Alexandre Baril

Transessualità e privilegio maschile

realtà o finzione?

2009

    PERCHÉ QUESTO OPUSCOLO?

    INTRODUZIONE

    LA TRANSESSUALITA’ E LA NOZIONE DI PRIVILEGIO

      Le identità trans: qualche definizione

      La nozione di privilegio dei gruppi dominanti

      Le ipotesi esplicative di alcune femministe sulle transizioni FTM

    GLI UOMINI TRANS E I PRIVILEGI MASCHILI: FINZIONE O REALTÀ?

      I privilegi maschili per gli uomini trans: prospettive divergenti

      Il dibattito sulla nozione di passing: trans(in)visibile

    LA TRANSFOBIA E I PRIVILEGI CISSESSUALI/CISGENERE

      L’intersezione delle oppressioni e delle lotte: transfobia e sessimo

      La coscienza politica femminista di alcuni attivisti transessuali

      Il transfemminismo: una strada feconda da esplorare

    CONCLUSIONE

    RIFERIMENTI

PERCHÉ QUESTO OPUSCOLO?

Abbiamo deciso di tradurre e pubblicare questo articolo poiché riteniamo che possa essere uno strumento utile a stimolare ed arricchire la discussione all’interno dei movimenti femministi sul posizionamento politico nei confronti delle persone trans*[1], per esempio a proposito dell’inclusività nei loro confronti e della possibilità di realizzare delle alleanze.

A partire dagli anni ‘70 il femminismo bianco, principalmente negli Stati Uniti, ha dovuto fare i conti con questa discussione che è diventata uno dei nodi storici del movimento femminista. Questo contrasto si è manifestato con forza nelle pratiche separatiste dove il movimento femminista, seppur mantenendo una varietà di approcci, si è polarizzato intorno a due posizioni: da un lato chi non includeva le persone trans* nei propri spazi separati e dall’altro chi nel tempo ha costruito la possibilità di allearsi e coesistere in spazi separati per donne, lesbiche e trans*. Questo esempio non è casuale ma indicativo di come l’intero discorso sia spesso stato semplificato e ridotto alla questione delle pratiche di inclusione/esclusione.

Ci piacerebbe quindi stimolare ed arricchire il dibattito non nell’ottica di una guerra sulle barricate in difesa di queste posizioni, ma piuttosto di una riflessione e un confronto collettivi, anche se conflittuali.

Una delle questioni che ci sembra interessante affrontare è il posizionamento nei confronti delle persone che attuano o che hanno attuato una transizione dal femminile verso il maschile (FtM) ed il modo in cui esse vengono percepite all’interno degli ambienti femministi.

Questo articolo è stato pubblicato in Canada nel 2009 da Alexandre Baril, un uomo trans, femminista. L’opuscolo si articola in due parti: la prima riflette sui concetti di privilegio e oppressione mentre la seconda si concentra sull’analisi di questi due elementi in relazione alle persone trans FtM. La complessità dell’argomento lo porta a discutere del modo in cui gli uomini trans beneficiano dei privilegi maschili in una società patriarcale, delle implicazioni del passare[2] e della visibilità, delle intersezioni con altre forme di oppressione, dei privilegi cissessuali e della transfobia.

L’autore presenta una rassegna delle posizioni teoriche espresse sull’argomento nel campo degli studi femministi e degli studi trans a partire da metà anni ‘70, ricercando un confronto e una sintesi tra tali posizioni e proponendo infine un approccio transfemminista.

Proprio per l’ampiezza delle posizioni presentate, riteniamo che questo opuscolo possa essere uno strumento utile in una prospettiva di dibattito data l’assenza di scritti simili in lingua italiana.

Tuttavia questo testo non rispecchia completamente le nostre posizioni e il nostro metodo: ci sono alcune critiche che vogliamo anticipare. I principali limiti del testo risiedono secondo noi nella sua natura accademica. Da tale natura dipende, infatti, la selezione delle fonti, prettamente limitate a tale ambito e che escludono quindi tutte le importanti riflessioni ed esperienze sviluppate in altri contesti (uno per tutti, valga l’esempio dei concetti di oppressione e privilegio che sono stati fondamentali nell’elaborazione teorica del movimento Nero negli stati uniti).

Così come da tale natura derivano la complessità del linguaggio e la selezione e l’utilizzo di parole che fanno riferimento a significati espressi in ambiti universitari.

Anche il filo del discorso è influenzato dalle regole della stesura accademica, dalla continua necessità di citare fonti, di non poter mai esprimere opinioni in prima persona, di presentare il testo come «scientifico» e «oggettivo».

Ma soprattutto, vediamo un grande limite nelle conclusioni dell’articolo, in cui l’autore esprime come unico auspicio lo sviluppo di una maggiore ricerca sui temi affrontati, rimanendo ancora una volta confinato nell’ambito universitario, astratto e teorico. Al contrario, ciò che noi auspichiamo è che sapremo prendere degli spunti di riflessione da questo testo per portarli dal piano della ricerca a quello concreto e reale delle nostre pratiche politiche.

Dal punto di vista del contenuto, ci sembra importante esprimere alcune considerazioni per noi fondamentali.

In primo luogo, l’autore, parlando di identità trans* e in particolar modo FtM, fa riferimento solamente ai percorsi di transizione ufficiali, invisibilizzando l’esistenza di altre identità trans* che scelgono percorsi al di fuori di quello istituzionale e della medicalizzazione, rifiutando di rivolgersi ad autorità psichiatriche, mediche, legali. Come chi sceglie di autogestirsi la somministrazione di ormoni o chi invece decide di modificare il proprio corpo senza ricorrere a ormoni e chirurgia ma piuttosto con esercizi fisici, alimentazione, piante, etc, o ancora chi non sente alcuna esigenza di cambiare il proprio aspetto ma soltanto che gli venga riconosciuta la possibilità di autodeterminare il proprio genere, o chi non sente proprio alcun genere.

In secondo luogo la socializzazione viene presentata in modo deterministico. In essa si individua la causa diretta dei comportamenti e del carattere delle persone. Prendiamo l’esempio riportato nell’opuscolo per cui un trans FtM in quanto socializzato come donna dovrebbe necessariamente avere paura di camminare in strada da solo. In questo modo si dà per scontato che tutte le donne ne abbiano e si implica anche che una persona MtF, quindi socializzata come uomo, non dovrebbe assolutamente averne. Sappiamo bene che esistono tante donne e FtM che non vivono questa paura e donne trans che invece la vivono.

Facendo notare ciò non vogliamo negare la funzione strutturale della socializzazione e dei suoi effetti in una società patriarcale. Ci sembra però interessante riflettere sul modo in cui questi effetti possano essere molto diversi da quelli attesi, in generale, ma soprattutto quando riferiti ad una persona che non si riconosce nel genere assegnatole alla nascita.

Molti altri fattori che influenzano la socializzazione quali il colore della pelle, la classe, l’orientamento sessuale, il luogo in cui si vive, etc... nell’opuscolo non vengono approfonditi. Pur non volendo addentrarci ora nell’argomento, ci sembra importante nominare l’intersezionalità delle oppressioni e la necessità di riflettere su questo concetto, senza però riscrivere l’opuscolo perché è una traduzione.

Se avete suggerimenti, opuscoli, articoli da segnalare su questo tema scriveteci a zinne@anche.no !

Buona lettura

INTRODUZIONE

Le femministe hanno analizzato, nel corso degli ultimi decenni, alcune nozioni come quelle di sesso, genere, identità sessuale, ecc. La centralità di tali nozioni nell’esperienza transessuale, fa nascere l’interesse per questo tema da parte di alcune femministe. Benché diverse analisi femministe presentino un’interpretazione positiva ed un’attitudine d’apertura nei confronti della transessualità (Halberstam, 1998; Bourcier, 1999; Heyes, 2002; Butler, 2006; Elliot, 2009), altre manifestano la loro reticenza e le loro critiche (Raymond, 1977; 1981; Yudkin, 1978; Millot, 1983; Eichler, 1989; Jeffreys, 1997; 2003). Queste ultime ritengono che la transessualità sia un risultato dell’esistenza di stereotipi di genere evedono le persone transessuali come responsabili della perpetuazione di questi stereotipi. Alcune femministe molto critiche suggeriscono che l’esistenza degli uomini transessuali sia dovuta al fatto che alcune donne tentino di sottrarsi individualmente al sistema patriarcale, per trarre profitto dai privilegi legati alla maschilità nelle società sessiste. Raymond (1977; 1981) e Jeffreys (1997; 2003) sostengono che questi privilegi siano centrali nel fenomeno transessuale: mentre le donne transessuali hanno tratto vantaggio dai privilegi maschili nella loro vita pre-transizione, gli uomini transessuali vi hanno accesso dal momento in cui intraprendono il loro processo di riassegnazione sessuale. Affermano che si tratti di una ragione determinante nella loro decisione. Per questo gli uomini transessuali sono accusati di optare per una soluzione individualista per uscire dall’oppressione patriarcale.

Da un lato la denuncia di questi privilegi maschili è necessaria partendo da una prospettiva femminista che io adotto al fine di costruire una società egalitaria. Tuttavia dall’altro lato non è così evidente capire se gli uomini transessuali traggano pienamente vantaggio da questi privilegi a partire dal momento in cui sono riconosciuti come appartenenti al gruppo degli uomini. Questo articolo si focalizza dunque sulla seguente questione: in che modo gli uomini transessuali beneficiano dei privilegi della maschilità in società in cui gli uomini rappresentano un gruppo avvantaggiato sul piano sociale, culturale, politico ed economico? Le risposte a questa domanda divergono: mentre una parte della letteratura sull’argomento afferma che gli uomini transessuali traggono vantaggi dalla loro transizione e che si tratta di una ragione importante nella loro motivazione, altrx autricx lo negano ed altrx ancora analizzano come l’accessibilità a tali privilegi sia differente a seconda delle situazioni vissute da questi uomini. Questo testo esplora queste prese di posizione teoriche e conclude con la necessità di conciliare le prospettive femministe e trans proponendo un approccio transfemminista.

LA TRANSESSUALITA’ E LA NOZIONE DI PRIVILEGIO

Le identità trans: qualche definizione

L’interesse popolare e scientifico per le identità trans*[3] è storicamente recente. Benché alcune manifestazioni di transessualità e transgenderismo siano esistite in diverse epoche, è solo durante la seconda metà del XX secolo che si costituisce il campo di studi trans. La transessualità e il transgenderismo sono due forme di pratiche e di identità centrali nel campo delle identità trans, da cui l’importanza di definirle. Il transgenderismo può avere due significati. La prima accezione del termine transgenere rinvia alle persone che vivono quotidianamente un’identità di genere diversa da quella loro attribuita alla nascita. La seconda accezione del termine è meno specifica. Viene recentemente utilizzata per descrivere il ventaglio delle possibili identità trans. Il transgenderismo, in questo contesto, diviene in qualche modo un sinonimo dell’identità queer rivendicata da alcune persone (Stryker, 2006b, p. 254-255)[4]. In questa prospettiva, la transessualità appare come una forma particolare di transgenderismo, consistente nel trasformare il corpo con l’aiuto di tecniche mediche e scientifiche e l’identità di sesso/genere sul piano legale e sociale. Stryker (2006b, p. 255) definisce così la transessualità:

[...] transsexuality is considered to be a culturally and historically specific transgender practice/identity through which a transgendered subject enters into a relationship with medical, psychotherapeutic, and juridical institutions in order to gain access to certain hormonal and surgical technologies for enacting and embodying itself.

