno vita e forma alle nostre città che abbiamo la possibilità di scontrarci con tutte quelle contraddizioni che ci circondano.

Organizzarsi per soddisfare i propri bisogni non significa aver bisogno di un’organizzazione o di una struttura, tutt’altro. La struttura cristallizza ciò che invece è per sua natura fluido e dinamico. I rapporti che nascono e si sviluppano in un quartiere hanno bisogno di spazio e di tempo, non di gerarchia e struttura.

Il rifiuto della politica che è sempre più diffuso riguarda anche il rifiuto del modus operandi del politico, anche di movimento. Avere tutto sotto controllo, misurare la temperatura della rabbia sociale per poterla lanciare nel modo ritenuto più conveniente contro il nemico di volta in volta designato, avere della manovalanza a cui impartire il diktat dell’intellighenzia sono pratiche che vanno nella direzione opposta rispetto a quella auspicabile. Non ci crediamo superiori a nessuno, siamo anzi sicuri che ogni rapporto porti ad un potenziale scambio, ad un reciproco contaminarsi che può arricchire entrambe le parti in causa. La diffusione della pratica dell’occupazione ad esempio è auspicabile se diffusa e incontrollabile, non se figlia della concertazione e del calcolo di qualche astuto politico di movimento. E così è per molte altre pratiche più o meno già diffuse nelle nostre città.

Non c’è certo da stupirsi quando la repressione bussa alle nostre porte o cerca di intimidire chiunque si opponga allo stato delle cose. Il primo obiettivo che molte delle ultime azioni repressive messe in atto è sembrato voler raggiungere è quello di isolare i compagni, quindi la parte più politicizzata e organizzata, dal resto dei soggetti presenti nelle lotte. È stato così per la lotta al TAV, per i movimenti studenteschi, per le lotte nelle cooperative e così via. La tattica sembra essere quella di cercare di isolare e dividere, creando – o rafforzando – un noi e cercando di isolarlo mettendolo da solo di fronte al giudizio del Potere. Nello stesso tempo la dura lezione data a questo noi servirà come monito per tutti quelli che nel corso del tempo, nelle diverse situazioni, si sono trovati a condividere pratiche e momenti di lotta.

Di fronte ad una strategia repressiva che punta all’isolamento ciò che non possiamo fare è chiuderci nei nostri gruppi. In questo modo non potremo che mostrare il fianco agli attacchi repressivi, finendo per cadere nelle scontate, spuntate e prevedibili pratiche della “lotta alla repressione”, con necessari quanto blindatissimi e spesso inoffensivi presidi fuori da carceri e tribunali e raccolte fondi per le spese processuali, ottenendo di vedere le proprie energie completamente assorbite dalle incombenze legali.

Appendice

1. testo sulla deriva securitaria a Saronno, maggio 2014

Sicuri da morire

Uno spettro si aggira per le strade di Saronno: lo spettro dell’insicurezza.

Da diversi anni non esce quotidiano che non ponga una forte enfasi retorica a ingigantire ogni fatto di microcriminalità, in particolare se i protagonisti sono non-italiani; esistono da tempo diversi programmi televisivi che basano la propria sopravvivenza sullo sciacallaggio mediatico di ogni episodio di crimine reale, presunto o inventato, in particolare se i protagonisti sono non-italiani; non esiste discorso da bar in cui il chiacchiericcio non si soffermi sulle mancanze delle forze dell’ordine, troppo poche e poco efficaci per far fronte al crescere della microcriminalità, in particolare se i protagonisti sono non-italiani.

A Saronno i principali fatti di cronaca nera degli ultimi tempi hanno coinvolto solo italiani: italiani i morti, italiani gli assassini.

I nostri promotori del defunto trittico Dio-patria-famiglia hanno avuto un bel grattacapo nel cavalcare l’omicidio di una gioielliera italiana da parte di un trentenne bianco caucasico italiano, tuttavia due dogmi restavano validi: Dio-famiglia.