[...] la transessualità è considerata una pratica/identità transgenere culturalmente e storicamente specifica attraverso cui un soggetto transgenere entra in relazione con le istituzioni mediche, psicoterapeutiche e giuridiche, al fine di avere accesso ad alcune tecnologie ormonali e chirurgiche per rappresentare ed incarnare se stessx.

Questa definizione, benché non sia adottata in modo unanime, è generalmente condivisa dallx autricx[5].

Infine, distinguiamo due tipi di persone transessuali, da donna a uomo (FtoM, FTM, F2M, uomo transessuale, uomo trans,...) e da uomo a donna (MtoF, MTF, M2F, donna transessuale, donna trans,...)[6].

La nozione di privilegio dei gruppi dominanti

Secondo alcune femministe che si oppongono alla transessualità, la questione dei privilegi maschili non è dissociabile dall’analisi di questa realtà. Come sottolinea Koyama (2009), diverse persone transessuali sono accusate di aver tratto vantaggio e/o di trarre vantaggio dai privilegi legati allo status di uomo:

Some feminists, particularly radical lesbian feminists, have accused trans women and men of benefiting from male privilege. Male-to-female transsexuals, they argue, are socialized as boys and thus given male privilege ; female-to-male transsexuals on the other hand are characterized as traitors who have abandoned their sisters in a pathetic attempt to acquire male privilege. Transfeminism must respond to this criticism, because it has been used to justify discrimination against trans women and men within some feminist circles.

Alcune femministe, in particolare le femministe lesbiche radicali, hanno accusato donne e uomini trans di trarre vantaggio dal privilegio maschile. Le transessuali MTF, sostengono loro, sono state socializzate come ragazzi e dunque hanno avuto accesso al privilegio maschile; i transessuali FTM dall’altro lato, sono considerati traditori che hanno abbandonato le loro sorelle in un patetico tentativo di acquisire tale privilegio. Il transfemminismo deve rispondere a questa critica, poiché è stata utilizzata per giustificare la discriminazione di donne e uomini trans all’interno di alcuni ambienti femministi.

Nel corso degli ultimi decenni, la nozione di privilegio è stata teorizzata nel campo degli studi femministi, degli studi critici sull’etnicitàe degli studi gay, lesbici e trans. Il concetto di privilegio è spesso associato a quello di oppressione, da cui l’importanza di definire quest’ultima. L’oppressione è una nozione cui fanno riferimento un certo numero di movimenti sociali che rivendicano una maggiore giustizia sociale (Young, 1990, p. 42). Un vantaggio nell’utilizzare questa nozione piuttosto che altre espressioni più specifiche (razzismo, omofobia, sessismo, rapporti sociali di genere, ecc.) risiede nel fatto che si tratta di un termine generale che può evocare molteplici forme d’oppressione. D’altra parte è in questo senso che l’utilizza Young (1990, p. 40), in questa breve definizione:

In the most general sense, all oppressed people suffer some inhibition of their ability to develop and exercise their capacities and express their needs, thoughts, and feelings.

Nel modo più generale, tutte le persone oppresse soffrono qualche inibizione delle loro capacità di sviluppare ed esercitare le loro attitudini e di esprimere i loro bisogni, pensieri, sentimenti...

Per Young (1990, p. 40-41), ciò che caratterizza l’oppressione è che questa si applica ad un gruppo in modo sistematico e quotidiano. Young (1990, p. 41) non pensa l’oppressione unicamente come risultato delle azioni deliberate e intenzionali di un gruppo su un altro ed è in questo senso che essa è strutturale: l’oppressione non proviene da un gruppo specifico, ma si trova nell’insieme delle istituzioni, delle leggi, dei discorsi, delle norme, ecc. In questo modo, molte persone prendono parte, spesso senza neanche esserne coscienti, alla perpetrazione delle oppressioni su alcuni gruppi attraverso le loro azioni quotidiane, benché alcuni lo facciano in modo cosciente ed intenzionale[7].

È in questo contesto che interviene la nozione di privilegio. In effetti, benché molte persone non abbiano l’intenzione deliberata di opprimere altre persone, la loro semplice appartenenza ad alcuni gruppi (esempi: bianco, uomo, eterosessuale,...) e le loro interazioni quotidiane rinforzano l’oppressione di altri gruppi, in particolare attraverso l’accesso a privilegi non meritati di cui esse beneficiano e che sono negati ai gruppi oppressi. In questo senso, i gruppi avvantaggiati hanno un certo interesse a perpetrare l’oppressione per conservare i loro privilegi (Young, 1990, p. 42). E’ per queste ragioni che più autricx (Bailey, 1998, p. 104; Lemay, Bastien Charlebois et Waddell, 2009) affermano che una concettualizzazione dell’oppressione che non tenga conto dei privilegi sia parziale. In più, le analisi intersezionali sulle identità, che hanno mostrato il sovrapporsi di diverse componenti nella strutturazione identitaria (etnia, classe, sesso, orientamento sessuale...), hanno mostrato che il fatto di essere oppressx e di essere privilegiatx non sono delle realtà che si escludono. In effetti una persona può nello stesso tempo far parte di un gruppo privilegiato a partire da una delle sue componenti identitarie e di un gruppo oppresso a partire da un’altra (Bailey, 1998, p.106; Lemay et al., 2009). La nozione di privilegio, come viene utilizzata qui e da parte dei differenti movimenti sociali, si distingue dal significato tradizionale che gli viene attribuito:

Historically, the term privilege was initially used to denote individual exemptions from the law. The term derives from the Latin words privus (private) and legis (laws). In Rome, a privilegium was a special ordinance referring to an indivi-dual, and often providing an exemption from the normal requirements of the law. Within medieval and premodern Europe, the term continued to have strong legal connotations (Kruks, 2005, p. l80).

Storicamente il termine privilegio è stato inizialmente utilizzato per descrivere eccezioni personali alla legge. Il termine deriva dalle parole latine privus (privato) e legis (leggi). A Roma, un privilegio era un’ordinanza speciale riferita ad un individuo che spesso permetteva un’esenzione rispetto a ciò che normalmente richiedeva la legge. Nell’Europa medievale e premoderna, il termine ha continuato ad avere una forte connotazione legale (Kruks, 2005, p.180)[8].

Questo significato sottintende una visione positiva della nozione di privilegio, secondo cui è un diritto meritato di cui si gode (Bailey, 1998; Mcintosh, 2009). Ciò implica che i privilegi si applichino solo ad un ristretto numero di individui. I movimenti sociali hanno ridefinito il vocabolo: i privilegi non riguardano più degli individui isolati, ma la maggioranza, e non sono meritati, poiché se ne usufruisce a scapito dei gruppi svantaggiati (Kruks, 2005, p. 180-181). Mentre alcuni privilegi dovrebbero essere applicati a tutte le persone per essere giusti, altri sono ingiusti e dovrebbero essere aboliti (Bailey, 1998; Mcintosh, 2009). Secondo Bailey (1998, p. 108), la nozione di privilegio è caratterizzata dai quattro seguenti elementi:

[...] (1) benefits granted by privilege are always unearned and conferred systematically to members of dominant social groups; (2) privilege granted to members of dominant groups simply because they are members of these groups is almost never justifiable ; (3) most privilege is invisible to, or not recognized as such, by those who have it; and (4) privilege has an unconditional “wild card” quality that extends benefits to cover a wide variety of circumstances and conditions.

[...] (1) I vantaggi acquisiti attraverso il privilegio sono sempre immeritati e vengono sistematicamente conferiti ai membri di un gruppo sociale dominante; (2) il privilegio conferito ai membri dei gruppi dominanti semplicemente perché essx appartengono a tali gruppi, non è praticamente mai giustificabile; (3) la maggior parte dei privilegi sono invisibili a chi li detiene, o non riconosciuti come tali; e (4) il privilegio ha qualità incondizionata di carta «jolly» che estende i suoi benefici per coprire un’ampia varietà di circostanze e condizioni.

I privilegi, sostengono moltx autricx (Tirrel, 1993; Bailey, 1998; Kebabza, 2006; Dupuis-Deri, 2008; Lemay et al., 2009; Mcintosh, 2009), si concretizzano sia a prescindere dal fatto che le persone che ne beneficiano ne siano coscienti o no, sia che esse li vogliano ottenere o no. Un’importante teorica del concetto di privilegio è Mcintosh (2009) che, dal 1988, ha pubblicato una lista di cinquanta privilegi bianchi[9].

In seguito, numerose liste simili sono apparse sul web. Oggi è possibile elencare liste di privilegi di diversi gruppi sociali, come il privilegio eterosessuale, cissessuale[10], maschile, di classe, ecc. (Kruks, 2005, p. 180). Tali privilegi hanno la tendenza ad essere sottovalutati o negati da parte dei gruppi che ne traggono vantaggio, cosa che gli permette di rafforzarsi in una posizione dominante (Tirrel, 1993; Bailey, 1998; Kebabza, 2006; Dupuis-Deri, 2008; Lemay et al., 2009; Mcintosh, 2009). Ciò dimostra l’importanza di metterli in luce e denunciarli[11], non per cadere in una moralizzazione e colpevolizzazione delle persone appartenenti ai gruppi dominanti, ma per permettere loro di elaborare un’etica e una politica di responsabilizzazione nei confronti dei gruppi oppressi[12].

Dunque, oppressione/discriminazione di un gruppo dominato e privilegio di un gruppo dominante costituiscono due facce della stessa medaglia. Per illustrare questo fenomeno, consideriamo l’esempio seguente. Per uno stesso tipo di riparazione, un meccanico e una meccanica non riescono a risolvere il problema. Nel caso della donna, molti attribuiranno questo errore al sesso della persona, cosa che costituisce una forma di discriminazione diretta. Nel caso dell’uomo, la clientela non si chiederà se è a causa del suo sesso che il problema non è stato risolto, ma cercherà altre spiegazioni (problema meccanico complesso...). Questo non essere messo in discussione costituisce una forma di privilegio maschile troppo poco riconosciuta. In conclusione, questi vantaggi quotidiani di cui gode il gruppo sociale degli uomini sono spesso sotto-teorizzati quando si parla di oppressione. Quali sono per l’appunto i privilegi legati alla maschilità ai quali gli uomini transessuali potrebbero aver accesso? Dupuis-Deri (2008, p. 151-152) elenca molti di questi privilegi degli uomini cissessuali:

Toutes choses égales d’ailleurs, un homme a plus de chances qu’une femme d’atteindre les sommets des diverses structures hiérarchiques dans la sphère politique, économique, médiatique, culturelle, militaire et policière, scientifique et religieuse, ainsi que dans les puissants réseaux criminels. L’homme sera en général considéré comme plus compétent qu’une femme pour des emplois prestigieux et bien rémunérés. Un homme hétérosexuel vivra généralement en relation avec une femme qui dispose de moins d’argent que lui. Il aura donc plus d’autonomie dans le marché et plus de facilité qu’une femme à paraître crédible lorsqu’il sera question de brasser des affaires. La parole d’un homme sera considérée comme plus crédible que celle d’une femme. [...] Un homme n’aura en général pas peur de marcher seul dans la rue ou de voyager seul dans divers pays et pourra profiter du rôle de protecteur à l’égard de femmes craignant de se déplacer dans l’espace public.

A parità di tutto il resto, un uomo ha più possibilità di una donna di raggiungere i vertici di diverse strutture gerarchiche nella sfera politica, economica, mediatica, culturale, militare e poliziesca, scientifica e religiosa, così come nei potenti ambienti criminali. L’uomo sarà in generale considerato come più competente rispetto alla donna per degli impieghi prestigiosi e ben pagati. Un uomo eterosessuale vivrà generalmente una relazione con una donna che possiede meno denaro di lui. Egli avrà dunque più autonomia nel mercato e più facilità di una donna ad apparire credibile quando si tratterà di fare affari. La parola di un uomo sarà considerata più credibile di quella di una donna. [...] In generale un uomo non avrà paura di camminare solo per strada o di viaggiare solo in diversi paesi e potrà trarre vantaggio dal ruolo di protettore nei confronti delle donne che hanno paura di muoversi nello spazio pubblico[13].

Le ipotesi esplicative di alcune femministe sulle transizioni FTM

Alcune femministe pensano che le persone transessuali siano state manipolate dal sistema patriarcale, nell’adottare le norme di un postulato per cui sesso e genere debbano concordare (Yudkin, 1978, p. 100; Millot, 1983, p. 15; Eichler, 1989, p. 289). Qui, il patriarcato rappresenta la condizione che rende possibile la transessualità, il suo «contesto sociopolitico» di partenza (Raymond, 1981, p. 13-48). La transessualità e il patriarcato sono teorizzati in termini causali: la transessualità appare come l’effetto di una causa primordiale che è la società fondata sul sessismo. Raymond (1981, p. 18-19) sostiene:

En fait, fondamentalement, une société qui assigne un rôle stéréotypé à chacun des deux sexes ne peut qu’engendrer le transsexualisme. [...] À mon avis, la société patriarcale [sic] et ses définitions de la masculinité et de la féminité constituent la cause première de l’existence du transsexualisme. [...] Au sein d’une telle société, le transsexuel ne fait qu’échanger un stéréotype contre un autre, et renforce ainsi les maillons qui maintiennent la société sexiste [...]

Di fatto, fondamentalmente, una società che assegna un ruolo stereotipato a ciascuno dei due sessi non può che generare la transessualità. [...] A mio avviso, la società patriarcale [sic] e le sue definizioni di maschilità e femminilità costituiscono la prima causa dell’esistenza della transessualità. [...] In seno a tale società la persona transessuale non fa che scambiare uno stereotipo con un altro, e rinforza così le maglie della società sessista [...]

Per questx autricx femministx, le persone transessuali, benché vittime del sistema patriarcale, allo stesso tempo riproducono i suoi schemi d’oppressione. In questo contesto, la transessualità FTM è spesso vista come una soluzione individualista per ovviare con un palliativo a un problema strutturale, quello del patriarcato, che dovrebbe essere risolto attraverso una lotta politica[14].

Raymond (1981, p. 21-27, 57-58) sostiene che gli uomini transessuali siano degli «alibi» del sistema patriarcale e del transessualismo che permettono di far credere che si tratti di una problematica umana, universale e non di un’invasione degli uomini sul territorio delle donne. Afferma (Raymond, 1981, p. 57-58):

Quant à moi, je suggérerais que, soumis à l’obligation de devoir démontrer que le transsexualisme n’est pas en fait réservé aux seuls hommes, l’empire médical intègre les candidates au changement de sexe, mais toujours en fixant ses propres conditions. [...] Ce système [de “caution-alibi”] exige que l’afflux d’élémentsétrangers au sein du groupe soit soumis à un quota, calculé de façon à créer l’illusion d’une inclusion. C’est exactement ce qui sepasse chez les transsexuels. [...] En outre, cette présence-alibi des femmes dans tous les domaines du monde transsexuel suffit aux experts en la matière pour prétendre que le transsexualisme n’est pas sexiste.

Quanto a me, suggerirei che, sottomessa all’obbligo di dimostrare che il transessualismo non è di fatto riservato ai soli uomini, l’istituzione medica ammette le candidate al cambiamento di sesso, ma sempre fissando le sue proprie condizioni. [...] Questo sistema di cauzione-alibi esige che l’afflusso di elementi estranei in seno al gruppo, sia soggetto ad una determinata quota, calcolata in modo da creare l’illusione di inclusione. E’ esattamente ciò che accade con i transessuali. [...] In altre parole, questa presenza-alibi di donne in tutti i campi del mondo transessuale è sufficiente per gli esperti della materia per pretendere che il transessualismo non sia sessista.

Per Raymond, gli uomini transessuali hanno a loro volta assimilato il sessismo e la misoginia, pensando che il vero potere si trovi dal lato degli uomini, da cui il loro interesse per la transizione di sesso (Raymond, 1981, p. 23). Jeffreys (1997; 2003) concettualizza gli uomini transessuali come delle lesbiche vittime del sistema eterosessista. Ritiene che la transessualità degli FTM rappresenti una «[...]vigorosa forma di oppressione delle lesbiche» (Jeffreys, 1997, p. 72). Secondo lei, una ragione determinante che spiega il passaggio da donna verso uomo è l’obbligo sociale all’eterosessualità, l’omofobia interiorizzata (Jeffreys, 1997, p. 61, 69; 2003, p. 122-143). Jeffreys propone ugualmente di vedere la transessualità come un modo, per alcune lesbiche vittime di violenze sessuali, di fuggire alla loro condizione di oppresse, poiché la loro corporeità femminile le ricorda troppo le loro sofferenze. Scrive (Jeffreys, 2003, p.138-139):

FTMs do not usually mention child sexual abuse as a reason for their desire to transition, probably because this would not support the notion that they were “really” men, or engaged in a positive transformation. But many accounts of transitioning make it clear that child sexual abuse plays an important role. I have argued elsewhere that transsexual surgery needs to be understood as a form of self-mutilation by proxy, in which self-mutilators engage someone else to perform the mutilation [...] The transsexualism of these abused lesbians originated in a desire to exit the body that was associated with abuse, the female body, and aspiration to the body of the abuser that represented power.

Normalmente gli FTM non menzionano gli abusi sessuali subiti durante l’infanzia come una ragione del loro desiderio di transizionare, probabilmente perché ciò va nella direzione opposta al sentimento che loro siano «veramente» uomini, o che sono nel corso di una trasformazione positiva. Ma molte narrazioni di transizioni rendono evidente che gli abusi sessuali subiti durante l’infanzia giocano un ruolo importante. Ho argomentato altrove come la chirurgia transessuale debba essere intesa come una forma di automutilazione delegata, in cui le persone automutilate utilizzano qualcun altrx per eseguire la mutilazione [...] Il transessualismo di queste lesbiche che hanno vissuto violenze nasce dal desiderio di uscire da un corpo che è stato associato all’aggressione, il corpo femminile, e di possedere il corpo dell’aggressore, che rappresenta il potere[15].

Per Jeffreys (2003, p. 142), è chiaro che le donne che effettuano una transizione verso l’identità maschile lo fanno per fuggire dalla società eterosessista opprimente: «Le ragioni qui elencate mostrano che le lesbiche che transizionano lo fanno perché desiderano fuggire dalla posizione subordinata delle donne». In più, il loro obiettivo è in parte raggiunto dal momento che gli FTM beneficiano, a suo avviso, dei privilegi legati alla maschilità, come la libertà di movimento e di azione nella sfera pubblica e il fatto di poter dominare sulle donne nelle relazioni quotidiane che intrattengono (Jeffreys, 2003, p. 143). Le transizioni sessuali degli FTM, nei discorsi di queste femministe, sono investite di obiettivi politici: la loro transizione camufferebbe il desiderio di trarre vantaggio dai privilegi maschili e, piuttosto che cercare di eliminare il sessismo per poter così godere della libertà, essi preferiscono rafforzarlo passando nel «campo nemico»[16].

(Raymond, 1977; 1981; Jeffreys, 1997; 2003). Rubin (2003, p. 143) riassume questa tesi:

Non-transsexuals may even believe that women become men to access male privilege. [...] FTMs seem calculating and post-feminists to non-transsexuals because some privileges accrue to them. An [sic] FTM may appear to be taking rash personal actions to address a social problem that would be better tackled by political action. But the FTMs were not in pursuit of male privilege.

Alcune persone non transessuali possono addirittura credere che delle donne diventino uomini per accedere ai privilegi maschili [...] Gli FTM sembrano calcolatori e post-femministi alle persone non transessuali poiché ottengono dei privilegi. Un [sic] FTM sembra agire in modo personale e affrettato per rispondere ad un problema sociale che sarebbe affrontato meglio attraverso delle azioni politiche. Ma gli FTM non sono alla ricerca dei privilegi maschili.

D’altra parte, l’affermazione secondo cui la ragione primaria che spingerebbe le persone transessuali ad effettuare una transizione sarebbe la considerazione dei vantaggi che potrebbero trarre dal loro nuovo stato è facilmente contestabile (Cromwell, 1999, p. 8-12). Da un lato, infatti, lascia nell’ombra le ragioni che spingerebbero le donne transessuali a fare una transizione, dato che non hanno nulla da guadagnare nel lasciare il loro stato sociale di maschi per entrare nella categoria delle donne. Dall’altro lato, gli studi effettuati (Devor, 1997; Cromwell, 1999; Namaste, 2000; Califia, 2003; Rubin, 2003; Green, 2004; Dozier, 2005) hanno dimostrato che i fattori che conducono ad una transizione sono numerosi e difficili da isolare. Dunque pretendere di trovare la causa della transizione degli FTM – l’acquisizione dei privilegi legati alla maschilità – è semplicistico. Butler (2006, p. 114-115) denuncia questa lettura riduttiva:

Certaines analyses grossières suggèrent qu’il n’y a des FTM que parce qu’il est plus facile socialement d’être un homme qu’une femme. Mais ces analyses n’interrogent pas s’il est plus facile d’être trans plutôt que d’être perçu comme bio-genré, soit d’un genre qui semble “suivre” le sexe de naissance. Si les bénéfices sociaux présidaient à toutes ces décisions de manière unilatérale, les forces en faveur de la conformité prendraient sûrement le dessus.

Alcune analisi grossolane suggeriscono che non ci siano FTM se non perché è socialmente più facile essere un uomo che una donna. Tuttavia queste analisi non si chiedono se sia più facile essere trans piuttosto che essere percepitx come biologicx, cioè di un genere che sembra «seguire» il sesso assegnato alla nascita. Se i benefici sociali motivassero tutte queste decisioni in modo unilaterale, le forze in favore della conformità prenderebbero certamente il sopravvento.