Hanno trovato nuove difficoltà di fronte all’omicidio di un padre bianco caucasico e italiano da parte del figlio, bianco caucasico e italiano anch’egli. Ma l’ultimo dogma rimaneva intatto: Dio.

Di certo non bestemmie ma diversi improperi saranno usciti dalle bocche dei nostri promotori del defunto trittico Dio-patria-famiglia quando Saronno viene tramortita dallo scandalo pedofilia: un prete, conosciutissimo in città, confessa le sue colpe non solo alla divina provvidenza ma anche alla società. Prete naturalmente bianco caucasico e italiano.

Eppure questi episodi non hanno avuto l’eco che ha avuto una semplice rissa tra non-italiani nei pressi della stazione ferroviaria. È bastata una macchia di rosso sangue sull’asfalto (o forse il nonbianco della pelle dei protagonisti) a scatenare una canea mediatica che da destra a sinistra ha unito i politici nell’unanime grido di aiuto rivolto ai tutori dell’ordine.

Di fronte al crescere di sentimenti securitari e derive xenofobe, inni a pogrom e caccia alle streghe con annesse fiaccolate che rimandano ai roghi del Medioevo c’è da chiedersi: «è davvero così? Siamo davvero assediati da una moltitudine di zombie pronti a rubarci l’anima oltre al portafoglio e all’iPhone?»

Cui prodest scelus, is fecit.

Con questo celebre proverbio Seneca poneva i riflettori di un determinato misfatto su chi da quello poteva trarre giovamento. E chi può trarre giovamento da una situazione di insicurezza diffusa se non lo Stato e i politici? In una fase storica caratterizzata da un inasprimento delle tensioni sociali gettare il classico fumo negli occhi alla popolazione è una strategia utile a concentrare l’opinione pubblica sui piccoli episodi di microcriminalità, distraendola così dalle grandi devastazioni ambientali, dall’attacco ai diritti sul lavoro e dell’abitare, dalla qualità infima della nostra aria, della nostra acqua, della nostra terra, della nostra vita.

Una popolazione terrorizzata dalla possibilità di venir borseggiata applaude all’incremento delle forze dell’ordine, una popolazione intimorita per i reati commessi dagli immigrati accoglie con sollievo la presenza dei CIE, una popolazione spaventata dall’eventualità di trovarsi degli intrusi in casa è favorevole alla capillare diffusione della sorveglianza, e via discorrendo. Ma i provvedimenti che vengono decretati in nome della lotta contro i pochi piccoli delinquenti torneranno utili soprattutto contro i molti potenziali ribelli. Più della microcriminalità sono i conflitti sociali il vero pericolo da reprimere. Lo sfruttamento politico del sentimento di insicurezza è un formidabile motore di leggi repressive.

Una nave in porto è al sicuro ma non è per questo che le navi sono state costruite.

La sicurezza ha come obiettivo l’allontanamento di ogni pericolo, mentre l’esercizio della libertà comporta viceversa la sfida ad ogni pericolo. Non è un caso se l’espressione “mettere al sicuro” indica solitamente il gesto di chiudere sotto chiave. L’esempio tipico è quello dell’animale selvaggio strappato dalla giungla per essere rinchiuso in gabbia. In questo modo, assicurano gli amministratori dello zoo, l’animale viene salvato dai pericoli della giungla e messo al sicuro. Dietro le sbarre non correrà il rischio d’essere abbattuto dai cacciatori o sbranato da bestie feroci. Ebbene, questo animale si trova sì al sicuro, ma a un caro prezzo — la sua libertà. È risaputo: evitando il pericolo non si vive la vita, la si conserva a malapena; perché solo andando incontro al pericolo una vita viene vissuta nella sua pienezza.

L’unione fra sicurezza e libertà è dunque irrimediabilmente incompatibile.

«Più controllo c’è, più siamo al sicuro» dice il popolo bue. E poi rincara la dose: «Le telecamere sono utili perché sotto i loro occhi non può succedere niente». Espressioni agghiaccianti, sintomo di amore incondizionato per il Grande Fratello. Ma chi vorrebbe vivere una vita sottoposta al controllo e in cui non succeda niente? Solo a costo di un completo obnubilamento si può entrare felicemente nel deserto emozionale in cui arranca la nostra epoca.