Interpretare le transizioni FTM in un’ottica di fuga dalla dominazione eterosessista e di accaparramento di privilegi maschili è dunque una prospettiva che invisibilizza numerosi fattori (Halberstam, 1998, p. 149-150; Bourcier, 1999; Cromwell, 19999, p. 7-8, 60-63; Rubin, 2003, p. 143; Green 2004, p. 72; Feinberg, 2006, p. 207). Le transizioni vengono effettuate solitamente sulla base di un bisogno individuale profondo che concerne la corporeità e l’identità sessuale (Dozier, 2005, p. 310-311). L’obiettivo qui non è nascondere il fatto che i fattori sociali e politici influenzino i desideri individuali. Come afferma Koyama (2009):

[...] no one is completely free from the existing social and cultural dynamics of the institutionalized gender system. When we make any decisions regarding our gender identity or expression, we cannot escape the fact that we do so in the context of the patriarchal binary gender system.

[...] nessuna persona è completamente libera rispetto alle esistenti dinamiche sociali e culturali del sistema dei generi istituzionalizzato. Quando prendiamo delle decisioni a proposito della nostra identità o espressione di genere, non possiamo fuggire dal fatto che lo facciamo all’interno di un contesto sessista e binario.

Il sesso resta indissociabile dalla carica politica e sociale che porta con sé, e dunque dai vantaggi o dagli svantaggi che gli sono associati (Butler, 2006, p. 113.115). Le transizioni di sesso implicano quindi di accettare di vivere con gli aspetti positivi e/o negativi legati alla maschilità e alla femminilità. In breve, è vero che la considerazione dei vantaggi legati alla maschilità per i transessuali prima di effettuare la transizione può influenzare la loro decisione, ma è tutta un’altra cosa affermare che sia questa volontà a determinare la loro scelta o sostenere che si tratti di un fattore preponderante nella loro decisione.

Bourcier, che presenta e critica tre paradigmi interpretativi del travestimento femminile, tra cui quello che chiama « modello della liberazione» (Bourcier, 1999, p. 118), arriva ad una conclusione simile. Secondo questo paradigma, i motivi che spingono le donne a questa pratica hanno le loro origini nei divieti loro imposti all’interno di una società patriarcale e che svaniscono quando esse vengono identificate come uomini (Bourcier, 1999, p. 123-124). Questo modello, che non è estraneo alle sopra menzionate spiegazioni femministe della transessualità FTM, afferma che le pratiche di travestimento, di transgenderismo e di transessualismo delle donne scomparirebbero in una società in cui fosse raggiunta l’uguaglianza uomo/donna (Bourcier, 1999, p. 124-125). Oltre ad essere problematica poiché tende a politicizzare delle pratiche che non sempre lo sono, questa ipotesi conduce ad una cancellazione e ad una invisibilizzazione della realtà delle lesbiche e degli uomini transessuali (Bourcier, 1999, p. 125; Cromwell, 1999, p. 9-12; Namaste, 2000). Ciò contribuisce a minare la loro autodeterminazione e il loro diritto di parola (Cromwell, 1999, p. 60; Butler, 2006; Stone, 2006). Molti uomini transessuali riportano infatti di non effettuare la transizione per fuggire dalla loro condizione di donna, cosa che invalida questo quadro interpretativo. Ciò d’altra parte non esclude che alcune persone possano agire con questa intenzione (Halberstam, 1998). Dopo tutto, diverse persone riconoscono che gli uomini transessuali hanno accesso a dei privilegi che non avevano prima, ciò solleva, come sottolinea Halberstam (1998, p. 143), la questione delle implicazioni sociali, politiche, ecc., della loro scelta:

The recent visibility of female-to-male transsexuals has immensely complicated the discussions around transsexuality because gender transition from female to male allows biological women to access male privilege within their reassigned genders. Although few commentators would be so foolish as to ascribe FTM transition solely to the aspiration for mobility within a gender hierarchy, the fact is that gender reassignment for FTMs does have social and political consequences.

La recente visibilità dei trans FTM ha enormemente complicato la discussione sulla transessualità, poiché la transizione di genere da donna a uomo permette a delle donne biologiche di accedere, nel loro genere riassegnato, ai privilegi maschili. Nonostante alcunx ricercatricx sono statx così folli da ascrivere la transizione FTM esclusivamente al desiderio di ascesa all’interno della gerarchia di genere, il fatto è che la riassegnazione di genere FTM ha delle conseguenze sociali e politiche.

Le/gli autricx parlano quindi di ascensione nella scala delle gerarchie di genere per descrivere il processo che vivono i transessuali (Shapiro, 1991, p. 269-270; Halberstam, 1998). La prossima sezione ci permette di esplorare questo aspetto sociopolitico delle transizioni FTM.

GLI UOMINI TRANS E I PRIVILEGI MASCHILI: FINZIONE O REALTÀ?

I privilegi maschili per gli uomini trans: prospettive divergenti

I privilegi maschili, per come li abbiamo descritti fino ad ora, sono applicabili anche agli uomini trans? Le risposte a questa domanda sono diverse e divergenti. Alcune femministe tra quelle analizzate precedentemente, sostengono l’ipotesi che alcuni di questi uomini effettuino la transizione di sesso proprio con questa intenzione e che alla fine ottengano tali privilegi. Invece, nel campo degli studi trans, ci sono due posizioni teoriche:

1. una prima afferma che l’accesso a questi privilegi è limitato e precario, a causa della socializzazione da donne che questi uomini trans hanno ricevuto e della loro condizione transessuale.

2. una seconda invece mostra i vari privilegi maschili di cui godono questi uomini, ma mostra anche come questi vantaggi si articolano in modo diverso in funzione di altre componenti dell’identità quali etnia, orientamento sessuale, apparenza...

La prima posizione, espressa da Cromwell, s’ispira ad una riflessione di Green[17]. Cromwell (1999) in primo luogo afferma che gli uomini trans non sono uomini come gli altri, quindi il loro accesso ai privilegi non può essere identico. Inoltre sostiene che gli FTM non beneficiano di questi privilegi né di una mobilità ascendente o che lo fanno in maniera molto limitata a partire da quattro ragionamenti basati sull’educazione che hanno ricevuto e sul loro status di trans (Cromwell, 1999, p. 90)[18]:

(1)because of socialization as female-bodied people, transmen and FTMs are “not prepared to become captains of industry”; (2) Hormones do not change a person’s socialization, and therefore FTM’s and transmen may not know how to “play male hierarchy games”; (3) transmen and FTMs generally do not have the education needed for occupations that require “success as men”; and (4) if they are known as FTMs or transmen they are subject to job discrimination.

(1)a causa della socializzazione in quanto persone nate con corpo di donna, gli uomini trans e FTM non sono preparati a diventare dirigenti d’impresa; (2) gli ormoni non modificano la socializzazione di una persona e quindi FTM e uomini trans non necessariamente conoscono come “giocare ai giochi di gerarchia maschile”; (3) uomini trans e FTM di solito non hanno l’educazione richiesta per mestieri dove si ha “successo in quanto uomini”; e (4) se vengono poi riconosciuti in quanto FTM o uomini trans sono soggetti a discriminazione sul lavoro.

Le argomentazioni di Cromwell non sono completamente false. Le analisi che seguiranno ci permettono di smussarle un po’.

Per quello che concerne il primo punto, anche se la socializzazione di una persona la può influenzare, non la determina completamente, altrimenti la possibilità di agire sarebbe impensabile. La socializzazione di una persona può anche non averla condizionata ad essere violenta per esempio, ma per altre ragioni può diventarlo. E’ vero anche che i trattamenti ormonali non trasformano il passato di una persona e neanche la sua educazione sociale. D’altro canto questo non permette di convalidare il secondo punto: non è perché le donne non hanno imparato a comportarsi come gli uomini che non lo faranno mai. E questo è altrettanto vero per le persone trans. Quanto al terzo punto, la sua veridicità varia in funzione di fattori temporali e geografici: in società dove le donne hanno un accesso all’educazione identico a quello degli uomini – anche se le disparità rimangono- è possibile pensare che le persone trans avranno un livello di educazione simile a quello degli uomini cis. Inoltre, alcuni studi (Schilt, 2006, p.480-483) mostrano che le persone trans si istruiscono di più dopo la loro transizione. E’ comunque pertinente notare che alcuni dei privilegi maschili non si applicano agli FTM. Penso in particolare al fatto che l’orgasmo maschile implichi abitualmente la fine di un rapporto etero (Dupuis-Deri, 2008, p.152) o anche il fatto di non doversi preoccupare di rimanere incintx. In effetti, i corpi ibridi dei trans posso rimanere fecondabili e poco importano le chirurgie subite, non possono comunque avere erezioni nè eiaculare e questo rende impossibile l’accesso a questo tipo di privilegio.

La seconda posizione teorica stima che i trans beneficino dei privilegi maschili e il lavoro costituisce un luogo chiave per analizzare questa realtà. Si nota spesso che le donne trans vedono i loro privilegi decrescere mentre gli uomini trans hanno accesso a nuove forme di beneficio grazie alla loro transizione (Bourcier 1999, p.122 ; Schilt e Wiswall, 2008). Le conclusioni dello studio di Schilt e Wiswall (2008, p.2-3, 17-19) sono chiare: le MTF subiscono dei torti sul lavoro (perdita di salario, discriminazione, molestie sessuali), mentre gli FTM godono di una mobilità ascendente. Schilt (2006) analizza anche i privilegi che alcuni uomini trans acquisiscono nel proprio ambito lavorativo dopo la loro transizione. Il termine “alcuni” è importante perché la conclusione della sua ricerca dimostra che sono quelli bianchi, di taglia grande che beneficiano di più di questo privilegio (Schilt 2006 p469). Questa conclusione si posa sulle teorie di Connell (1995) che riconoscono l’esistenza di una maschilità egemonica che si costruisce a detrimento di donne e maschilità subordinate in funzione di classe, etnia, orientamento sessuale... E’ possibile nominare quattro livelli in cui gli FTM beneficiano di nuovi privilegi in ambito lavorativo (Schilt, 2006, p.475-482). In primo luogo ricevono un maggiore riconoscimento della loro autorità e competenze (Schilt, 2006, 478). Secondo sono più rispettati e riconosciuti nel quadro del loro impiego per il lavoro che fanno (Schilt, 2006 p478-479). Terzo, constatano un rispetto più grande della loro integrità corporea e sessuale (Schilt, 2006, 479-480) ma questo vantaggio si applica solo ai trans la cui identità sessuale non è conosciuta (stealth):

Transitioning for stealth FTMs can bring with it physical autonomy and respect, as men workers, in general, encounter less touching, groping, and sexualized comments at work than women. Open FTMs however are not as able to access this type of privilege, as co-workers often ask invasive questions about their genitals and sexual practices.

La transizione per gli FTM non dichiarati può portare autonomia fisica e sessuale e rispetto, in quanto i lavoratori (maschi) in generale al lavoro hanno meno contatto fisico, palpeggiamenti, commenti sessualizzati rispetto alle donne. Gli FTM la cui identità sessuale è conosciuta però non possono accedere a questo privilegio, anzi i colleghi spesso fanno domande invadenti sui loro genitali e pratiche sessuali.

Quarto, hanno più opportunità sul piano economico e legale a partire dalla loro identità maschile:

Several FTMs who are stealth also reported a sense that transition had brought with economic opportunities that would not have been available to them as women, particularly as masculine women.

Molti FTM non dichiarati riportano la sensazione che la transizione abbia portato più opportunità dal punto di vista economico che non sarebbero state disponibili per loro in quanto donne, in particolare in quanto donne mascoline[19].

Dozier (2005, p.309) sottolinea anche che le transizioni FTM favoriscono nel lavoro l’accesso a uno status più elevato, a un trattamento migliore e a una condizione economica più favorevole. Queste quattro forme di guadagno sperimentate nel lavoro si osservano più generalmente nella società. Rispetto al loro status di donne, gli uomini trans riportano che il loro status di uomini li avvantaggia, permettendogli una più ampia libertà di azione a livello di atteggiamenti, comportamenti, e di spostamenti nella sfera pubblica in tutta sicurezza (Devor, 1997, p-540-541). Si nota anche che molti uomini trans si sentono più rispettati socialmente (nei vari servizi alla clientela ad esempio) e hanno uno spazio di parola – e un’audience – più importanti. Devor (1997, p.543) riassume così i commenti dei suoi interlocutori:

In sum, close to half (46 percent) of those participants who had experienced life both as men and women felt that men were the more privileged of the two genders because men were more respected, better paid and more physically and socially powerful.

In conclusione, circa la metà (46%) dei partecipanti che hanno sperimentato la vita sia in quanto donna che in quanto uomo, hanno percepito che gli uomini erano i più privilegiati dei due generi perchè più rispettati, pagati meglio e più forti socialmente e fisicamente.

Inoltre, quando gli uomini denunciano il sessismo, sono percepiti in maniera più positiva dalle donne e ricompensati per il loro atteggiamento egalitario, più di quanto sarebbe se fossero donne che hanno lo stesso punto di vista (Dozier, 2005, p.308).

Comunque, tutti questi privilegi non sono accessibili alla totalità delle persone trans senza fare distinzioni. Schilt (2006) ricorda i limiti di questi privilegi. Da una parte, quelli che non sono sotto ormoni e che non sono percepiti come uomini dagli altri, non beneficeranno di questi privilegi. Dall’altro lato, nei primi anni della transizione, sembrano molto più giovani di quanto non siano (voce che cambia, apparizione graduale della barba, acne...) e per questo vengono spesso considerati come adolescenti[20].

Sul mercato del lavoro in particolare, questa caratteristica non porta accesso ai privilegi (autorità, rispetto...). Inoltre, questi privilegi sono dipendenti anche da altri fattori quali la taglia (gli uomini piccoli come la maggioranza dei trans sono, non fanno parte della norma dominante maschile) o anche altre appartenenze identitarie come l’etnia (Green, 2004, Dozier, 2005, Schilt , 2006). Schilt conclude:

that white, tall, men often see greater returns from the patriarchal dividend than short men, young men and men of color.

che gli uomini bianchi e alti spesso hanno più ritorno di dividendo patriarcale di uomini bassi, giovani e uomini di colore.

Oltre al fattore etnico, l’identità sessuale/transessuale interferisce nel processo di acquisizione dei privilegi. Il fatto per esempio di essere identificato come uomo trans a partire dalla propria identità legale o dal proprio passato (esempio: quando un datore di lavoro verifica le referenze o il diploma di una persona, la sua identità precedente può essere rivelata) può pregiudicare le possibilità o esporre a forme di discriminazione risultanti dalla transfobia[21] (Dozier 2005, p.309). Un’altra problematica infine concerne l’orientamento sessuale. Nelle società eteronormate, l’omosessualità, la bisessualità, etc sono marginalizzate. Ora, da una parte, si ritrova negli FTM una diversità di pratiche e di orientamenti sessuali (Bockting, 1999, p. 4-5; Cromwell, 1999; Dozier, 2005 ; Butler, 2006, p. 99-100 ; Rubin, 2006, p. 478-480). Dall’altra, un certo numero di quelli che conservano delle caratteristiche fisiche o dei comportamenti associati alla femminilità, sono vittime di omofobia, perché vengono percepiti a causa di questi aspetti, come omosessuali (Dozier, 2005, p.310)[22].

Insomma, non tutte le forme di maschilità sono equivalenti (Connell 1995, Halberstam 1998): ai margini della maschilità egemonica si trovano diverse maschilità subordinate e svalutate rispetto a questo ideale normativo. Il fine non è di mostrare che i privilegi maschili di cui beneficiano gli FTM sono annullati dalle forme di oppressione che essi vivono sulla base di altri fattori. Una tale logica porterebbe a un relativismo e a una invalidazione delle analisi di sistemi di oppressione perché ogni gruppo potrebbe definirsi oppresso rispetto ad altri, negare i privilegi di cui beneficia e reclamare la propria innocenza (Lemay et al. 2009, p.6)[23].

Quindi, riconoscendo i privilegi di cui godono gli uomini trans, bisogna anche nominare i pregiudizi di cui sono oggetto, a partire da altre componenti della loro identità o in quanto persone transessuali.

Il dibattito sulla nozione di passing: trans(in)visibile

L’accesso delle persone trans ai privilegi maschili solleva anche la problematica della visibilità transessuale. Come è stato possibile constatare, il privilegio si articola in maniera differente a seconda che questi uomini si identifichino – e siano riconosciuti – come persone trans o come uomini cissessuali. Evidentemente, anche nel caso in cui degli FTM si identifichino come trans al lavoro, nelle loro cerchie più ristrette o altrove, in alcuni casi capiterà anche che, malgrado il loro desiderio di visibilità, non siano percepiti come uomini trans ma come uomini cis con i privilegi che implica questo status (esempio: sui mezzi pubblici, nei negozi), e questo per due ragioni.

Da una parte la loro condizione transessuale non sarà visibile nella maggioranza dei casi, e d’altra parte non entreranno in contatto con le persone dicendo per prima cosa “sono transessuale”. Ciononostante, dato che gli FTM possono essere più o meno visibili, l’accessibilità ai privilegi maschili sarà differente in funzione di questa condizione. Moltx autricx (Cromwell, 1999; Dozier, 2005; Serano, 2007) sostengono che la visibilità modifica l’accesso ai privilegi, dato che gli FTM non sono, sotto certi aspetti, considerati come dei veri uomini. Serano (2007) nella sua analisi dei privilegi cissessuali sostiene che le persone transessuali accedono a questi privilegi ma in maniera condizionale.

Quando le persone trans passano per uomini e donne cis, si vedono attribuire gli stessi privilegi cissessuali ma in maniera diversa. Quando il loro status di persone trans è rivelato, questi privilegi vengono spesso confiscati. Questo è quello che Serano chiama “privilegio cis condizionale”. Infatti, da quando lo status di persona trans diviene visibile, si mettono in moto una serie di processi discriminatori. Alcuni sono diretti, come il fatto di perdere il proprio lavoro, e altri indiretti. Per esempio, alcune persone una volta venute a conoscenza del fatto che un uomo è trans, proveranno a trovare nel suo modo di apparire e nei suoi comportamenti, le vestigia della sua “femminilità”, delegittimando la sua identità e la sua corporeità maschile (Califia, 2003; Serano, 2007). Questo nuovo sguardo “negativo” con cui sono scrutate le persone trans non si mette in moto per le persone cis, si tratta quindi di un privilegio di cui queste ultime beneficiano. Serano parla anche di una “artificializzazione del genere” delle persone trans piuttosto che di un “processo di de-genderizzazione” (ungendering). A partire dal momento in cui un FTM non è considerato come un vero uomo, è poco probabile che gioisca dei vantaggi legati a questo status. E’ dunque necessario teorizzare i privilegi maschili degli FTM tenendo conto della nozione di passing.

Ecco come Stone (2006, p. 113) definisce il passing:

Passing means to live successfully in the gender of choice, to be accepted as a “natural” member of that gender. Passing means the denial of mixture[24].

Passare significa vivere con successo nel genere scelto, essere accettatx come un membro “naturale” di quel genere. Passing significa negare la commistione [dei generi[25]].

E’ vero che il fatto di passare permette di evitare situazioni scomode e pericolose (Cromwell 1999; Namaste 2000; Roen 2002; Green, 2004). La volontà di passare è quindi a volte un riflesso di sopravvivenza o un bisogno di vivere una vita più regolare. Costituisce un rifugio contro i diversi tipi di discriminazione, di aggressione, di marginalizzazione. In questo senso, il passing è necessario. Ciononostante, un certo numero di FTM ritengono che sia importante identificarsi come transessuali. Secondo molti, l’invisibilità (passing) corrisponde all’eliminazione del proprio passato e quindi anche della propria identità e del proprio percorso (Cromwell 1999; Green, 2004; Feinberg, 2006; Stone, 2006). Rimanere nascostx e non identificatx non serve alla causa trans, al contrario, significa non portare alla luce del giorno delle realtà che già sono ben presenti ma che tardano ad essere accettate socialmente, politicamente e giuridicamente (Stone 2006, p.232). Questo incoraggia il pregiudizio e la discriminazione, scoraggia il lavoro di sensibilizzazione, etc (Green, 2004). Inoltre, il silenzio è pesante da portare, ed è all’origine della paura costante di essere scopertx e poi rifiutatx (Green, 2004; Feinberg, 2006, p.207; Stone, 2006, p.232, 235). In breve, per questx autricx, il passing favorisce l’isolamento perché rimuove e allontana le persone trans dalle risorse, dall’appoggio e dal supporto emotivo che esse potrebbero trovare proprio nella comunità trans (Green, 2004).

Inoltre, la visibilità delle persone transessuali può suscitare delle riflessioni sui sistemi di oppressione proprio attraverso la non-conformità alle norme dominanti[26]. In effetti, la maschilità transessuale alternativa può fare concorrenza alla maschilità egemonica (Halberstam, 1998, p. 154-173; Rubin, 2003). Piuttosto che percepire nella transessualità una forma di riproduzione dei sistemi dominanti, come fanno certe femministe, alcune persone insistono sull’aspetto ambivalente di questa in rapporto alla consolidazione delle norme in vigore. Quindi la transessualità non è concepita come una forma di dominazione, né sovversiva in se stessa, ma sono piuttosto i contesti di realizzazione e di ricezione[27] che ne determinano il grado di sovversività o meno in rapporto al sessismo, all’eteronormatività, etc (Halberstam 1998, p.40, 146, 160; Butler 1993; 2006). La maschilità trans, per la sua traiettoria divergente dalla maschilità tradizionale, anche per la sua affermazione positiva di corpi differenti (esempio: uomini senza pene), può anche contribuire a ridefinire il concetto abituale di maschilità. Rubin (2003, p. 145) sostiene:

Transsexualism itself does not necessarily subvert or affirm dominant forms of masculinity. Transsexual men have the potential to generate either alternative or hegemonic forms of masculinity. Altering their bodies to fit this cultural expectation, these men have an opportunity, though they do not always take it, to resignify what it means to behave like a man.

La transessualità in sè non necessariamente sovverte o afferma delle forme dominanti di maschilità. Gli uomini trans hanno il potenziale di generare forme sia alternative che egemoniche di maschilità. Alterando i loro corpi per corrispondere alle aspettative culturali, questi uomini hanno un’opportunità, anche se non vogliono coglierla, di risignificare cosa vuol dire comportarsi come un uomo.