La libertà è autodeterminazione, scelta di qualsiasi possibilità, azzardo, una sfida all’incognito che non può realizzarsi sotto una campana di vetro.

TeLOS

2. Testo letto ad un corteo a Trento sulla violazione pubblica del Foglio di Via, novembre 2009

Quello che abbiamo da dire è molto semplice: “NO”.

Non accettiamo che un questore, in base ad una legge che affonda le sue radici in un regio decreto del 1931, ci vieti per tre anni di mettere piede nella città di Trento.

Non l’accettiamo per noi perché questo provvedimento fascista ha lo scopo di impedirci di partecipare alle lotte e non l’accettiamo perché vediamo in esso un avvertimento per tutti: se sei “insofferente alle leggi”, se vieni definito “pericoloso per la sicurezza pubblica” o “incline alla devianza” da un qualche questore, anche in assenza di processo e persino di reati, puoi essere allontanato, cacciato, bandito. È chiaro che qui si sperimenta una “misura di prevenzione” (come si chiamava durante il Ventennio e come si chiama tutt’ora) che potrebbe essere applicata a chiunque protesti, lotti o semplicemente abbia un modo di vivere non conforme ai desideri della polizia.

Secondo il questore Caldarola gli unici “validi interessi” per frequentare una città sono l’avervi residenza o lo svolgervi un ́attività lavorativa. Tutto il resto non appartiene alla vita— nemmeno frequentare una scuola, dal momento che due ragazzi colpiti dal Foglio di Via vanno alle superiori a Trento.

Per questo abbiamo scritto che la città che lorsignori vorrebbero è una città morta, una città di fantasmi che producono e consumano.

Devi startene a casa o andare a lavorare. E basta.

Se non hai i documenti in regola, non hai un contratto di lavoro, non hai una casa, ti espello come succede quotidianamente a decine, a centinaia di immigrati in tutta Italia.

Tutto ciò si collega a quell’ideologia della sicurezza in nome della quale in Trentino si emanano ordinanze contro i mendicanti e altrove già si vietano le manifestazioni in centro, gli assembramenti in piazza o addirittura il fatto di sedersi su qualche monumento.

A Trento si è parlato ultimamente persino di togliere le panchine dai parchi dove sovversivamente e oziosamente stazionano giovani, lettori sospetti, immigrati. Costoro non hanno una casa o un lavoro? Vogliono vivere per strada, mentre gli onesti cittadini, dai ventri sazi e gli sguardi obliqui, stanno a casa a guardare la TV? Inaccettabile.

Questa marea montante — che giunge da centrodestra come da centrosinistra — ha come nemico la vita, la vita irriducibile all ́economia, al controllo, al potere.

Sicuri, signori cittadini?

Mentre l’unica sicurezza che si difende e si presidia anche con l’esercito è quella delle casseforti, si attaccano ora le fasce più deboli ma la mannaia liberticida è destinata ad allargarsi: oggi è l’immigrato, il mendicante, l’occupante di case, ma a breve sarà lo scioperante, il manifestante che si difende da un inceneritore, dal TAV, da una base militare...

Anche in altre epoche tanti pensavano che la tempesta avrebbe risparmiato il tepore delle loro case, ma non è andata esattamente così.

Per quanto ci riguarda, il questore Caldarola può emettere tutti i fogli di via che vuole: qui siamo e qui restiamo. A vivere, a resistere, ad attaccare.

Banditi, certo, contro una banda di padroni e di sgherri che vogliono fare della società un deserto climatizzato.

Un Foglio di Via è un pezzo di carta e la carta brucia.

anarchici banditi

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già
qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due
modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno
e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed
esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e
cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Italo Calvino, Le città invisibili

Consultato il 30 novembre 2017 su collafenice.files.wordpress.com
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