Insomma, anche se il passing è necessario in alcuni contesti, moltx dicono che la visibilità trans offre un’opportunità interessante per decostruire i sistemi di dominio, in particolare il sessismo e la transfobia, presi in analisi nella prossima sezione[28].

LA TRANSFOBIA E I PRIVILEGI CISSESSUALI/CISGENERE

L’intersezione delle oppressioni e delle lotte: transfobia e sessimo

Alla luce di queste informazioni, bisogna sempre evitare di gettarsi in una visione idealizzata degli uomini trans, percepiti come femministe complici o potenziali. Invece a volte, alcuni non sono per niente femministi e indossano completamente una maschilità dominante. Questa comunità è quindi eterogenea: anche se in quanto uomini beneficiano collettivamente dei privilegi inerenti alla maschilità (e quindi contribuiscono in parte al rafforzamento del sessismo), esistono dei trans che desiderano essere egualitari e altri che sono dominanti. Una spiegazione sviluppata da Rubin (2003, p. 156-173) per quanto riguarda la maschilità dominante negli FTM, propone che questo atteggiamento provenga da una “reazione difensiva” a una minaccia rivolta al loro essere maschi. Si tratterebbe di un meccanismo di difesa psicologica attivata a contatto di una transfobia per cui la maschilità di questi uomini non è riconosciuta[29]. Anche se questo non spiega tutti gli atteggiamenti stereotipati e dominanti – e soprattutto non li giustifica – penso, come Rubin, che questa ipotesi possa fornire una nuova chiarificazione su alcuni di questi atteggiamenti e contribuire ad un altro tipo di analisi strutturale di una forma di oppressione sistemica, quella della transfobia e dei privilegi cis.

Questo ci porta ad analizzare la transfobia e il suo corollario, i privilegi cisgenere e cissessuali[30].

I neologismi cissessuale e cisgenere sono stati utilizzati per le prime volte intorno al 1990 da parte di alcuni attivisti trans per definire le persone non trans. Come indicato nei dizionari, nelle scienze pure, l’aggettivo cis è utilizzato come contrario di trans, il primo riferito a un elemento che è dallo stesso lato, il secondo, che nelle sue origini latine significa “al-di-là”, riferendosi ad un elemento appartenente ai due lati. Più generalmente, il prefisso trans, in contrapposizione al prefisso cis, indica una trasformazione. Il prefisso cis si attacca ai termini sesso e genere per definire le persone che non fanno transizioni di sesso. Questi termini sono considerati meno dispregiativi di uomo/donna “biologico/a”[31].

Come il sessismo, la transfobia opera come un sistema di oppressione che relega alla periferia della società le persone trans. Così è creata la cisgenerenormatività[32].

La cisgenerenormatività postula che le persone che corrispondono al genere loro assegnato alla nascita siano più normali delle persone che decidono di vivere in un altro genere e che compiono una transizione di sesso (Serano 2007, p. 7-8, 12-13, 161-173). Viene inoltre messa in atto una gerarchizzazione tra i due gruppi permettendo alla norma di rafforzare il suo potere e di giustificare la sua “normalità” (Butler, 2006; Kebabza, 2006; Scott-Dixon, 2006; Serano, 2007). Pertanto, questa posizione marginalizzata offre una posizione epistemologica pertinente per analizzare come funzionano i sistemi dominanti (Stryker, 1998, p.151; Butler 2006).

Inoltre, i sistemi d’oppressione sono legati a dei privilegi. Nel caso della transfobia, sono le persone cisessuali e cisgenere che ne beneficiano. Le forme di discriminazione che sperimentano le persone trans sono multiple e imputabili a questi privilegi. Serano (2007, p. 185-193) enumera cinque forme di oppressione. La prima, è l’esclusione delle persone trans in diversi ambiti. Questa esclusione può anche avere luogo a livello discorsivo, quando il linguaggio utilizzato per definire una persona trans non rispetta il genere/sesso con il quale si identifica. Secondo, l’oggettificazione delle persone trans che consiste nel porre un accento smisurato sul loro aspetto fisico e corporeo (cambiamenti fisiologici, organi genitali...) che ha come fine ultimo il riassegnare la persona al sesso/genere attribuito alla nascita. Terzo, la mistificazione della transessualità e dei processi di riassegnazione sessuale; ovvero le persone trans, i loro corpi, il loro genere, la loro storia, sono considerati come misteriosi e affascinanti. Questo atteggiamento ha per effetto di accentuare il divario tra le persone trans e cis, delegittimando le prime della “naturalità” e “veracità” del loro sesso/genere. Quarto, le domande riguardo la transessualità che si traducono in una eccessiva curiosità riguardo ai possibili motivi che spingono una persona a fare una transizione di sesso. Come sottolinea Serano (2007, p. 187-188), questo ha per conseguenza il ridurre il soggetto interrogato ad oggetto di studio. Questo continuo interrogarsi sull’origine della transessualità e della sua esistenza riposa anche esso su dei privilegi cis nascosti. Serano (2007, p. 188) scrive:

[...] The question “why do transsexuals exist?” is not a matter of pure curiosity, but rather an act of non-acceptance, as it invariably occurs in the absence of asking the reciprocal question....”Why do cissexual exist?”. The unceasing search to uncover the cause of transsexuality is designed to keep transsexual gender identities in a perpetually questionable state, thereby ensuring that cissexual gender identities continue to be unquestionable.

[...]La domanda “perche esistono le persone transessuali?” non è una questione di pura curiosità, piuttosto un atto di non accettazione, dato che avviene invariabilmente nell’assenza del chiedersi la domanda complementare...”perché esistono le persone cissessuali?”. L’incessante ricerca per scoprire le cause della transessualità esiste per tenere le identità di genere trans in uno stato di perenne contestabilità, assicurando in questo modo che le identità di genere cis continuino ad essere incontestabili.

E quinto, c’è l’occultamento e il cancellamento della realtà trans[33]. Come ricorda Serano (2007), le persone creano le proprie ipotesi riguardo le origini della transessualità senza interpellare le persone trans. Questa forma di discriminazione usurpa le voci delle persone trans. Poiché vengono cancellate, si può poi parlare e decidere a loro nome. Dopo tutto, il processo di medicalizzazione che riguarda le transizioni di sesso non è, come sottolinea Serano (2007, p. 189), delineato da delle persone cis che decidono, in maniera esclusiva, chi potrà o no accedere alla transizione?

Questi tipi di discriminazione sono collegati a dei privilegi non messi in discussione (Scott-Dixon, 2006; Serano, 2007; Koyama, 2009). Una persona che decide di conservare il sesso e il genere che le sono assegnati alla nascita si vede mai messa in discussione sulla sua scelta? Le si chiede di ottenere dei referti medici, psichiatrici, sessuologici per vivere nel suo sesso e nel suo genere? Si cerca di artificializzare e delegittimare il suo corpo e il suo genere, come se non fossero normali, naturali, reali? La sua scelta di vivere in un corpo e in un genere è letta alla luce di una interpretazione politica (acquisire dei privilegi maschili, ad esempio)? Le risposte a queste domande sono negative, perché queste persone godono di privilegi cissessuali[34]. Questi privilegi si poggiano su concezioni ontologiche di sesso e genere, di uomo e donna. Come fa notare Bornstein (2006, p. 238) a proposito della discriminazione omofobica che si poggia in gran parte sul concetto rigido di genere, la transfobia e i privilegi cis hanno origine dalle stesse presupposizioni (Califia, 2003; Bornstein, 2006; Butler, 2006; Scott-Dixon, 2006; Serano, 2007; Koyama, 2009). Il sessimo e la transfobia sono interconnessi e si rinforzano mutualmente. Ecco quello che Serano afferma a riguardo:

[...]cissexism, transphobia, and homophobia are all rooted in oppositional sexism, which is the belief that female and male are rigid, mutually exclusive categories, each possessing a unique and non overlapping set of attributes, aptitutdes, abilities and desires. Oppositional sexists attempt to punish or dismiss those of us who fall outside of gender or sexual norms because our existence threatens the idea that women and men are “opposite” sexes[35]

[...]cissessismo, transfobia e omofobia sono radicate nella caratteristica dell’opponibilità dei sessi, cioè nel credere che femmina e maschio siano categorie rigide e mutualmente esclusive, ognuna dotata di un set unico e non sovrapponibile di attributi, atteggiamenti, abilità e desideri. Chi sostiene l’opponibilità dei sessi cerca di punire o liberarsi di tuttx quellx che si trovano al di fuori delle norme sessuali e di genere, perché la nostra stessa esistenza minaccia l’idea che le donne e gli uomini siano sessi “opposti”.

Questo mostra la pertinenza, sia per il movimento trans che per quello femminista, di entrare in un dialogo al fine di creare e di consolidare alleanze teoriche e politiche.

Anche se poco considerata negli studi femministi, la transessualità ha dei legami col femminismo. La sovrapposizione tra studi femministi e trans è incontestabile per chiunque analizzi il materiale concettuale da cui partono entrambi i settori[36], così come le oppressioni che subiscono sia le donne che le persone trans in parte hanno origine dagli stessi paradigmi di oppressione.

La coscienza politica femminista di alcuni attivisti transessuali

Nonostante l’accesso ai privilegi maschili sia limitato per alcuni trans, essi ne beneficiano a diversi livelli. Per quelli che se ne rendono conto, questi benefici derivanti dallo status maschile sono vissuti non senza difficoltà (Rubin, 2003, p.143-149). In effetti, sebbene sia auspicabile in ogni caso essere trattati con rispetto, il fatto di vedere che questo rispetto è conquistato a detrimento delle donne è una constatazione allarmante per molti, essendo stati loro stessi trattati in maniera meno favorevole quando erano considerati come donne (Schilt, 2006, p. 487). Per alcuni trans, questa esperienza costituisce un punto di partenza, se non un rafforzamento di una coscienza femminista. E’ normale, tenendo conto della posizione marginalizzata che occupano, di ritrovare tra di loro un gran numero di adesioni alle analisi femministe (Devor, 1997, p. 547). Piuttosto che vedere negli uomini trans dei traditori della comunità delle donne/femministe come alcunx autricx pensano, sarebbe molto più sensato considerarli come dei potenziali alleati nella lotta contro il sessismo. Inoltre, le analisi femministe potrebbero essere utili per gli uomini trans al fine di articolare le loro riflessioni sui privilegi. Moltx affermano che le persone trans si trovano in una posizione epistemiologica favorevole per constatare – e anche denunciare in caso siano sensibili agli squilibri nei rapporti uomini/donne – l’oppressione che colpisce le donne, considerato che loro sono trattatx sia come uomini che come donne nel corso della loro vita. (Devor, 1997, p. 540, 547, 550; Dozier 2005; Bornstein, 2006; Schilt, 2006, p. 466, 468-469, 473-475, 486-487; Schilt e Connell, 2007, p. 600; Serano, 2007, p. 312; Schilt e Wiswal, 2008)[37]. Queste persone possiedono una doppia prospettiva che poche altre intorno a loro avranno la possibilità di avere nella propria vita. In questo senso, le femministe potranno trarre beneficio da questa esperienza vissuta dalla persone trans che le porta a sperimentare i due lati della medaglia, così come gli attivisti e i teorici trans non possono fare a meno delle analisi femministe. Sono d’altronde le teorie femministe degli ultimi decenni che hanno aperto la strada ai discorsi costruttivisti sulla nozione di sesso e di genere e che hanno permesso l’emergenza del discorso transessuale non essenzialista. Il transfemminismo appare quindi come una prospettiva adatta a sviluppare un campo di studi femministi e trans[38].

Il transfemminismo: una strada feconda da esplorare

Koyama (2009), autrice del “Manifesto Transfemminista [2001]” definisce così il transfemminismo:

Transfeminism is primarily a movement by and for trans women who view their liberation to be intrinsically linked to the liberation of all women and beyond. [...] Transfeminism is not about taking over existing feminist institutions. Instead, it extends and advances feminism as a whole through our own liberation and coalition work with all others. It stands up for trans and non-trans women alike, and asks non-trans women to stand up for trans women in return. Transfeminism embodies feminist coalition politics in which women from different backgrounds stand up for each other, because if we do not stand for each other, nobody will[39].

Il transfemminismo è in primis un movimento di e per donne trans che vedono la loro liberazione come intrinsecamente collegata alla liberazione di tutte le donne e oltre. [...] Il transfemminismo non è il prendere il controllo delle istituzioni femministe esistenti. Esso invece, estende e porta avanti il femminismo intero attraverso la nostra stessa liberazione e il lavoro di coalizione con gli/le altrx. Supporta donne trans e non trans, e chiede alle donne non trans di supportare in cambio le donne trans. Il trans femminismo include coalizioni politiche femministe in cui donne da differenti backgrounds si supportano, perchè se non ci sosteniamo tra di noi, non lo farà nessuno!

Le persone a favore di questa coalizione mettono l’accento sulle continuità teoriche e politiche delle donne e delle persone trans[40]. In primo luogo le persone trans sono sia uomini che donne che subiscono il sessismo, in particolar modo le donne trans e gli uomini trans prima della transizione (Califia, 2003, p. 144-145; Scott-Dixon, 2006; Serano, 2007; Koyama, 2009). Inoltre queste persone si riappropriano della nozione di genere, un gesto che costituisce un’importante rivendicazione del femminismo degli ultimi decenni. Allo stesso modo, come le persone trans hanno beneficiato delle trasformazioni sociali, politiche, etc...acquisite grazie alla lotta femminista, in particolar modo per quello che riguarda le concezioni di sesso e genere, così le definizioni rinnovate di questi concetti rivendicate dalle persone trans possono a loro volta rivelarsi degli strumenti preziosi per le teorie femministe (Heyes, 2002; Bornstein, 2006; Scott-Dixon, 2006; Koyama, 2009). Le donne e le persone trans hanno un interesse comune per ciò che attiene al corpo: le persone trans si rivendicano il diritto di riappropriarsi della propria corporeità e di autodefinirsi così come fanno le donne del movimento femminista e, come loro, denunciano tutte le forme di violenza che gli vengono inflitte e le discriminazioni messe in atto contro di loro (Bornstein, 2006; Scott-Dixon 2006; Stone 2006; Whittle, 2006a, p. xii; Serano, 2007; Schilt e Wiswall, 2008; Koyama, 2009)[41]. Le donne transessuali, proprio come le donne cissessuali, sono più soggette alle norme imposte dell’estetica della femminilità, oltre ad essere l’oggetto di diverse forme di violenza sessuale (Scott-Dixon, 2006; Serano, 2007; Koyama, 2009).

Questa lista (che potrebbe allungarsi) di oppressioni comuni alle donne cis e trans, e alle persone trans più in generale (includendo i trans sopravvissuti alla violenza per esempio quando il loro status di persone trans viene scoperto), mostra l’importanza di fare fronte comune nella lotta contro il sessismo e la transfobia. Il transfemminismo è una corrente femminista che include persone diverse, tra cui donne e uomini trans, e offre un potenziale euristico ancora poco utilizzato a questo riguardo (Scott-Dixon, 2006).

CONCLUSIONE

Spero che questo articolo, mettendo in luce alcuni privilegi acquisiti dai trans grazie al loro status maschile e le oppressioni di cui essi sono vittime nella società transfobica e cisgenerenormativa, stimolerà la ricerca su questa doppia condizione (privilegiata/oppressa) degli uomini trans ancora troppo poco esplorata nella letteratura scientifica, specialmente francofona. Allo stesso modo, mi auguro di aver mostrato la necessità di perseguire delle ricerche già iniziate (Heyes, 2002; Bornstein, 2006; Feinberg, 2006; Scott-Dixon, 2006; Stone, 2006; Whittle, 2006b, Serano 2007; Elliot, 2009; Koyama, 2009) sulla collaborazione teorica e politica tra gli studi femministi e trans e lo sviluppo di prospettive transfemministe. Il femminismo degli ultimi decenni è stato segnato dalla considerazione, in reazione alle tesi riformiste delle femministe cosi dette della prima ondata e delle femministe egualitariste, delle prospettive di analisi radicali, allo stesso modo che dall’integrazione delle donne di classi socioeconomiche marginalizzate, delle lesbiche, delle donne razzializzate, handicappate, colonizzate, giovani o vecchie, etc. Sebbene a questi livelli rimanga ancora molto cammino da fare perché una vera inclusione di tutte le donne sia effettiva, è possibile constatare che il femminismo contemporaneo non è più quello che era negli anni 1960 e che è ormai molto più cosciente dell’importanza di prendere in considerazione le esperienze molteplici delle donne. A mio avviso, il femminismo contemporaneo è chiamato ad accogliere la sfida posta dalle persone trans, uomini e donne, e a questo proposito, rimane molto lavoro da fare. Speriamo che questa riflessione stimoli le femministe e le teoriche trans a proseguire questo dialogo che non potrà altro che essere fecondo per ognuna delle parti. E’ il messaggio che ci lascia Koyama (2009) nel suo “manifesto transfemminista”:

When a group of women who had previously been marginalized within the mainstream of the feminist movement broke their silence, demanding their rightful place within it, they were first accused of fragmenting feminism with trivial matters, and then were eventually accepted and welcomed as a valuable part of the feminist thought. » We have become increasingly aware that the diversity is our strength, not weakness. No temporary fragmentation or polarization is too severe to nullify the ultimate virtues of inclusive coalition politics. Every time a group of women previously silenced begins to speak out, other feminists are challenged to rethink their idea of whom they represent and what they stand for. While this process sometimes leads to a painful realization of our own biases and internalized oppressions as feminists, it eventually benefits the movement by widening our perspectives and constituency. It is under this understanding that we declare that the time has come for trans women [et j’ajouterais transmen] to openly take part in the feminist revolution, further expanding the scope of the movement.

Quando un gruppo di donne che è stato precedentemente marginalizzato all’interno del movimento femminista mainstream ha rotto il silenzio, reclamando il proprio posto legittimo all’interno del movimento, queste sono state le prime ad essere accusate di frammentare il movimento femminista con argomenti futili, e sono state poi infine accettate e riconosciute come valida parte del pensiero femminista. Siamo diventatx sempre più consapevoli che la diversità è la nostra forza, non una debolezza. Nessuna frammentazione temporanea o polarizzazione è così severa da annullare la virtù della politica di coalizione inclusiva. Ogni volta che un gruppo di donne che era stato silenziato in precedenza, si fa sentire, altre femministe sono sfidate, invitate a mettere in discussione la loro idea di chi rappresentano e che cosa significano. Questo processo a volte conduce ad una realizzazione dolorosa dei propri pregiudizi e oppressioni interiorizzate in quanto femministe, ma alla fine porta dei benefici al movimento ampliando le prospettive e la partecipazione. E’ in quest’ottica che dichiariamo che è arrivato il momento per le donne trans [e aggiungerei gli uomini trans] di prendere parte apertamente alla rivoluzione femminista, ampliando la portata del movimento.

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books.google.fr

[1] Mentre trans è spesso usato come abbreviazione per transessuale, trans* è un termine ombrello che include tutte le varianti di genere quali transessuali,persone non binarie, travestiti/e etc.

[2] Abbiamo deciso di tradurre il termine passing con l’italiano passare. Il termine passing viene comunemente utilizzato quando le persone trans*, FtM e MtF, vengono percepite dalle altre persone come appartenenti al genere in cui si identificano.

[3] Il termine identità trans fa generalmente riferimento all’insieme delle identità che trasgrediscono le categorie tradizionali di sesso e genere. Esso comprende persone transgenere, transessuali, intersessuali, uomini effeminati, donne mascoline, drag, genderqueer, ecc. Per una storia delle identità trans e degli studi trans vedere: Rubin (1999), Namaste (2000, p. 1-70), Dozier (2005, p. 300-301), Whittle (2006a; 2006b), Stryker (1998 ; 2006a).

[4] Vedere anche: Bockting (1999), Stryker (2006a; 2006b, p. 254-255), Thompson (2003, p. 206).

[5] L’inclusione della transessualità all’interno del transgenderismo solleva alcune critiche. A proposito di questa discussione vedere: Namaste (2000), Thompson (2003), Scott-Dixon (2006) et Coogan (2006).

[6] Questi sinonimi sono utilizzati in maniera intercambiabile all’interno di questo articolo, ma bisogna sottolineare che ogni persona utilizza il vocabolario con il quale si identifica e che le sue scelte devono essere rispettate dallx altrx (Scott-Dixon, 2006, p. 15). Per una critica di alcune espressioni considerate peggiorative, vedere: Heyes (2002, p. 1097), Scott-Dixon (2006, p. 14-16), Serano (2007, p. 172-175).

[7] Questo concetto di oppressione di Young è ereditato dalle analisi di Frye (1983). Anche Bailey (1998) utilizza le analisi di Frye per teorizzare l’oppressione.

[8] Vedere anche Tirrell (1993) e Bailey (1998) sull’etimologia del termine.

[9] Sui privilegi bianchi vedere anche: Kebabza (2006).

[10] Il termine cissessuale si riferisce a persone non transessuali, ci torneremo sopra.

[11] Si tratta qui di un contributo importante dell’analisi in termini di oppressione/privilegi sul piano pedagogico. L’oppressione così descritta permette di sensibilizzare i membri dei gruppi dominanti.

[12] La colpevolizzazione secondo questa prospettiva, è un’attitudine paralizzante sul piano politico (Kruks, 2005; Lemay et al., 2009). Questa etica e politica di responsabilizzazione fa in parte riferimento al «processo di disempowerment» al quale dovrebbero aderire gli uomini profemministi secondo Dupuis-Deri (2008). Ecco come definisce questo processo (Dupuis-Déri, 2008. p. 149): «[...] un’(auto)riduzione del potere individuale e collettivo esercitato dagli uomini sulle donne e un (auto)posizionamento in funzione ausiliaria rispetto alle femministe.»
Se mi trovo d’accordo con questo autore per quanto riguarda gli uomini cissessuali, penso che la questione sia differente per gli FTM (pro)femministi (Dupuis-Deri limita d’altronde le proprie affermazioni ai primi): essi hanno ricevuto una socializzazione da donne, hanno vissuto molti anni in un’identità sociale di donne e dunque hanno subito i pregiudizi legati al fatto di essere donne in una società sessista (e per molti di essere state lesbiche mascoline in una società eterosessista). Benchè questa socializzazione dei transessuali durante la loro vita sociale di “donne” non diminuisca affatto i vantaggi di cui essi possono godere grazie al nuovo status, il loro sentimento è spesso ben diverso (Schilt, 2006, p. 487). Molti di loro, che sanno che le proprie competenze non sono cambiate, ma che si vedono riconoscere maggiori meriti sul lavoro, si interrogano sul valore di tali riconoscimenti (promozioni, ricompense,...) (Schilt, 2006, p. 487). Un dubbio costante (sentimento dell’impostore) persiste in molti, che si chiedono se la nuova promozione ricevuta è dovuta allo status maschile o deriva da competenze personali. Questo esempio permette di distinguere tra privilegi «acquisiti» e privilegi «sentiti/interiorizzati»: non è perché una persona non sente di avere accesso ai privilegi conferitigli che non vi ha realmente accesso. (Ringrazio Mélissa Blais per aver stimolato questa riflessione).

[13] La lista di Dupuis-Deri è più completa ma ho riportato qui i vantaggi più pertinenti al soggetto trattato. L’ultimo privilegio in questa citazione è un buon esempio della distinzione che va fatta tra privilegi «acquisiti» e privilegi «sentiti/interiorizzati». In effetti un FTM che «passa» come uomo cissessuale non è oggetto di violenze sessuali come una donna. In questo senso egli gode di tale privilegio (acquisito), cioè di non dover temere di essere solo pubblicamente. Ma non è poiché non ha nulla da temere che in effetti egli non teme nulla. Il suo passato in un’identità sociale di donna, la sua socializzazione, ecc...l’hanno condizionato a diffidare di questo genere di situazioni e, benché una transizione di sesso possa a lungo termine contribuire a diminuire tale paura, l’appartenenza alla categoria uomo non contrasta automaticamente questo condizionamento. Il suo privilegio «acquisito» non è dunque, come accade invece per gli uomini cissessuali, «sentito/interiorizzato», poiché egli prova paura.

[14] Per questa interpretazione vedere: Raymond (1977, p. 14, 17-18 ; 1981, p. 74, 109, 131, 157-162, 206-209, 213-220), Yudkin (1978, p. 102), Eichler (1989, p. 289), Haussman (1995, p. 197-198), Jeffreys (1997, p. 70 ; 2003, p. 135).

[15] Vedere anche: Jeffreys (1997, p. 59 ; 2003, p. 137-143). Lo stesso argomento è a volte utilizzato dalla retorica lesbofobica: una delle spiegazioni del lesbismo sarebbe che le lesbiche sarebbero state aggredite da uomini e si sarebbero quindi rivolte verso le donne per vivere la loro sessualità. Se questa ipotesi fosse vera, osserveremmo dei tassi ben più elevati di lesbismo, tenendo conto delle statistiche sulle vittime di aggressioni sessuali. Grazie a Julie Théroux Séguin per avermi fatto notare questo parallelo.

[16] A proposito di questa accusa vedere anche: Halberstam (1998, p. 144).

[17] Il testo di riferimento è J. Green (1994) “All transsexuals are not alike”. TV/TS tapestry journal N.68 p.51-52.

[18] Dato che non abbiamo tutti gli scritti di Cromwell, esiterei a dire che neghi l’accesso ai privilegi maschili. Penso che le sue argomentazioni mirino piuttosto a controbilanciare certe analisi che riducono le transizioni FTM ai termini di vantaggio che possono ottenere.

[19] Schilt (2006, p 480-483) non nota una differenza significativa a livello di salario in sé per uno stesso posto. Nonostante ciò, bisogna prendere in considerazione anche altri fattori, come il fatto che molti FTM cambiano lavoro dopo la loro transizione, tanto più che un certo numero di essi decidono di continuare gli studi superiori, cosa che può contribuire ad accrescere il loro salario.

[20] Schilt (2006, p 484) riporta la testimonianza di uno dei partecipanti a cui è stato domandato sul luogo di lavoro se era venuto a trovare la madre o il padre. Vedere anche Rubin (2003, p. 189). Essendo io stesso all’inizio di una transizione e conoscendo diversi FTM, confermo che si tratta di una situazione frequente.

[21] La transfobia consiste in una “...paura irrazionale o avversione, o discriminazione verso persone le cui identità di genere, apparenza, o comportamenti deviano dalla norma sociale”(Serano, 2007). In effetti, converrebbe effettuare una genealogia critica del termine ma mi accontento per mancanza di spazio, di utilizzarlo insistendo sul fatto che non faccio riferimento alla “paura” che le persone cis hanno delle persone trans, ma piuttosto all’oppressione che agiscono. Sulla transfobia vedere: Namaste (2000), Califia (2003) Bornstein (2006), Butler (2006).

[22] Per quanto riguarda questa gerarchia tra eterosessuali e omosessuali, vedere Connel (1995). Anche Koyama (2009) fa riferimento a questa violenza omofoba che tocca le persone trans. Bornstein mostra come l’omofobia deriva dalla non conformità agli ideali normativi di genere e pone le seguenti domande che chiarificano questa problematica: (Bornstein, 2006, p. 238) : “Avete visto un gay o una lesbica camminare in strada ultimamente? Come fate a sapere che erano gay o lesbiche? Era qualcosa che facevano sessualmente? O qualcosa sulla loro apparenza di genere?”

[23] Ringrazio Janik Bastien Charlebois che ha contribuito a questa riflessione. Vedere anche Green (2004, p. 72). Kebabza (2006, p. 163-164). Koyama (2009).

[24] Il contrario di passing è “being read”, essere lettx o essere visibile come persona identificata trans (Stone 2006, p. 235). Per quanto concerne il dibattito sul passing e la visibilità vedere: Shapiro (1991 p.255-257), Haussman (1995, p.198-201), Bockting (1999, p. 4) Cromwell (1999), Rubin (1999, p. 187-188), Roen (2002), Green (2004, p. 171-197), Coogan (2006, p. 18-19, 35).
Le analisi intersezionali dimostrano anche che il passing è intrecciato con altri fattori come la classe e la razza (Namaste, 2000; Roen, 2002, p.504,511): la possibilità di passare è condizionata da congiunture economiche, geografiche, etc. Inoltre Serano (2007, p. 176-180) fa una critica alla nozione di passing e propone di rimpiazzarla con quella di “appropriately gendered”, appropriatamente genderatx.

[25] NdT

[26] La visibilità permette anche di poter fare pressioni per ottenere dei diritti (Halberstam, 1998, p.144; Schilt e Connell 2007, p.602).

[27] Per questo vedere Schilt e Cornell (2007).

[28] Roen (2002, p. 502-503) mostra come il dibattito sulla visibilità e il passing sia un falso dibattito. Non si tratta di due posizione esclusive. Per i dettagli vedere Roen (2002).

[29] Non penso che l’obiettivo di Rubin (1999, 2003) sia di giustificare in questo modo i comportamenti dominanti di alcuni uomini trans, perché denuncia comunque quelli che hanno atteggiamenti sessisti. Sembra piuttosto voler proporre altre spiegazioni per chiarire questi comportamenti.

[30] Per una distinzione tra transfobia e privilegi cissessuali vedere Serano (2007, p.182-193) e anche Scott-Dixon (2006) sui privilegi cissessuali.

[31] Per una critica di questi termini e altre definizioni vedere Scott-Dixon (2006) e Serano (2007).

[32] Si tratta di un neologismo che utilizzo in senso simile al concetto di eteronormatività.

[33] Per questo, vedere Namaste (2000).

[34] Per degli esempi di privilegi cissessuali, vedere Anonyme (2009). Ne riproduco qui qualche riga: “Mi aspetto che il mio genere non infici indebitamente sulla mia possibilità di viaggiare all’estero. La mia apparenza di genere è legale in tutti i paesi. Mi aspetto che la privacy del mio corpo sia rispettata. Che non mi sia chiesto come sono fatti i miei genitali, o che non mi venga chiesto se il mio seno sia vero o no, che procedure mediche ho ricevuto...mi aspetto di avere la possibilità di farmi la doccia in luoghi pubblici quali la piscina o la palestra.”
“I expect my gender to not unduly affect my ability to travel internationally. My gender presentation is legal in all countries. I expect the privacy of my body to be respected. I am not asked about what my gentials look like, or whether or not my breasts are real, what medical procedure I have had, etc. I expect to be able to shower at public facilities such as gyms and pools”.

[35] Serano (2007, p. 16 dice anche: “in other words, by necessity, trans activism must be at its core a feminist movement. [in altre parole, il transattivismo deve essere necessariamente un movimento femminista]

[36] Sui legami tra studi femministi e trans vedere: Bockting (1999, p .6), Heyes (2002), Califia (2003), Rubin (2003, p. 144), Green (2004, p. 184-185), Bornstein (2006, p. 242), Coogan (2006, p.25, 34-35), Scott-Dixon (2006), Stone (2006, p.230), Whittle (2006), Serano (2007).

[37] Come sottolinea Schilt (2006, p. 474) questa coscienza critica non è inerente alla posizione transessuale: il fatto di essere una persona trans non garantisce una posizione critica rispetto al sessismo, ma può favorire una presa di coscienza a causa dell’esperienza unica vissuta.

[38] Altri sostengono che le persone trans, trascendendo le categorie uomo/donna per come le conosciamo, sono degli alleati potenziali per le femministe per denunciare il binarismo di quete categorie e per mostrare che il sesso non è invariabile. Su questo tema, Bockting (1999, p. 6), Heyes (2002, p. 1107), Coogan (2006, p. 34-35) e Stone (2006, p. 230)

[39] Vedere anche l’opera di Scott-Dixon (2006) sul tema.

[40] Scott-Dixon (2006, p.25-28) enumera sette tematiche comuni teorizzate dalle donne e dalle persone trans: 1. L’analisi della nozione di potere e dei paradigmi di comprensione sesso/genere; 2. La rivendicazione nella sfera del linguaggio per nominarsi e definirsi e non essere definitx dagli altri; 3. la teorizzazione dell’intreccio delle posizioni identitarie e l’importanza delle analisi intersezionali per un rispetto più grande delle differenze; 4. la creazione di luoghi sicuri e di centri per donne che vivono situazioni di violenza che siano più inclusivi; 5. la sfera di funzionamento e dell’organizzazione dei gruppi militanti, così come i rapporti di potere che vi si instaurano; 6. la rivendicazione dei diritti sociali e giuridici e la denuncia delle diverse forme di discriminazione; 7. le questioni che riguardano le diverse forme di sessualità e la corporeità.

[41] Non si dovrebbero dimenticare i punti comuni tra le donne e le persone trans che riguardano la salute (esempio: le diverse forme di ormonoterapia per la transizione, la menopausa, la contraccezione...etc; Koyama, 2009).


Consultato il 30 novembre 2017 su anarcoqueer.wordpress.com
Titolo originale: Transexualité et privilege masculin: fiction ou realité ?
Per informazioni zinne@anche.no